Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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L'estinzione del reato per condotte riparatorie (di Agata Ciavola, Professore associato di Diritto processuale penale – Università di Enna “Kore”)


Dall’analisi della riforma le maggiori criticità non riguardano la parte organica sulla giustizia riparativa, ma quella relativa al momento di collegamento con il sistema processuale. L’incertezza sui tempi, sui criteri di accesso e sugli effetti che la partecipazione a un programma riparativo può concretamente produrre sull'esito del procedimento penale può scoraggiare il ricorso alla giustizia riparativa, soprattutto nelle prime fasi del procedimento. Le considerazioni sono diverse per i reati perseguiti a querela della parte lesa. In questi casi, i due paradigmi, giudiziario e riparativo, coesistono felicemente e si alimentano a vicenda. Anche la disciplina introdotta dall’art. 129-bis, comma 4, c.p.p. appare meno esente da critiche. Inoltre, le esperienze positive che si sono registrate nel settore minorile vanno preservate. Ma, allo stesso tempo, è necessario suggerire soluzioni per far sì che il processo non perda completamente la sua funzione di accertamento della responsabilità in nome di finalità riparative o educative.

The extinguishing of the offence for restorative conduct

From the analysis of the reform the most critical issues do not concern the organic part on restorative justice, but the one relating to the connection with the trial system. Uncertainty about timing, access criteria and the effects that participation in a restorative program can concretely produce on the outcome of the criminal proceedings may discourage the use of restorative justice, especially at an early stage of the proceedings. The considerations are different for offenses prosecuted on the injured party's complaint. In these cases, the two paradigms, judicial and restorative, happily coexist and feed off each other. Also, the discipline introduced by Article 129-bis, paragraph 4, of the Code of Criminal Procedure appears less exempt from criticism. Moreover, the positive experiences that have been recorded in the field of juvenile justice sector should be preserved. But, at the same time, it is necessary to suggest solutions to ensure that the trial does not completely lose its function of ascertaining responsibilities in favour of restorative o educational purposes.

SOMMARIO:

1. La giustizia riparativa alla prova del diritto positivo - 2. La disciplina sul rapporto tra giustizia riparativa e procedimento penale: molte incertezze e interrogativi rimasti aperti. I correttivi possibili - 3. Il felice innesto della giustizia riparativa nei procedimenti relativi ai reati perseguibili a querela - 4. L’estinzione per condotte riparatorie quale controspinta alla restorative justice - 5. La rivitalizzazione della funzione conciliativa del procedimento davanti al giudice di pace - 6. Il passato e il possibile futuro della giustizia riparativa nel rito minorile - 7. I presupposti di invio al Centro di Giustizia riparativa nell’ottica del rafforzamento delle garanzie processuali dell’imputato - 8. Una riforma il cui impatto sarà forse limitato ma apre ad una nuova dimensione culturale - NOTE


1. La giustizia riparativa alla prova del diritto positivo

Howard Zehr, noto sociologo ed esperto di giustizia riparativa, in un’intervista del 2008 ha dichiarato «Penso che la giustizia riparativa costituisca, più che un modello, una grande, provocatoria conversazione su cosa sia la giustizia, e cosa essa richieda. E a mio avviso abbiamo solo cominciato a grattare la superficie del problema» [1].

Indubbiamente noi stiamo cominciando a grattare la superficie dei problemi che l’innesto della giustizia riparativa ha provocato sul sistema giudiziario penale.

Occorre riuscire a coniugare i canoni della normazione dello ius terribile con la libertà della forma propria della restorative justice, operazione non facile e da condurre con cautela [2].

Il punto è che i due ambiti: giustizia riparativa e penale sono governati da paradigmi e linguaggi in larga parte differenti, ma, allo stesso tempo, sono talvolta accomunati da assonanze capaci di indurre l’interprete in equivoci e pericolose approssimazioni [3].

Ed invero, la prima è una procedura che trova il suo punto di forza nella flessibilità e nella deformalizzazione. Non è un caso che tra i primi sostenitori della giustizia riparativa ci fossero proprio coloro che sostenevano le teorie dell’informal justice o dell’abolizionismo penale: ossia di quelle correnti di pensiero che, a vario titolo, per un verso, auspicavano «la fine dell’epoca caratterizzata dalla pena detentiva» [4]; per l’altro, sostenevano che non esisterebbe affatto, né sostanzialmente né proceduralmente, un concetto univoco di “legalità”, rendendo irragionevole l’eccessiva fiducia nei modelli di legalità e di giudizio [5]. Il sistema penale, invece, è governato dal principio di legalità sostanziale e processuale, ciò impone il rispetto di regole chiare, determinate e prevedibili, nonché deve assicurare l’osservanza dei principi fondamentali della giurisdizione penale, primo tra tutti, la presunzione di innocenza dell’im­putato. Non vi è dubbio, dunque, che si debba imparare a trovare un linguaggio comune, il che implica armonizzazione e conoscenza reciproca, giacché, diversamente, l’autoreferenzialità di ciascuno di loro vanificherebbe gli intenti legislativi traducendosi in uno spreco di energie, risorse e tempo [6].

Orbene, da un’analisi della riforma, a mio avviso, le maggiori perplessità non si rinvengono nella parte organica sulla giustizia riparativa, che riproduce quasi pedissequamente quanto indicato dalle principali fonti internazionali, quanto in quella relativa al momento di raccordo con il sistema processuale, la cui principale criticità è rappresentata dall’eccessiva indeterminatezza della disciplina, che risulta a tratti laconica, a tratti vaga [7]. Con la conseguenza, tra l’altro, che nell’inseguire l’idea di non porre limiti all’intro­duzione della giustizia riparativa – al fine di favorirla – si finisce con ottenere il risultato opposto [8]. Ed infatti, quando le occasioni di ricorso ai programmi offerti dai servizi di giustizia riparativa si moltiplicano, non si indicano tempi certi e predeterminati in cui chiederla, i criteri di accesso sono vaghi, gli esiti riparativi possono essere variamente considerati dal giudice senza alcuna garanzia che la formula conclusiva del processo valorizzi nei termini più favorevoli il percorso riparativo, il rischio è che difficilmente le parti saranno invogliate ad impegnarsi in un programma di restorative justice.

Per la verità, il legislatore, nell’introdurre una delle poche previsioni ritenute volutamente laconiche [9] della legge delega (art. 1, comma 18, lett. e) – «prevedere che l’esito favorevole dei percorsi di giustizia riparativa possa essere valutato nel procedimento penale e in fase di esecuzione della pena» – dava l’opportunità al Governo di compiere una scelta coraggiosa, ad esempio, stabilendo che l’esito positivo del percorso riparativo determinasse l’estinzione del reato per essere venuto meno il bisogno di pena o l’improcedibilità dell’azione. Formule che avrebbero permesso di intercettare le esigenze di deflazione del sistema e, al contempo, di allontanare l’imputato e la vittima dalle logiche della giustizia impositiva, avvicinandoli ad un paradigma “altro” di risposta al fatto costituente reato e sottraendoli, peraltro, alla pena aggiuntiva spesso rappresentata dal processo [10].

Il legislatore delegato, invece, salva qualche eccezione: la nuova attenuante dell’art. 62 n. 6 o la remissione tacita della querela derivante dalla partecipazione ad un programma riparativo con esito positivo, non ha assunto alcuna iniziativa in merito.

Si tratta di un’occasione mancata.

Si sarebbe potuto finalmente dare spazio all’idea che si possa deviare il procedimento penale verso una modalità diversa di attuazione della giurisdizione il cui fine non è quello di ripristinare l’ordine giuridico violato mediante l’applicazione di una sanzione bensì mediante la pacificazione delle parti [11]. Condizioni la cui presenza impone la decisione di non procedere attesa la superfluità del passaggio alla fase “strettamente giurisdizionale”. In altri termini, riconoscere che si possa fare leva su iniziative dei privati idonee ad evitare l’instaurazione del processo non solo in ragione di scelte rimesse alla loro valutazione – come nella querela – ma in presenza di requisiti che tengano conto dell’attuazione degli scopi del diritto penale e siano idonei ad essere oggetto di controllo da parte del giudice [12].

Dare ai concetti di superfluità del processo e di non offensività in concreto del fatto costituente reato un valore autonomo, alla luce del quale costruire la disciplina dell’archiviazione cd. “meritata”, in cui l’adesione dell’indagato ad un programma di giustizia riparativa potesse consentire l’anticipata conclusione del rito. Una risposta rapida e diversificata alla domanda di giustizia, che avrebbe potuto divenire – quanto meno per i reati di lieve e media gravità – lo strumento privilegiato di una politica penale moderna ed efficace [13].

Ciò, peraltro, avrebbe contribuito a contraddistinguere più chiaramente il momento di raccordo tra i sistemi penale e riparativo, soprattutto, relativamente all’uscita dal procedimento, permettendo di identificare il ricorso ai programmi di giustizia riparativa come una “terza via” in cui il diritto penale non si dissolve, ma rimane sullo sfondo, lasciando uno spazio alle persone per ricucire la relazione che il reato ha lacerato; che «non si situa né nella legge né fuori della legge, ma all’insegna della legge» [14], atteso che la legge può assurgere a “punto di riferimento” per favorire l’avvicinamento tra prospettive diverse. In altri termini, sarebbe stata l’occasione per affermare il principio secondo cui non occorre la prosecuzione del procedimento se essa appare superflua per mancanza del bisogno di punizione.

A ben vedere, quindi, l’introduzione della restorative justice avrebbe potuto avere una reale portata innovativa ove fosse stato possibile collegarla alla disciplina dell’archiviazione meritata prevista dalla Commissione Lattanzi [15]. Si auspica, pertanto, de iure condendo, che il coraggio che è mancato al momento del varo della riforma possa dimostrarsi in seguito.


2. La disciplina sul rapporto tra giustizia riparativa e procedimento penale: molte incertezze e interrogativi rimasti aperti. I correttivi possibili

Rappresentano ulteriori elementi di criticità, che potrebbero scoraggiare il ricorso a programmi di giustizia riparativa, anzitutto, l’incertezza sui tempi, atteso che non essendo previsto alcun meccanismo sospensivo, i due procedimenti, quello penale e quello della restorative justice, corrono parallelamente, con la possibilità che il percorso riparativo non sia ancora terminato quando si realizza il passaggio ad un’altra fase e vi sia il rischio che l’avvicinarsi alla decisione di merito possa incidere negativamente sul percorso riparativo, introducendo elementi di conflittualità [16]. Mentre, sarebbe stato più utile che i due sistemi, pur risultando complementari, non si sovrapponessero e si creassero dei momenti di stasi per consentire ai mediatori di guidare le parti verso una modalità di approccio ai fatti costituenti reato alternativa. Si tratta di un lavoro delicato che richiede l’individuazione di un possibile punto di partenza volto a facilitare l’attivazione di un dialogo che possa condurre ad un esito riparativo. Bisogna lasciare alle persone il tempo per imparare un linguaggio nuovo e diverso, di tipo non conflittuale, ma finalizzato all’incontro con l’altro [17]. A tal fine occorre che esse possano confrontarsi sulle questioni derivanti dal reato “a bocce ferme”, senza che nel frattempo possano inserirsi elementi di dinamismo che potrebbero imporre una defatigante opera di scomposizione e ricomposizione dei risultati via via raggiunti.

Il legislatore, peraltro, ha lasciato aperti una serie di interrogativi: giunti al giudizio, il provvedimento di invio al Centro di Giustizia riparativa assunto nelle fasi precedenti deve essere inserito nel fascicolo del dibattimento? L’avvio di un percorso riparativo può essere tentato più volte?

La normativa tace. In teoria, dunque, nulla esclude che tale tentativo possa essere ripetuto.

Per quanto concerne l’inserimento di tali atti nel fascicolo per il dibattimento, si possono offrire due soluzioni diverse: quando il giudice del dibattimento deve conoscere i provvedimenti assunti nelle fasi precedenti perché deve monitorare il percorso in via di svolgimento, ove ancora il programma non sia giunto a termine o per tenere conto dei risultati raggiunti nel caso in cui il percorso riparativo con esito positivo si sia concluso prima del dibattimento, si deve convenire che essi vadano inseriti nel fascicolo per il dibattimento. Con la consapevolezza che, in assenza di un’indicazione in tal senso, è inevitabile forzare l’interpretazione dell’art. 431 c.p.p., in frizione con il principio di tassatività che regola la materia. Al riguardo, si potrebbe sostenere che si tratti di provvedimenti che (latamente) possono essere ricondotti alle questioni concernenti l’azione penale, potendo essere posti a fondamento di una decisione da cui potrebbe conseguire l’estinzione del reato o, forse, più appropriatamente essere ricondotti tra i documenti relativi al giudizio sulla personalità dell’imputato, potendo incidere positivamente sulla valutazione della sua responsabilità ed il trattamento sanzionatorio. Nel caso in cui, invece, il percorso riparativo abbia avuto esito negativo, per garantire che da ciò non ne derivi alcun pregiudizio per l’imputato, a mio avviso, il provvedimento di invio e le relazioni del mediatore è preferibile rimangano nel fascicolo del pubblico ministero, così da sottrarli alla conoscenza del giudice del dibattimento; salvo se le parti si accordino diversamente.

Un altro aspetto che non appare del tutto convincente riguarda i protagonisti dei percorsi di giustizia riparativa.

La vaghezza e l’abbondanza dei soggetti e dei possibili programmi riparativi, indicati dagli artt. 42 e 53 d.lgs. n. 150/2022, se, da una parte, consentono di adattarsi alle esigenze del caso concreto e di tenere conto di tutte le esperienze che si sono registrate nella prassi e si potranno affermare nel futuro, dal­l’altra, possono rischiare di mettere in secondo piano la relazione infranta dal fatto costituente reato.

Al di là delle possibili discrasie tra le qualifiche rilevanti per la giustizia riparativa e quelle del rito penale [18], non mi convince l’idea che durante il processo i programmi riparativi possano coinvolgere vittime surrogate ove si tratti di reati plurioffensivi e con vittime identificate [19].

Se si muove, invero, dall’idea, propria della giustizia riparativa, di dare spazio ai bisogni delle persone, può apparire distonico che, quando il procedimento penale è in corso, nonostante la vittima diretta sia stata più volte avvertita della possibilità di intraprendere un percorso di giustizia riparativa, possa, poi, essere sostituita da una vittima aspecifica ove non voglia partecipare al programma.

In presenza di un fatto costituente reato, la vittima sviluppa un’aspettativa di riconoscimento che si realizza attraverso il processo e l’eventuale affermazione di responsabilità dell’imputato e la sua condanna. Certo, di tale istanza di riconoscimento se ne fa portatore lo Stato, ma, se si vuole sostituire un modello impositivo ed autoritativo con un paradigma basato sulla riparazione e la ricucitura della relazione interrotta, «il legislatore non può autorizzare nessuno (tanto meno il magistrato o il mediatore) a tralasciare l’interesse, la volontà e il consenso della vittima diretta. La sostituzione, nel dialogo riparativo, del diretto interessato, della sua volontà e del suo consenso – al di fuori di eventuali casi di rappresentazione legale o giudiziale – costituisce un atto autoritario, potenzialmente lesivo della vita privata (art. 8 CEDU)» [20].

Deve, pertanto, essere la vittima ad esprimere il suo proposito di cercare il soddisfacimento delle proprie istanze di riconoscimento in un contesto “altro e complementare” rispetto a quello giudiziario, scegliendo un percorso in cui possa esservi un confronto, eventualmente anche indiretto, con colui che è indicato come il possibile autore del reato.

Né pare possa condividersi la tesi secondo cui la partecipazione ai programmi di giustizia riparativa da parte di una vittima surrogata si giustifichi con l’esigenza di evitare che l’imputato possa vedersi precludere una strada che potrebbe portare ad una soluzione a lui più favorevole [21].

Questo è il limite della giustizia riparativa. Essa non è per tutti. Non si tratta di un rito deflativo di tipo premiale, sicché non può considerarsi un diritto accedere alla giustizia riparativa. Così come, di riflesso, il mancato accesso o l’esito negativo di un programma riparativo non potrà produrre conseguenze negative sull’imputato. «C’è un principio generale secondo cui nessuno ha diritto a riconciliarsi – o, semplicemente, d’incontrarsi – in nome d’altri e per offese commesse da altri. C’è un principio di personalità e di autodeterminazione che avrebbe dovuto essere rispettato quantomeno con chiare indicazioni sulla ricerca del consenso della vittima diretta ad essere surrogata da un terzo, anche ai fini di una valutazione del rischio di vittimizzazione secondaria» [22].

L’imputato, del resto, può sempre fare ricorso ad una pluralità di istituti che, in un’ottica di diversion, prima della sentenza di primo grado, possono chiudere il processo con un esito di tipo non sanzionatorio in seguito ad azioni di tipo riparativo sia pure intese in senso lato e a prescindere dalla disponibilità dell’offeso. Si pensi alla non punibilità per la particolare tenuità del fatto, all’estinzione del reato per condotte riparatorie, all’oblazione o alla stessa sospensione del processo con messa alla prova.

Anche da un punto di vista letterale, tra l’altro, pare doversi scorgere un’incongruenza tra la definizione di vittima, contenuta nell’art. 42 d.lgs. n. 150/2022, che non contempla quella aspecifica, e il riferimento alla vittima surrogata contenuto, invece, nell’art. 53 d.lgs. n. 150/2022 a proposito della mediazione.

Si tratta, però, di un disallineamento solo apparente: l’informalità, la flessibilità dei programmi di giustizia riparativa e dei soggetti che possono parteciparvi giustifica la creazione di un contenitore modellabile in ragione delle esigenze e dei bisogni dei suoi protagonisti e dei contesti in cui si innesta la giustizia riparativa. Nulla, dunque, esclude che il mediatore e le parti possano individuare, tra quelli possibili, il programma più adeguato a raggiungere le finalità riparative, invitando tutti coloro che possano offrire un contributo utile al raggiungimento dell’esito che dovrebbe sancire l’avvenuta ricomposizione del conflitto. Ma nei momenti di interazione con il processo penale, l’iniziativa, come l’invio del caso, dovrebbero coinvolgere i soggetti del procedimento: imputato e persona offesa-danneggiato-vittima. Del resto, se si vuole dare spazio ad un paradigma che consente di ottenere dei risultati più efficaci rispetto a quelli raggiungibili mediante il sistema penale tradizionale di tipo impositivo e punitivo – proprio in quanto riesce a intervenire sulla relazione restituendo voce ai suoi protagonisti, ai loro bisogni e alle lore sofferenze – non si può immaginare di rinunciare alla specificità dell’aspetto relazionale prescindendo dalla presenza della vittima diretta. Diversamente, non solo si finirebbe con mancare l’obiettivo di tenere conto dei bisogni delle vittime, secondo quanto indicato anche dalla direttiva UE 2012 (29), ma soprattutto si rischierebbe di tradire l’essenza del paradigma riparativo dando spazio a qualcosa che soltanto gli assomiglia.

Una mediazione con vittima aspecifica, invece, potrebbe avere luogo in fase penitenziaria.

La definitività della sentenza di condanna, da un punto di vista giuridico, restituisce un quadro dai contorni più netti, in cui i profili della responsabilità e dei ruoli sono definiti. Ciò, paradossalmente, aiuta a creare una maggiore interazione con il linguaggio deformalizzato della procedura riparativa, aprendosi alla partecipazione di vittime surrogate. Ed invero, poiché il fatto di reato è stato cristallizzato nella sentenza di condanna, non conta più individuare chi sia l’autore o la vittima di un determinato reato e ciò può favorire il dialogo e l’incontro anche tra autori e vittime di uno stesso tipo di reato, piuttosto che di “quel” reato. Così come possono scegliersi dei programmi in cui si dà maggiore spazio alla comunità al fine di ricomporre l’ordine giuridico violato.

La prassi, invero, ha evidenziato come il passaggio del tempo, in molti casi, sviluppi dinamiche psicologiche di rielaborazione e rimozione dei vissuti che rendono estremamente arduo per la vittima porsi a confronto con il reo una volta che il processo si è concluso. Il fattore tempo, al contrario, per il condannato, ove egli sia adeguatamente supportato dagli operatori, può giocare un ruolo essenziale nel favorire un percorso di riflessione critica delle proprie azioni, anche relativamente alle conseguenze negative prodotte dalla condotta antigiuridica, con una consequenziale assunzione di responsabilità non soltanto nei confronti “della legge”, ma anche per i danni arrecati alla persona offesa o danneggiata e alla comunità.

Senza considerare che è dopo la condanna che sia le vittime sia i condannati sperimentano la frustrazione e l’insoddisfazione che spesso accompagna gli esiti della giustizia impositiva; quando si sviluppa l’esigenza di andare ad esplorare «le conseguenze o questioni derivanti dal reato» – come si esprime l’art. 42 d.lgs. n. 150/2022 – rimaste irrisolte: un senso di colpa di cui non ci si riesce a liberare o una rabbia che non trova soddisfazione e significato per la perdita subita. Ed è così che il reato diventa un punto di partenza per giungere al superamento di quel fatto che finisce con intrappolare le persone nel passato, consentendo loro di guardare al futuro.

Il generico riferimento contenuto negli articoli art. 15-bis ord. penit. e 1-bis d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 121 riguardo all’iniziativa del condannato o dell’internato in ordine alla possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa, in questi casi, a differenza di quanto sostenuto per la fase processuale, andrebbe dunque inteso senza limitazioni, aprendosi alle molteplici esperienze di restorative justice, compresa la mediazione aspecifica.

Rispetto, quindi, all’idea di promuovere la giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento, soprattutto nel periodo iniziale di sperimentazione della riforma, ci sembra più probabile che tale esperienza finisca col rimanere confinata alla fase esecutiva, quando, peraltro, i dubbi e le perplessità in ordine alla compressione delle garanzie processuali del giusto processo vengono meno atteso che i fatti sono stati compiutamente accertati, l’imputato ha goduto fino alla irrevocabilità della sentenza della presunzione di innocenza e, di conseguenza, il campo si presenta libero da possibili interferenze [23].

In effetti, la riforma ha lasciato in ombra molti aspetti delicatissimi concernenti la tutela dei diritti dell’imputato.

Gli spazi di questo intervento non mi consentono di approfondire adeguatamente l’argomento, ma non pare potersi revocare in dubbio che la norma meno riuscita sia proprio l’art. 129-bis c.p.p.: come si è già accennato, l’iniziativa d’ufficio del giudice e i dubbi sulla imparzialità che ne conseguono, l’assenza di chiarezza sui presupposti di invio, sui tempi e su come e quando il giudice recepirà gli esiti derivanti dalla partecipazione ad un programma di giustizia riparativa – quando ancora il procedimento è in corso – determineranno una scarsa propensione da parte dell’imputato ad attivarsi, soprattutto, in una fase anticipata del rito, quando, tra l’altro, un esito di tipo non sanzionatorio, collegato ad un istituto di diversion, è comunque conseguibile anche senza un accordo con la persona offesa.

La prospettiva, tutt’al più, potrebbe cambiare all’approssimarsi di una eventuale condanna. Una volta, infatti, giunti in limine al giudizio o in giudizio, l’imputato potrebbe avere interesse ad impegnarsi nella partecipazione ad un programma riparativo al fine di ottenere, ad esempio, un proscioglimento per la non particolare gravità del fatto, ex art. 131-bis c.p., l’applicazione della nuova circostanza attenuante prevista dall’art. 62, n. 6, c.p., delle circostanze attenuanti generiche o comunque una mitigazione della pena ex art. 133 o la concessione della sospensione condizionale della pena.

Con effetti sul piano dell’efficienza, probabilmente, circoscritti, ma con un recupero, comunque, in termini di efficacia della risposta al fatto costituente reato.


3. Il felice innesto della giustizia riparativa nei procedimenti relativi ai reati perseguibili a querela

Il quadro è diverso per i reati perseguibili a querela di parte.

L’ansia per l’accelerazione dei tempi di svolgimento del procedimento che pervade tutto il recente assetto normativo del rito penale, che mira all’efficienza del processo e alla celere definizione del rito, ha portato all’estensione del regime della procedibilità a querela di parte.

Non è una novità: il legislatore scommette ciclicamente sulla querela per realizzare gli obiettivi di efficienza del procedimento penale accusatorio; i risultati, però, non sempre sono stati soddisfacenti. Anche la riforma Cartabia, anziché optare per la depenalizzazione, ha scelto di valorizzare le indubbie potenzialità deflative della querela [24] con l’auspicio che una parte di esse non verranno presentate o, una volta presentate, possano in qualche modo scomparire di fronte ad accordi risarcitori extra processuali. Sul punto, non si è fatto mistero che, nella selezione delle fattispecie, siano state determinanti proprio le considerazioni sulla possibilità di definire anticipatamente il rito attraverso soluzioni risarcitorie o riparatorie e la conseguente estinzione del reato in seguito alla remissione della querela o all’attivazione della causa estintiva di cui all’art. 162-ter c.p. [25].

In questo ambito, in cui si sono voluti valorizzare i nessi sistemici tra la querela e la deflazione del procedimento penale, anche attraverso la promozione di occasioni di scambio e di dialogo tra accusato e querelante, la giustizia riparativa si pone al servizio del sistema processuale agevolandone un’anti­cipata conclusione per mezzo della remissione o addirittura della rinuncia alla querela stessa [26]. L’as­senza di una dimensione sovraindividuale del bene giuridico offeso dal reato avvicina i due paradigmi mettendo al centro la volontà dei privati e solo in secondo piano l’interesse dello Stato alla punizione del reo e alla stessa instaurazione del rito. I due modelli d’intervento, quindi, convivono felicemente e si alimentano a vicenda.

Anche relativamente alla tecnica legislativa, la disciplina introdotta dall’art. 129-bis, comma 4, c.p.p. appare più puntuale e meno esente da critiche.

I protagonisti sono ben identificati: querelante e querelato. Lo strumento deve essere necessariamente dialogico in quanto non si potrà prescindere dall’ascolto della voce delle persone coinvolte nella vicenda penale, coerentemente alla filosofia riparativa ma anche alla disciplina sulla procedibilità a querela. Fermo restando che il programma potrà estendersi ad altri partecipanti. Come nel caso, ad esempio, della morte del querelante. Qui, infatti, si coglie un aspetto positivo della formula degli artt. 45 e 53 d.lgs. n. 150/2022, la cui duttilità si adatta alla possibilità che, dopo la morte del querelante, al programma riparativo possano intervenire gli eredi al fine di trovare un accordo per la remissione della querela, in ossequio a quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 151/1975 [27].

Inoltre, poiché secondo l’art. 45 d.lgs. n. 150/2022, tra i partecipanti vanno inclusi gli «altri soggetti appartenenti alla comunità», quali i familiari della vittima e della persona indicata come autore dell’of­fesa, ma anche gli enti e le associazioni che potrebbero essere coinvolte nella individuazione degli obblighi riparativi del querelato (rappresentanti o delegati di Stato, Regioni, enti locali o di altri enti pubblici, autorità di pubblica sicurezza, servizi sociali) (lett. c), o, più in generale, «chiunque vi abbia interesse» (lett. d), non è da escludere che possano partecipare, previo accordo del querelante e del querelato, anche le assicurazioni, che, però, a mio avviso, per ridurre ulteriori elementi di conflittualità – analogamente a quanto previsto per i difensori – dovrebbero poter assistere i partecipanti solo nella definizione degli accordi relativi all’esito materiale, ai sensi dell’art. 56 d.lgs. n. 150/2022, cioè nelle battute finali del programma.

Per quanto concerne, invece, l’iniziativa, per i reati perseguibili a querela non vi è alcuno spazio per un’iniziativa officiosa in quanto la richiesta deve provenire dall’imputato.

Se il processo è già iniziato la decisione sull’invio, comunque, spetta al giudice. Prima dell’esercizio dell’azione penale si potrà procedere dopo la trasmissione dell’avviso di conclusione delle indagini e, dunque, dopo che il pubblico ministero ha escluso che ci siano i presupposti per un’archiviazione. Ciò in quanto solo la sussistenza di elementi per formulare una ragionevole previsione di condanna giustificherà un eventuale impiego di risorse ulteriori da parte dei Centri di Giustizia riparativa.

Va peraltro segnalato che, sebbene l’art. 129-bis, comma 4, c.p.p. si riferisca in generale al giudice, se si vuole rimanere coerenti con quanto previsto dalla norma al comma 3, in fase di indagini l’invio dovrebbe essere disposto dal pubblico ministero.

Trattandosi di reati perseguibili a querela ritrattabile, nella maggioranza dei casi la competenza sarà del tribunale monocratico e si procederà con citazione diretta. Ne consegue che troverà applicazione la disciplina della nuova udienza di comparizione predibattimentale, in cui, all’art. 554-bis, comma 4, c.p.p., è espressamente previsto che il giudice deve accertare se il querelante è disposto a rimettere la querela. «È disposto» pare evocare l’idea di acquisire un accordo già formato, ritengo, però, che, proprio in questa sede, dovrebbe essere consentito sondare la disponibilità delle parti anche ad intraprendere un percorso di tipo riparativo volto alla rimessione della querela, senza che ancora se ne conosca l’esito.

Dalla norma non si ricava un termine finale, dunque, fino a quando non interviene la condanna definitiva sarà sempre possibile cogliere quest’opportunità.

In ogni caso, ai fini della individuazione del giudice competente si applica l’art. 45-ter disp. att. c.p.p.: dopo il decreto di citazione diretta a giudizio i provvedimenti sono adottati dal g.i.p. fino a quando il decreto, unitamente al fascicolo, non è trasmesso al giudice del predibattimento. Dopo la pronuncia della sentenza e prima della trasmissione degli atti al giudice dell’impugnazione provvede il giudice che ha emesso la sentenza. Durante la pendenza del ricorso per cassazione provvede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

L’accesso ai programmi di giustizia riparativa, in altri termini, sarà consentito in ogni stato e grado. Ma anche prima della stessa presentazione della querela, quando il paradigma riparativo si pone in chiave di vera e propria alternatività – e non di complementarità – con il procedimento penale [28]. L’ini­ziativa e anche l’avvio del programma riparativo, qui, nascono dall’iniziativa degli stessi soggetti privati che (a loro spese) decidono di tentare di trovare un accordo sulle questioni derivanti dal reato attraverso l’aiuto di un mediatore piuttosto che rivolgendosi ad un giudice, con conseguente rinuncia alla stessa proposizione della querela ove l’esito del percorso riparativo sia positivo.

Affinché questa prassi possa diffondersi sarà essenziale far crescere la cultura riparativa, e in ciò giocheranno un ruolo essenziale, anzitutto, gli avvocati. Non solo. Anche le forze di polizia potrebbero sensibilizzare il querelante e il querelato a rivolgersi ad un Centro di Giustizia riparativa, coerentemente a quanto previsto dall’art. 1, comma 2, t.u. pubblica sicurezza, il quale dispone che l’autorità di pubblica sicurezza «per mezzo dei suoi ufficiali, ed a richiesta delle parti, provvede alla bonaria composizione dei dissidi privati».

Anche i tempi in questo caso sono chiaramente definiti: il procedimento verrà sospeso per un massimo di 180 giorni e si sospendono la prescrizione (art. 159 c.p.) e anche i termini di improcedibilità dell’azione (art. 344-bis, commi 6 e 8, c.p.p.).

Inoltre, poiché nei reati perseguibili a querela l’ordinamento dà prevalenza alla volontà negoziale delle parti, può non apparire distopico uno scenario in cui conta la composizione del conflitto piuttosto che l’accertamento del fatto e della responsabilità [29].

Rimane fermo, comunque, che il giudice, prima di prosciogliere l’imputato per l’intervenuta remissione della querela, accerta se sussistono le condizioni per il proscioglimento nel merito; condizione che nelle fasi anteriori al dibattimento caratterizzate da un limitato materiale probatorio si verifica solo se dagli atti già acquisiti risulta “evidente” l’innocenza dell’imputato [30].

Infine, non vi sono incertezze circa gli effetti derivanti dalla partecipazione ad un programma di tipo riparativo: in caso di esito positivo, alla remissione della querela segue l’estinzione del reato. Il legislatore, peraltro, ha specificato che si ha remissione tacita della querela «quando il querelante ha partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo; nondimeno, quando l’esito riparativo comporta l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, la querela si intende rimessa solo quando gli impegni sono stati rispettati». Purché, però, ai sensi dell’art. 90-bis, p-ter, c.p.p., il querelante sia stato adeguatamente informato di tali effetti. Manca una previsione analoga per il querelato, ma deve ritenersi che anche per quest’ultimo la partecipazione al programma di tipo riparativo e la conclusione di tipo simbolico o materiale equivalga ad una accettazione della remissione della querela; sicché, di ciò va informato.

L’art. 43, lett. f, d.lgs. n. 150/2022 fa riferimento alla ragionevolezza e proporzionalità degli eventuali esiti riparativi consensualmente raggiunti.

Ci si è chiesti se in questa valutazione residui un margine di discrezionalità giudiziaria. Sul punto occorre essere molto cauti e cercare di evitare che si possano alterare le dinamiche della giustizia riparativa, in cui è proprio la condivisione dell’accordo raggiunto autonomamente dai suoi protagonisti con l’aiuto del mediatore a sancire la distanza con le logiche della giustizia impositiva. La proporzionalità, la ragionevolezza e anche la liceità degli accordi devono essere dei parametri interni che devono guidare le parti durante le trattative fino alla fase finale. Di conseguenza, dovrebbe essere il mediatore, eventualmente, a decretare il mancato raggiungimento dell’accordo ove non dovesse essere riuscito ad innescare un dialogo capace di condurre ad un esito conforme ai requisiti sopra richiamati.

Il ruolo dei mediatori dovrebbe essere non solo di facilitazione del dialogo (garanzia sul metodo) ma anche di valutazione dell’esito raggiunto in mediazione (garanzia sui contenuti). Semmai, potrebbe essere opportuno stabilire a tal fine dei criteri, d’intesa con la magistratura, che possano guidare il mediatore in questa valutazione e che possano delimitare con più precisione il ruolo di garanzia che egli assume [31].

Meno incertezze, comunque, anche sotto questo profilo, si riscontrano quando si tratta di reati perseguibili a querela, in quanto il raggiungimento dell’accordo e la rimessione della querela determineranno l’estinzione del reato e la conclusione del procedimento, senza che sussistano spazi per valutazioni ulteriori da parte del giudice.

L’accordo, a mio avviso, sarebbe opportuno si estenda, se possibile, anche alle spese del procedimento che altrimenti, nel caso de quo, graverebbero sul querelante; mentre in caso di proscioglimento gravano sul querelato. Ciò per garantire che la definizione di tutte le questioni derivanti dal reato, comprese quelle legate alle spese conseguenti all’instaurazione del procedimento, siano rimesse alla determinazione delle parti con l’aiuto del mediatore, piuttosto che lasciare che ne rimanga “uno strascico” da affidare alla giustizia impositiva, che potrebbe rimettere in gioco quei sentimenti di frustrazione che spesso derivano da una giustizia “calata dall’alto”.


4. L’estinzione per condotte riparatorie quale controspinta alla restorative justice

L’estensione del novero dei reati perseguibili a querela risponde, com’è noto, ad un preciso obiettivo del legislatore: aumentare l’efficienza del processo penale.

Si è ritenuto [32] che, in un sistema quale quello italiano, in cui il numero dei procedimenti è notevolmente elevato, anche in ragione dell’obbligatorietà dell’azione penale, è ragionevole e strategicamente opportuno, rispetto agli obiettivi di efficienza, ampliare il novero dei reati procedibili a querela, atteso che, in non pochi casi (emblematici i casi dei furti aggravati, magari solo per la destrezza o l’esposizione della cosa alla pubblica fede), lo Stato è costretto a celebrare procedimenti che potrebbero essere definiti anticipatamente con il risarcimento del danno, la piena soddisfazione della persona offesa e l’estinzione del reato. La procedibilità a querela, dunque, rappresenta un forte incentivo alla riparazione dell’offesa nonché alla definizione anticipata del rito. L’intento è stato anche quello di rivitalizzare l’istituto della estinzione per condotte riparatorie ex art. 162-ter c.p. che, secondo i dati illustrati anche dal Primo Presidente della Corte di cassazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2021, risulta scarsamente applicato, soprattutto in sede dibattimentale.

Ed invero, nell’ipotesi in cui non si sia raggiunto un accordo riparativo e non sia stata rimessa la querela, c’è ancora spazio per ottenere una sentenza di estinzione del reato per condotte riparatorie una volta che l’imputato, prima del dibattimento, abbia riparato interamente il danno cagionato dal reato mediante restituzioni o risarcimento, eliminando ove possibile le conseguenze dannose o pericolose del reato.

Di fatto, tuttavia, questa eventualità potrebbe essere un incentivo per il querelante e il querelato a partecipare proficuamente ad un eventuale programma riparativo. Con il risultato che se la giustizia riparativa – come si auspica – funzionerà, l’istituto di cui all’art. 162-ter c.p., continuerà a trovare una limitata applicazione.

Tale interesse sussiste per entrambi: per l’imputato, in quanto per ottenere l’estinzione del reato dovrà risarcire integralmente il danno, mentre in sede di giustizia riparativa potrebbe riuscire a concordare un risarcimento parziale o anche soltanto simbolico; per la vittima, perché se vuole avere una voce in capitolo nella individuazione del danno, è bene che essa partecipi al programma riparativo, giacché altrimenti l’esito estintivo sarà rimesso alla sola iniziativa dell’imputato e alla decisione del giudice che valuterà la congruità dell’offerta reale o del risarcimento danno.

La possibilità di concludere il procedimento ai sensi dell’art. 162-ter c.p. rappresenterà, dunque, una sorta di controspinta all’implementazione della giustizia riparativa agevolando il dialogo tra le parti, in quanto il querelante sarà portato ad evitare di alzare troppo la posta in gioco, mentre il querelato sarà più disponibile a farsi carico anche dei danni, come quelli psichici, che generalmente non vengono computati ai fini del risarcimento. Con la restorative justice, in particolare, sarà possibile prendere in considerazione anche “piccole cose di valore non quantificabile” [33], la cui riparazione spesso non si raggiunge mediante una mera attività materiale, ma anche con azioni di tipo simbolico. Con conseguente maggiore soddisfazione da parte delle vittime, non sempre interessate ad una somma di denaro, e maggiore responsabilizzazione dell’imputato, il cui impegno andrà oltre il mero risarcimento del danno, aprendosi ad accogliere il vissuto e, dunque, la sofferenza cagionata.

Inoltre, con riferimento all’orientamento secondo cui, il giudice penale, ai sensi dell’art. 162-ter c.p., si pronuncia solo sulla congruità del risarcimento offerto ai fini dell’estinzione del reato [34], il vantaggio di definire l’accordo in sede riparativa potrà consistere nel poter concordare anche gli eventuali danni ulteriori rispetto al c.d. danno criminale; con il conseguente venir meno dell’interesse del querelante a rivolgersi al giudice civile. Sicché, l’esito raggiunto attraverso il programma riparativo potrà avere un effetto deflattivo sia sulla giurisdizione penale sia su quella civile.

In conclusione, con riferimento ai reati perseguibili a querela, l’innesto della restorative justice nel sistema penale riesce a centrare i tre obiettivi principali per i quali da tempo si guarda ad essa per superare la crisi della giustizia.

•   Una risposta più efficiente: il processo si può chiudere in una fase molto anticipata, addirittura in alternativa allo stesso sistema giudiziario, con conseguente minor impiego di risorse e deflazione del sistema. Con soddisfazione degli indagati/imputati, che possono uscire anticipatamente dal processo penale giovandosi dell’estinzione del reato; delle persone offese e danneggiate, che possono trovare una concreta e tempestiva risposta alla domanda di giustizia attraverso il risarcimento del danno e le altre condotte riparatorie dell’offesa o ripristinatorie; per l’amministrazione della giustizia, che può definire anticipatamente un certo numero di procedimenti, dedicando le proprie limitate energie ai reati di maggiore gravità o che coinvolgono interessi superindividuali [35].

•   Attenzione anche ai bisogni delle vittime che vedono non solo risarcito il danno, ma accolte le proprie istanze di riconoscimento.

•   Una risposta più efficace: si ottiene un effetto deflativo senza rinunziare agli obiettivi della specialprevenzione e della pacificazione sociale a cui tende, in ultimo, il diritto penale. L’estinzione del reato è, infatti, il risultato di un percorso che implica un’assunzione di responsabilità “verso” “l’altro”, sia esso la vittima o più in generale la comunità. L’intervento sulla relazione permette, inoltre, di superare il conflitto generato dal reato e i conseguenti fattori di instabilità sociale che, talvolta, proprio le logiche deflative della giustizia impositiva finiscono con alimentare.


5. La rivitalizzazione della funzione conciliativa del procedimento davanti al giudice di pace

L’ampliamento del novero dei reati perseguibili a querela e, soprattutto, l’implementazione della giustizia riparativa potrebbero, poi, essere d’aiuto a rivitalizzare le potenzialità di una procedura innovativa quale quella prevista per i procedimenti di competenza del giudice di pace.

Sarà, si auspica, l’occasione per riaffermare le logiche che stanno alla base di un modello di giurisdizione differenziato, in cui la risposta al fatto costituente reato è “mite”, in quanto il fine perseguito non è tanto giungere alla restaurazione dell’ordine giuridico violato attraverso la punizione, quanto ricomporre la frattura cagionata dal reato attraverso la conciliazione o la riparazione materiale.

Finalmente, si aggiunge il tassello mancante, ossia la concreta possibilità per il giudice di pace di avvalersi dell’apporto dei Centri di Giustizia riparativa al fine di facilitare un accordo in ordine alla remissione della querela e alla sua accettazione da parte del querelato. Superando, così, quelle opacità della previgente disciplina che aveva portato i giudici di pace a leggere l’art. 29 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 sovrapponendo la conciliazione con la mediazione sulla base di una ritenuta fungibilità fra le stesse. Laddove nella conciliazione il terzo neutrale, pur non avendo potere decisionale, ha un ruolo attivo nella risoluzione della disputa, assumendo una funzione direttiva nel promuovere la conciliazione e nel controllare ed orientare la discussione sugli elementi utili alla risoluzione della questione [36]. Diversamente, in mediazione alle parti viene lasciato per intero il potere e quindi la responsabilità di decidere se e come trovare una soluzione al conflitto che le oppone. Compito esclusivo dei mediatori è di facilitare la comunicazione utilizzando appositi strumenti. L’imparzialità dei mediatori, di conseguenza, non è solo rispetto agli interessi delle parti, ma anche rispetto alle relazioni di potere esistenti tra di esse: l’accordo che si raggiunge in mediazione non ha le caratteristiche del “compromesso”, che fissa una volta per tutte l’equilibrio tra gli interessi in gioco e che si fonda necessariamente sullo squilibrio delle posizioni di partenza, bensì quello di un patto basato sulla progressiva ricostruzione di una relazione tra le parti [37].

La partecipazione ad un programma di giustizia riparativa potrebbe, inoltre, ampliare gli spazi di applicabilità della declaratoria di improcedibilità per esiguità del fatto, ex art. 34 d.lgs. n. 274/2000, in quanto finisce col ridurre, in concreto, il disvalore del danno cagionato.

Così come essa potrà essere valorizzata ai fini di una pronuncia di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, ai sensi dell’art. 35 d.lgs. n. 274/2000, che presuppone soddisfatte le istanze di prevenzione e di riprovazione del reato. Concetti vaghi che sono suscettibili di dare luogo a irragionevoli disparità di trattamento, in quanto «Le tinte etiche e personologiche di una simile valutazione, ne aprono gli esiti alle molteplici soluzioni che giudici dalle differenti sensibilità potrebbero farne scaturire con pari legittimità» [38], ma che l’implementazione della giustizia riparativa potrebbe aiutare a riempire di contenuto. Non pare potersi revocare in dubbio, infatti, che l’eventuale riconciliazione con la vittima e l’effetto di pacificazione conseguente possono rappresentare un dato concreto sulla base del quale poter ritenere soddisfatte le esigenze di prevenzione generale e di riprovazione del reato.

Certo, nel complesso potrebbe ricavarsi la sensazione che, in nome dell’efficienza, si realizzi una privatizzazione e monetizzazione della giustizia, asservita all’interesse dei privati piuttosto che all’af­fer­mazione della legge penale [39]. A mio avviso, però, si tratta di una critica troppo severa.

L’implementazione della giustizia riparativa si inserisce nel solco tracciato dalla trasformazione, in senso orizzontale, del rapporto tra Stato e cittadino e trova il suo fondamento nella progressiva ridefinizione delle relazioni tra la società civile e lo Stato e, in particolare, nel dibattito sulla rideterminazione della legittimità del potere di regolare i conflitti, ovvero, di quale debba essere il ruolo della giustizia penale nel ripristinare uno Stato di diritto e di quiete sociale. Risulta sempre più evidente che ci stiamo avviando verso una pluralità di modi di regolazione giuridica corrispondenti a una nuova economia delle relazioni entro le norme sociali e legali [40], segno che è in atto una mutazione strutturale del sistema democratico e che, di conseguenza, occorra confrontarsi con l’esigenza di ripensare la funzione e il ruolo del meccanismo giudiziario come modo di risoluzione dei conflitti tra privati e tra individuo e Stato [41]. Non si tratta, dunque, di privatizzare la giustizia ma di portare avanti un’idea diversa di giustizia più prossima al cittadino.

Le caratteristiche del paradigma della restorative justice ci permettono, peraltro, di escludere che venga dato rilievo solo agli aspetti economici, poiché l’esito riparativo di tipo materiale rappresenta soltanto uno dei risultati possibili [42]. Il punto è che la giustizia riparativa fuoriesce dalle logiche tradizionali con le quali si è soliti analizzare il sistema giudiziario penale: punire, risarcire, rieducare, deflazionare. Essa, invero, conduce ad una rigenerazione esistenziale che passa dalla rigenerazione concreta della dimensione relazionale. È una giustizia “altra” ma che è allo stesso tempo (più) “alta” [43], in cui si il concetto di autoresponsabilità diventa «assunzione e presa in carico e quindi piena consapevolezza del significato e delle conseguenze del proprio agire attraverso la relazione con l’altro)» [44].


6. Il passato e il possibile futuro della giustizia riparativa nel rito minorile

Da ultimo, va ribadita con forza l’esigenza di non disperdere le esperienze positive che si sono registrate nel settore minorile, dove la giustizia riparativa ha cominciato, in via sperimentale, a muovere i suoi primi passi fino a divenire una prassi in cerca di consacrazione legislativa [45].

Ancora una volta, però, il legislatore è sembrato distratto ed ha dedicato un’attenzione molto marginale al raccordo tra la giustizia riparativa e il rito previsto per i reati commessi dai minorenni.

L’unico intervento ha riguardato l’interpolazione dell’art. 28 d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448 in cui è stato espressamente previsto che nell’ordinanza di sospensione del processo e messa alla prova con cui il giudice, per un verso, affida il minore ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno e, per altro verso, impartisce prescrizioni volte a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con la persona offesa, sia formulato anche l’invito a partecipare a un programma di giustizia riparativa, ove ne ricorrano le condizioni.

Si è affermato si tratti di una disciplina ad hoc sull’accesso alla giustizia riparativa in ambito minorile [46].

Più che altro a me sembra soltanto una modifica resa necessaria per adeguare la normativa a quanto previsto nel rito ordinario a proposito dell’analogo istituto per adulti. Si è, così, inteso evidenziare che la conciliazione e la riparazione con la persona offesa possono avvenire per mezzo della partecipazione ad un programma di giustizia riparativa.

È difficile invece sostenere che la messa alla prova vada considerata il contesto esclusivo o da preferire per l’avvio di un percorso di tipo riparativo [47].

Nonostante l’ampiezza della formula contenuta nell’art. 28 (atta a delimitarne non già i contenuti bensì unicamente gli scopi) abbia portato a ritenere, soprattutto nelle fasi iniziali di sperimentazione, che essa potesse rappresentare un riferimento consono all’innesto della mediazione nel sistema minorile, la messa alla prova non si presta ad elevarsi a canale di accesso privilegiato degli strumenti della giustizia riparativa [48].

Tra le varie motivazioni, a me sembra che il maggior ostacolo sia rappresentato dalla circostanza che la centralità attribuita alla valutazione del comportamento del minorenne ai fini dell’esito della prova potrebbe, poi, far emergere l’esigenza di conoscere se l’eventuale fallimento del programma riparativo sia da attribuire ad uno scarso impegno del reo o al rifiuto da parte della vittima di portare a termine il percorso avviato. Un’esigenza, questa, che trova un ostacolo nei requisiti di segretezza e di confidenzialità. È noto, infatti, che la riservatezza rappresenti un principio essenziale della giustizia riparativa [49]. Sono due le ragioni. In primo luogo, tale condizione risulta indispensabile per garantire un’effettiva libertà di scambio tra le parti e per la trattazione a tutto tondo del conflitto e delle sue implicazioni [50]. In secondo luogo, essa protegge gli interessi delle parti, soddisfacendo, soprattutto, un’esigenza di natura squisitamente processuale: tutela il principio del nemo tenetur se detegere o, più in generale, il diritto di difesa dell’accusato, al quale deve essere assicurato che le dichiarazioni e i fatti emersi nel corso delle attività riparative, in caso di esito negativo, non siano suscettibili di utilizzazione.

È proprio per sfuggire a queste critiche che nella prassi la mediazione è stata praticata prima e al di fuori del progetto di messa alla prova. In assenza, infatti, di specificazioni in ordine ai modi, ai tempi e alle forme di quest’ingresso, giacché l’unico profilo di disciplina ricavabile dalla previsione normativa concerne la volontarietà che connota la partecipazione a tali pratiche, per rimarcare tale fondamentale caratteristica, alcuni tribunali hanno scelto – attraverso la predisposizione di appositi protocolli operativi – di estromettere il percorso di giustizia riparativa dal progetto di messa alla prova, in maniera da escludere ogni ambiguità circa la natura solo promozionale, e non anche prescrittiva, dell’invio in mediazione. In questi casi, se anche l’occasione per avviare il percorso riparativo è stata fornita dalla sospensione del processo per la valutazione della personalità ex art. 28 d.p.r. n. 448/1988, quel percorso non è stato inserito tra le prescrizioni che compongono la prova, presentandosi come un’opportunità offerta in modo ulteriore e indipendente. Si è potuto così rafforzare il principio – comunque condiviso anche dai magistrati che includono l’avvio della ‘conciliazione’ tra le prescrizioni della messa alla prova – secondo cui l’eventuale interruzione o fallimento del programma di giustizia riparativa, per qualsiasi ragione avvenga, non può influenzare la valutazione in ordine all’esito della prova; coerentemente, appunto, al principio di confidenzialità e a tutela della presunzione di innocenza dell’imputato [51].

Queste esperienze, come si è detto, vanno preservate. Proprio partendo da queste ultime, va ricordato che, in verità, fino ad ora, il principale “canale” di accesso ai programmi di giustizia riparativa è stato individuato nell’art. 9 d.p.r. n. 448/1988 e segnatamente nella previsione contenuta nel secondo comma, che contempla la possibilità, tanto per l’organo dell’accusa, quanto per il giudice, di acquisire informazioni sul minorenne e sentire esperti, anche senza alcuna formalità [52]. Si è sfruttata, cioè, la flessibilità dell’inchiesta sulla personalità dell’imputato minorenne adattandola alle modalità di svolgimento dei percorsi di giustizia riparativa e, specialmente, di mediazione.

Alla base vi è la consapevolezza che, ove possibile, un invio quanto più precoce del caso risponda meglio al principio di minor offensività del processo, limitando gli effetti negativi derivanti dall’eti­chettamento. Un incentivo, dunque, al ricorso a tecniche di diversion nel quadro di una progressiva de-giurisdizionalizzazione della risposta statale alla delinquenza minorile [53].

La prassi, in genere, è la seguente: l’iniziativa è assunta dal p.m. o sollecitata dal g.i.p. [54] dopo aver valutato la dimensione relazionale del fatto e le possibili ricadute del reato sulle parti e sulla comunità di appartenenza. L’esito positivo di questo accertamento incidentale conduce l’autorità giudiziaria a demandare agli operatori specializzati (ovvero i componenti dell’ufficio per la mediazione) la praticabilità concreta del percorso di tipo riparativo [55]. La restituzione di un eventuale esito positivo della mediazione o degli altri meccanismi della restorative justice ha come sbocco processuale, nella maggior parte dei casi, la declaratoria di irrilevanza penale del fatto, ex art. 27 d.p.r. n. 448/1988, meno frequentemente il perdono giudiziale, oppure, nei termini sopra chiamati, l’avvio della messa alla prova [56].

Ebbene, nulla esclude che ai medesimi risultati si possa giungere applicando la disciplina contenuta nell’art. 129-bis c.p.p., in quanto norma di carattere generale, che, in virtù del principio sancito dall’art. 1 d.p.r. n. 448/1988, si estende anche al rito minorile, compatibilmente con le esigenze educative e di tutela della personalità del minorenne.

La giustizia riparativa, di conseguenza, potrà essere promossa in ogni stato e grado del procedimento, oltre che in fase penitenziaria (come espressamente previsto dall’art. 1 d.lgs. n. 121/2018).

Sarà possibile così superare (finalmente) le diseguaglianze e le incongruenze dovute alla disomogenea presenza dei servizi di giustizia riparativa sul territorio; in ossequio a quanto sottolineato, ad esempio, dalle Linee guida del CEPEJ 2007(13) [57] o dalla raccomandazione del Consiglio d’Europa nel 2018(8) [58], in cui “disponibilità” e “accessibilità” sono due capisaldi della restorative justice [59].

Sebbene il settore minorile sia stato il contesto di elezione per la sperimentazione della giustizia riparativa in virtù della natura flessibile di tale modello di giurisdizione, che punta a trovare risposte individualizzate in quanto responsabilizzanti e risocializzanti; nonché per dare spazio alle vittime che, nel rito de quo, non hanno alcuna possibilità di assumere un ruolo attivo, dato che l’azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato è inammissibile e la sentenza penale non ha efficacia di giudicato nel corrispondente giudizio civile. Ciò, nasconde un’insidia, ossia che in un sistema per sua natura informale, l’innesto di procedure caratterizzate a loro volta da un elevato tasso di informalità possa determinare un abbassamento dello standard di garanzie del giusto processo penale.

È proprio partendo dal rito minorile, pertanto, che occorre fissare alcuni punti fermi e tentare di offrire delle soluzioni interpretative finalizzate ad evitare che il processo abdichi del tutto la propria funzione di accertamento delle responsabilità in nome di un felice percorso educativo [60].


7. I presupposti di invio al Centro di Giustizia riparativa nell’ottica del rafforzamento delle garanzie processuali dell’imputato

La riforma ha introdotto una molteplicità di avvisi da dare alle parti nel corso del procedimento in ordine alla possibilità di partecipare ad un programma di giustizia riparativa [61], mentre, in sostanza, ha concentrato nel solo art. 129-bis c.p.p. la disciplina di raccordo tra il processo penale e la restorative justice.

In molti [62] – si è già detto – hanno criticato l’iniziativa ufficiosa del giudice, e sul punto è già stata proposta una modifica legislativa volta alla sua eliminazione [63].

Per quanto riguarda, invece, i presupposti per l’invio del caso, è previsto che il giudice disponga l’invio «qualora reputi che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti».

La formula è estremamente vaga [64]. Con il rischio che un giudizio dal contenuto così ampiamente discrezionale possa «lasciare aperte le porte a pregiudizi negativi nei confronti del nuovo e complesso paradigma della RJ o alla valorizzazione di rifiuti formulati in modo aprioristico, senza che siano state fornite le necessarie informazioni da parte dei professionisti della giustizia riparativa» [65].

L’elemento di maggiore delicatezza è il richiamo al concetto di utilità dello svolgimento del programma che, se visto in concreto, presuppone una complicata anticipazione della valutazione di fattibilità del percorso [66]. Se visto in astratto, potrebbe risolversi in una petizione di principio, in quanto potrebbe essere sempre utile tentare di raggiungere un esito riparativo.

Nella stesura della norma si colgono, a mio avviso, proprio le influenze delle prassi a lungo seguite nel settore minorile in cui, come si è sopra rilevato, il pubblico ministero o il g.i.p., nell’ambito dell’inchiesta personologica dell’imputato, disponevano l’avvio di un programma di giustizia riparativa dopo avere valutato la dimensione relazionale del fatto e le possibili ricadute del reato sulle parti e sulla comunità di appartenenza.

Ebbene, a mio avviso, sarà importante tenere conto di queste esperienze, con la difficoltà di adattare protocolli flessibili e informali ai canoni della disciplina legale. Ma occorre provarci.

Non solo. Si può approfittare della latitudine del concetto di utilità per riempirlo di contenuti finalizzati a rafforzare le garanzie processuali dell’imputato.

In particolare, nelle fasi anteriori al giudizio di merito, occorre sostenere con fermezza che il giudice, prima di avviare le parti ad un programma di tipo riparativo, debba escludere che ci siano i presupposti per una sentenza immediata di proscioglimento, ex art. 129 c.p.p. [67]. Si tratta di un accertamento minimo che va garantito ogni qual volta il processo possa essere definito anticipatamente con una sentenza che presuppone la responsabilità dell’imputato [68]. Del resto, come può considerarsi “utile” in un’ot­tica di tutela dell’efficienza e dell’economia processuale impegnare risorse e tempo in una procedura che può concludersi immediatamente?

Ciò vale a maggior ragione nel rito minorile, dove una conclusione diversa comporterebbe una (ingiustificabile) duplicazione delle attività processuali e un altrettanto irragionevole allungamento dei tempi di permanenza del minorenne nell’area penale, in contrasto con le esigenze di favor minoris che impongono, ove possibile, una sua fuoriuscita precoce dal sistema.

Al fine di rafforzare i diritti dell’imputato e garantire che l’adesione al programma riparativo sia espressione di una scelta volontaria e consapevole, sarebbe inoltre opportuno informarlo, in occasione dell’interpello previsto dall’art. 129-bis c.p.p. prima della decisione sull’invio, degli effetti processuali che derivano dalla partecipazione ad un programma di tipo riparativo, specificando che esso potrà anche concludersi con un esito anticipato di tipo non sanzionatorio che presuppone la sua responsabilità ma che implica la rinuncia alla pienezza dell’accertamento e delle garanzie del contraddittorio dibattimentale.

Inoltre, in sede di interpello occorrerebbe tenere in considerazione quanto sperimentato sempre in via di prassi, in cui si suole preliminarmente vagliare la disponibilità dell’imputato ad essere contattato da un Centro di Giustizia riparativa; fermo restando che sarà poi il mediatore ad acquisire il consenso all’avvio della procedura. Il fine è quello di evitare effetti di vittimizzazione secondaria sulla vittima, oltre che di iniziare inutilmente il programma.

Ed ancora, sempre con riferimento ai minorenni, non dovrebbero esserci incertezze sul fatto che prima dell’invio, il giudice debba pronunciarsi sull’imputabilità dell’imputato, accertando la sua età – in caso di dubbio – nonché la sua capacità di intendere e di volere. Capacità che, nel caso dei reati commessi da minorenne, non è presunta, dovendo verificarsi di volta in volta la maturità del soggetto, oltre che l’assenza di eventuali patologie psichiatriche.

Va, pertanto, definitivamente superata la consuetudine di far partecipare alla mediazione o ad altri programmi di restorative justice il minorenne non imputabile al momento dei fatti sul presupposto che ciò possa costituire un momento di responsabilizzazione per il futuro, grazie alla presa di consapevolezza delle conseguenze del comportamento tenuto [69]. In primo luogo, perché, anche in questo caso deve considerarsi “non utile” avviare il paradigma riparativo allorché sia possibile una pronuncia ai sensi dell’art. 26 d.p.r. n. 448/1988, giacché qualunque opzione che prolunghi la permanenza dell’imputato sub iudice deve considerarsi contraria alla legge, al principio di minima offensività e all’economia processuale. Ma soprattutto perché il minorenne, non essendo rimproverabile, non può essere considerato penalmente responsabile delle proprie azioni e dunque non può neanche partecipare ad un programma riparativo all’interno del procedimento penale.


8. Una riforma il cui impatto sarà forse limitato ma apre ad una nuova dimensione culturale

In conclusione, da una più attenta riflessione emerge che, contrariamente alle impressioni che possono trarsi da una lettura iniziale della normativa, nonostante non si siano posti limiti alla praticabilità della giustizia riparativa nel sistema penale, essa probabilmente continuerà a trovare posto prevalentemente nei sottosistemi minorile e del giudice di pace, oltre che per i reati procedibili a querela; oppure rappresenterà uno spazio in cui permettere al condannato, in fase penitenziaria, di assumere delle iniziative che siano espressive di un reale e doloroso percorso di ravvedimento.

In questo quadro gli obiettivi di efficienza e di maggiore efficacia della risposta al fatto costituente reato derivanti dalla implementazione della giustizia riparativa nel sistema penale rischiano di ridimensionarsi.

Il che tuttavia non deve indurre ad una valutazione negativa della riforma.

Innanzitutto, perché essa apre ad una nuova dimensione culturale che può essere d’aiuto per esaminare gli scopi ed individuare gli strumenti con i quali attuare il diritto penale in modo più innovativo e umano [70].

La progressiva adesione ai dettami della giustizia riparativa si auspica inoltre possa favorire il raccordo tra i due sistemi: impositivo-punitivo e conciliativo-riparativo e consentire al legislatore e all’in­ter­prete di individuare i correttivi necessari per superare le criticità riscontrate.

Del resto, che in questa prima fase gli spazi della giustizia riparativa rimangano, nei fatti, circoscritti può non essere un male, in quanto il sistema diversamente potrebbe non reggere il suo impatto. Occorre, in particolare, evitare il rischio che alla domanda non corrisponda un’adeguata offerta a causa di un numero di mediatori inferiori alle richieste di intervento. Ed è chiaro che su questo peseranno la quantità di Centri di Giustizia riparativa che verranno istituiti sul territorio.

Al di là di ogni considerazione, un punto, però, deve essere tenuto fermo: evitare che si tradisca l’essenza del paradigma riparativo. Altrimenti quella che doveva essere una riforma epocale, non solo si trasformerebbe in un’imperdonabile occasione mancata, ma vi sarebbe il rischio diventasse un’ipotesi di giustizia negata.


NOTE

[1] Cfr. B. Tobagi, Giustizia riparativa: spezzare la catena del male, § 8, in www.valigiablu.it, 4 dicembre 2021; v. anche P. Lattari, La legge 134 del 2012 e gli oggetti della disciplina organica delegata ed i principi e fonti europee ed internazionali, in P. Lattari (a cura di), La Giustizia Riparativa. Tra principi normativi, legge N. 134 del 2021 ed esperienza concreta, Milano, Key, 2022, p. 138.

[2] M. Iannuzziello, La disciplina organica della giustizia riparativa e l’esito riparativo come circostanza attenuante comune, in Legisl. pen., 28 novembre 2022, p. 11.

[3] In questi termini v. L. Parlato, La giustizia riparativa: i nuovi e molteplici incroci con il rito penale, in D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso (a cura di), Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, Vicenza, Wolters Kluwer, 2023, p. 269. Cfr., altresì, l’analisi di P. Maggio, Giustizia riparativa e sistema penale nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Parte II. «Disciplina organica» e aspetti di diritto processuale, in Sist. pen., 27 febbraio 2023.

[4] Così G. Mannozzi, Collocazione sistematica e potenzialità deflative della mediazione penale, in G. De Francesco-E. Venafro (a cura di), Meritevolezza di pena e logiche deflative, Torino, Giappichelli, 2002, p. 120. L’A., in particolare, ricorda il fondamentale contributo di Hulsman, il quale sulla base dell’assunto della artificialità del prodotto ‘criminale’, ritiene che la via dell’abolizio­nismo dovrebbe diventare una «necessità logica, una strada realistica, una esigenza di equità» (In questi termini v. L. Hulsman, Abolire il sistema penale?, in Dei delitti e delle pene, 1983, p. 71 ss.). In argomento vedi, in particolare, L. Hulsman-J. Bernat de Célis, Peines perdues. Le système pénal en question, Paris, Le Centurion, 1982; L. Hulsman, Abolire il sistema penale?, in M. Pavarini (a cura di), Studi di teoria della pena e del controllo sociale, Bologna, Lorenzini, 1987, p. 305 ss. Essenziali, poi, sono state anche le teorie di N. Christie, Limits to Pain, Oxford, M. Robertson, 1982; traduzione italiana dal titolo Abolire le pene? Il paradosso del sistema penale, Torino, Edizioni gruppo Abele, 1985, p. 107 ss., il quale, partendo dall’idea della pena come pura inflizione di ‘dolore’, rileva l’assoluta carenza di verifica empirica concernente i fini preventivi dichiarati della pena e perciò, mostra, in ultima analisi, il deficit di legittimazione ‘esogena’ dell’intervento punitivo stesso.

[5] Più diffusamente, in argomento, v. J. Auerbach, Justice without law?, New York, Oxford University press, 1983, p. 5 ss.; nonché, fra gli altri G. Cosi, Giustizia senza giudizio. Limiti del diritto e tecniche di mediazione, in F. Molinari-A. Amoroso (a cura di), Criminalità minorile e mediazione. Riflessioni pluridisciplinari, esperienze di mediazione e ricerche criminologiche sui minori, Milano, Franco Angeli, 1998, p. 188; V. Patané, Note a margine della Raccomandazione N.R. (99) 19 nella prospettiva della ‘Mediazione’ nella giustizia penale italiana, in Annali della Facoltà dell’Università di Catania, 1999, p. 4.

[6] L. Parlato, La giustizia riparativa: i nuovi e molteplici incroci con il rito penale, cit., p. 269.

[7] Secondo C. Pansini, Qualche riflessione (critica) sulla “nuova” giustizia riparativa, in Dir. pen. proc. 2023, 5, p. 691. «L’impre­cisione delle definizioni è accompagnata dalla farraginosità, sotto il profilo normativo, del percorso della restorative justice».

[8] Sebbene tale accesso incondizionato possa apparire apprezzabile, esso risulta sproporzionato per eccesso rispetto ai modelli costruiti dalla dottrina, in più, complicando l’individuazione dei limiti di compatibilità tra le esigenze della giustizia riparativa e le esigenze del processo (A. Presutti, Aspettative e ambizioni del paradigma riparativo codificato, in Sist. pen., 14 novembre 2022, § 4).

[9] M. Gialuz, La “Riforma Cartabia” nel sistema penale, in M. Gialuz-J. Della Torre, Giustizia per nessuno. L’inefficienza del sistema penale italiano tra crisi cronica e riforma Cartabia, Torino, Giappichelli, 2022, p. 380.

[10] Ciò vale sia per l’imputato che per la vittima, i quali avrebbero avuto la possibilità di ottenere una risposta più efficiente perché ottenuta in tempi più rapidi di quelli della giustizia tradizionale e anche più efficace perché frutto di un accordo frutto di un dialogo favorito da un facilitatore.

[11] Con questo non si intende sostenere che la giurisdizione penale va vista solo in funzione della punizione del colpevole o come mezzo di tutela collettiva dal delitto. È nostra opinione che, a fronte di un’idea di fondo che vede nella giurisdizione una dimensione di garanzia in favore del singolo, la giurisdizione possa dirigersi verso il perseguimento di finalità differenti, influenzate dagli obiettivi posti a fondamento del diritto penale. Sembra potersi affermare l’esistenza di diversi modelli di giurisdizione penale. Vale a dire, quando la punizione del fatto non è necessaria, essendo possibile la riparazione del conflitto originato dal reato, non occorre mettere in moto la sequenza di atti di cui si compone il processo (cfr., volendo, v. A. Ciavola Il contributo della giustizia consensuale e riparativa all’efficienza dei modelli di giurisdizione, Torino, Giappichelli, 2010, passim).

[12] V. Grevi, Garanzie soggettive e garanzie oggettive nel processo penale secondo il progetto della commissione bicamerale per le riforme costituzionali, in Id., Alla ricerca di un processo penale «giusto», Milano, Giuffrè, 2000, p. 191.

[13] Al riguardo, ex plurimis, v. M.G. Aimonetto, L’archiviazione “semplice” e la “nuova” archiviazione “condizionata” nell’ordina­mento francese: riflessioni e spunti per ipotesi di “deprocessualizzazione”, in Legisl. pen., 2000, f. 1, p. 101.

[14] In questi termini, in particolare, v. A. Ceretti, Mediazione, in AA.VV., Il processo penale dei minori: quale riforma per quale giustizia, Milano, Giuffrè, 2004, p. 97.

[15] La Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. A.C. 2435, elaborate della Commissione di studio presieduta da Giorgio Lattanzi può essere letta nella sua interezza al seguente link: www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/commissione_
LATTANZI_relazione_finale_24mag21.pdf
. La proposta di articolato prevedeva all’art. 3-bis la possibilità di subordinare l’ar­chiviazione all’adempimento di una o più prestazioni a favore della vittima o della collettività, laddove si procedesse per reati puniti con la pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, e al contempo si eliminava la messa alla prova dalla fase delle indagini preliminari. Sulla proposta di archiviazione meritata, fra gli altri, in particolare, v. M. Gialuz, La “Riforma Cartabia” nel sistema penale, cit., p. 335; Id., L’“archiviazione meritata” come terza via tra archiviazione ed esercizio dell’azione penale, in Proc. pen. giust., 2021, p. 309 ss.; nonché, V. Bonini, Evoluzioni della giustizia riparativa nel sistema penale, in questa Rivista, 2022, 1, p. 109.

[16] Osserva M. Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia, in Sist. pen., 2 novembre 2022, p. 20, che non è da escludere che nel caso concreto si possano comunque utilizzare istituti di carattere generale per consentire di portare a termine un programma di giustizia riparativa in modo da tenerne conto in sede giudiziale: nel caso in cui il programma si stia concludendo in prossimità della chiusura del dibattimento, l’imputato potrà chiedere un rinvio per consentire al giudice di prendere in considerazione l’esito riparativo in sede di commisurazione della pena.

[17] Al riguardo, per tutti, v. G. Di Chiara, La premura e la clessidra: i tempi della mediazione penale, in Dir. pen. proc., 2015, p. 377 ss.

[18] F. Sanvitale, Il processo penale alla prova della giustizia riparativa: una prospettiva pratica, in Sist. pen., 2023, 7-8, p. 131.

[19] A diversa conclusione, invece, può giungersi quando si tratta di reati in cui non esiste una vittima diretta. I cd. “quasi-restorative justice processes”, tra i quali rientrano i “victim surrogate programmes” sono nati proprio con riferimento ai reati senza vittima individuale o in cui la vittima non è rintracciabile (Handbook on Restorative Justice Programmes, II ed., Wien, 2020, § 3.3).

[20] M. Bouchard, Commento al Titolo IV del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 sulla disciplina organica della giustizia riparativa, in Quest. giust., 7 febbraio 2023, p. 17.

[21] E. Mattevi, La giustizia riparativa: disciplina organica e nuove intersezioni con il sistema penale, in D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso (a cura di), Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, cit., p. 250.

[22] M. Bouchard, op. loc. cit.

[23] Cfr., in particolare, D. Vicoli, La mediazione in fase esecutiva nel sistema italiano: il quadro normativo e le dinamiche applicative, in Riv. brasil. de dir. proc. pen., 2021, 3, p. 2293.

[24] L’estensione della procedibilità a querela diviene così l’ambito elettivo ancorché non esclusivo per superare in chiave deflativa le strettoie del principio di obbligatorietà dell’azione penale attraverso la valorizzazione delle componenti di discrezionalità in capo appunto all’offeso del reato. La scelta nella selezione dei reati è stata compiuta tenendo conto dei dati empirici specie in ordine alla frequenza casistica delle ipotesi e all’impatto sul carico dei procedimenti (al riguardo, fra gli altri, v. O.C. Artale-L. Bin, Procedibilità a querela, in D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso (a cura di), Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, cit., p. 163 ss.).

[25] M. Pisati, Procedibilità a querela: aspetti processuali, in D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso (a cura di), Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, cit., p. 209.

[26] Cfr. M. Pisati, Procedibilità a querela: aspetti processuali, cit., p. 205.

[27] C. cost., 19 giugno 1975, n. 151, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 156 c.p. nella parte in cui non attribuisce l’esercizio del diritto di remissione della querela agli eredi della persona offesa dal reato, allorché tutti vi consentano.

[28] V. De Gioia-G. Papiri, La Giustizia Riparativa, Piacenza, La Tribuna, 2022, p. 39.

[29] In tal senso v. F.R. Dinacci, Prefazione, in V. De Gioia-G. Papiri, La Giustizia Riparativa, cit., p. 2; O. Mazza, Il decreto attuativo della riforma Cartabia (ignorato dai partiti) ha vizi di costituzionalità, in Il Dubbio 20 agosto 2022.

[30] Cass., sez. V, 26 febbraio 2009, n. 21201, Faraon, in CED Cass., n. 244635.

[31] In questi termini v. F. Brunelli, Programmi di giustizia riparativa, in G. Spangher (a cura di), La riforma Cartabia, Pisa, Pacini Giuridica, 2022, p. 769.

[32] Cfr. Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, pubbl. in Gazz. Uff., Serie Generale n. 245 del 19 ottobre 2022 – Suppl. Straordinario n. 5, p. 487.

[33] Il riferimento è al cortometraggio del 1999 diretto da Paolo Genovese e Luca Miniero.

[34] In tal senso v. Cass., sez. V, 14 febbraio 2019, n. 10390, in CED Cass., n. 276028; di recente v. Cass., sez. II, 22 giugno 2021, n. 39252, ivi, n. 282133. Per ulteriori approfondimenti, in dottrina, ex plurimis, v. F. Caporotundo, L’estinzione del reato per condotte riparatorie: luci ed ombre dell’art. 162-ter c.p., in Arch. pen., 2018, 1, p. 15 ss.; C. Grandi, L’estinzione del reato per condotte riparatorie. Profili di diritto sostanziale, in Legisl. pen., 13 novembre 2017, p. 22.

[35] G.L. Gatta, L’estensione del regime di procedibilità a querela nella riforma Cartabia e la disciplina transitoria dopo la l. n. 199/2022, in Sist. pen., 2023, 1, p. 36.

[36] Al riguardo, volendo, v. A. Ciavola, La lenta affermazione della Giustizia riparativa: tra sperimentazioni, equivoci e prospettive, in I. Mastropasqua-N. Buccellato (a cura di), in 2° Rapporto Nazionale sulla Giustizia riparativa in area penale, Roma, Gangemi, 2022, p. 47 s.

[37] In tal senso, ad esempio, v. A. Ceretti-R. Cornelli-F. Brunelli, La mediazione penale in Italia: dalla normativa internazionale al modello di Milano, in AA.VV., Progetto “Cromlech”. Modelli di mediazione minorile – Programma AGIS 2004 JAI/2004/AGIS/099, Dossier Italia, 2004, p. 50, in www.progetto100citta.it/forum2_infanzia_documenti.

[38] Così C. Cesari, Le clausole di irrilevanza del fatto nel sistema processuale penale, Torino, Giappichelli, 2005, p. 98.

[39] Cfr. M. Pisati, Procedibilità a querela: profili processuali, cit., p. 231. Del resto, la magistratura e, in generale, gli operatori del diritto hanno mostrato di nutrire verso l’ideale di giustizia riparativa «un atteggiamento ambivalente che oscilla tra i poli opposti dell’adesione fideistica e del rifiuto aprioristico» (così G.M. Mannozzi, Giustizia penale e giustizia riparativa: alternatività o destini incrociati?, in Themis – Rivista giuridica, III, 2011, 9, p. 37; altresì, cfr. R. Muzzica, Il ruolo dell’autorità giudiziaria nei programmi di giustizia riparativa, in Sist. pen., 2023, 2, p. 30).

[40] In tal senso v. A. Ceretti, Mediazione penale e giustizia, in AA.VV., La mediazione penale in ambito minorile: applicazioni e prospettive, Milano, Franco Angeli, 1999, p. 740; Id., Una nuova risposta al minore autore di reato: la mediazione penale, in Iustitia, 1997, p. 394; G. Di Chiara, Scenari processuali per l’intervento di mediazione: una panoramica sulle fonti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, p. 504.

[41] Per tutti v. M. Bouchard, La mediazione: una terza via, in Quest. giust. 1992, p. 760 ss.; altresì cfr. G. Mannozzi, Collocazione sistematica e potenzialità deflattive della mediazione penale, cit., passim; di recente, G. De Francesco, Uno sguardo d’insieme sulla giustizia riparativa, in Legisl. pen., 2 febbraio 2023.

[42] Del resto, non dovrebbe trascurarsi che il risarcimento del danno lo può attuare solo chi ha mezzi economici sufficienti, la riparazione invece la può attuare chiunque, quindi innanzitutto la riparazione non è di classe (M. Bortolato, La riforma Cartabia: la dsciplina organica della giustizia riparativa. Un primo sguardo al nuovo decreto legislativo, in Quest. giust., 10 ottobre 2022).

[43] Così v. M. Martello, Una giustizia alta e altra. La mediazione della nostra vita e nei tribunali, Milano, Paoline, 2022.

[44] In questi termini v. R. Bartoli, Una breve introduzione alla giustizia riparativa nell’ambito della giustizia punitiva, in Sist. pen., 29 novembre 2022, p. 7.

[45] V. Patané, La mediazione penale in Italia, cit., p. 97.

[46] M. Acierno-G. Andreazza, Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario, Servizio penale, Relazione su novità normativa, La “riforma Cartabia”, Rel. n. 2/2023, 5 gennaio 2023, in www.cortedicassazione.it, p. 322.

[47] Per un’analisi delle difficoltà applicative rilevate in dottrina v. C. Cesari, Commento all’art. 28, in G. Giostra, Il processo penale minorile. Commento al D.P.R. 448/1988, V ed., Milano, Giuffrè, 2021, p. 509 s.

[48] Sul punto, volendo, v. A. Ciavola, La lenta affermazione della Giustizia riparativa: tra sperimentazioni, equivoci e prospettive, cit., p. 41 ss.; nonché Ead., Il contributo della giustizia consensuale e riparativa all’efficienza dei modelli di giurisdizione, cit., p. 287.

[49] Sul punto, in particolare, v. Council of Europe – Committee of Ministers, Explanatory memorandum to Recommendation Rec (99) 19 on mediation in penal matters, Introduction, Background to mediation in penal matters, in htpp://cm.coe.int. § 2. Anche nella più recente raccomandazione 2018(8), cit., si è affermato che la giustizia riparativa dovrebbe essere realizzata in modo riservato. Le discussioni nella giustizia riparativa dovrebbero rimanere confidenziali e non possono essere utilizzate successivamente, se non con il consenso delle parti interessate (Regola 17). Inoltre, nel caso in cui la giustizia riparativa abbia un’incidenza sulle decisioni giudiziarie, il facilitatore dovrebbe riferire alle competenti autorità giudiziarie o alle agenzie della giustizia penale in merito al percorso svolto e al(i) risultato(i) della giustizia riparativa. Fermi restando gli obblighi in capo ai facilitatori di cui alla Regola 49, i loro rapporti non dovrebbero rivelare i contenuti delle discussioni tra le parti, né esprimere alcun giudizio sul comportamento delle parti durante il percorso di giustizia riparativa (Regola 53).

[50] C. Mazzucato, Mediazione e giustizia riparativa in ambito penale, in L. Picotti-G. Spangher (a cura di), Verso una giustizia penale “conciliativa”, Milano, Giuffrè, 2002, p. 110.

[51] Non solo. Là dove la mediazione viene esclusa dai contenuti del progetto, si lascia aperta la possibilità che essa possa concludersi anche in un momento successivo alla prova allorquando i tempi della mediazione non coincidono con quelli del processo (Sul punto, v. P. Bronzo, Giustizia riparativa e procedimento penale minorile, in Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adole­scenza, La mediazione penale e altri percorsi di giustizia riparativa nel procedimento penale minorile, Documento di studio e di proposta, Tipografia Legatoria Rossini, 2018, p. 27; altresì, v. Id., Devianza minorile e giustizia riparativa, in Cass. pen., 2022 p. 339).

[52] Al riguardo, volendo, A. Ciavola, La lenta affermazione della Giustizia riparativa: tra sperimentazioni, equivoci e prospettive, cit., p. 44, al quale si rimanda per ulteriori approfondimenti e richiami bibliografici.

[53] Per tutti, v. G. Mannozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Milano, Giuffrè, 2003, p. 249, nota 12.

[54] P. Patané, La specificità delle formule decisorie minorili, in E. Zappalà (a cura di), La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile, III ed., Torino, Giappichelli, 2019, p. 176.

[55] S. Renzetti, La mediazione nel microsistema penale minorile, in Riv. dir. proc., 2014, p. 648.

[56] Più diffusamente v. I. Mastropasqua-N. Buccellato (a cura di), in 2° Rapporto Nazionale sulla Giustizia riparativa in area penale, cit., passim.

[57] European Commission for the Efficiency of Justice (CEPEJ), Guidelines for a better implementation of the existing recommendation concerning mediation in penal matters 2007(13), 7 dicembre 2007, in www.rmcoe.int.

[58] Council of Europe, Recommendation CM/Rec(2018)8 of the Committee of Ministers to member States concerning restorative justice in criminal matters, 3 ottobre 2018; analogamente, v. Council of Europe, Recommendation Rec (99) 19 concerning mediation in penal matters, in www.rmcoe.int.

[59] Senza considerare che l’accesso ai servizi di giustizia riparativa e l’implementazione della mediazione penale costituiscono un diritto, anche nell’ottica delle vittime, secondo quanto previsto dalla direttiva 2012(29) UE (Per un’analisi del paradigma riparativo nell’ottica dei diritti delle vittime, ad esempio, v. M. Kilchling-L. Parlato, Nuove prospettive per la restorative justice in seguito alla direttiva sulla vittima: verso un “diritto alla mediazione”? Germania e Italia a confronto, in Cass. pen., 2015, p. 4188 ss.).

[60] In questi termini v. C. Cesari, Le clausole di irrilevanza del fatto, cit., p. 76. Evidenzia in modo critico questo possibile rischio anche G. Giostra, Commento all’art. 1, in G. Giostra (a cura di), Il processo penale minorile. Commento al D.P.R. 448/1988, cit., p. 19 ss.

[61] L. Parlato, La giustizia riparativa: i nuovi e molteplici incroci con il rito penale, cit., p. 286, si chiede se questa insistenza non risulti «talvolta sovrabbondante e persino tale da alimentare remore nei potenziali interessati».

[62] Sul punto, in particolare, v. F.R. Dinacci, Prefazione, cit., p. 1; O. Mazza, Il decreto attuativo della riforma Cartabia (ignorato dai partiti) ha vizi di costituzionalità, cit.; V. Stella, Oliviero Mazza: “Attenti però: presunzione d’innocenza e riparazione non sono conciliabili”, in Il Dubbio, 13 marzo 2023; L. Ziletti, Nella giustizia riparativa di Cartabia insidie che è difficile minimizzare, in Il Dubbio, 27 agosto 2022.

[63] Unione Camere Penali, Proposte UCPI di emendamenti al dlgs 150/2022, p. 15, in www.camerepenali.it, 7 febbraio 2023.

[64] In tal senso, ad esempio, v. L. Parlato, La giustizia riparativa: i nuovi e molteplici incroci con il rito penale, cit., p. 289.

[65] E. Mattevi, La giustizia riparativa: disciplina organica e nuove intersezioni con il sistema penale, cit., p. 250.

[66] Al riguardo v. F. Sanvitale, Il processo penale alla prova della giustizia riparativa: una prospettiva pratica, cit., passim.

[67] Per tutti, v. G. Ranaldi, La decisione sul reato estinto. Tra modelli di accertamento e scelte valoriali, Milano, Wolters Kluwer-Cedam, 2022, passim.

[68] Per questo profilo, ad esempio, cfr. C. cost., 27 aprile 2018, n. 91.

[69] Cfr. P. Bronzo, Giustizia riparativa e procedimento penale minorile, cit., p. 31.

[70] Cfr., ex plurimis, V. Bonini, Una riforma organica della giustizia riparativa tra attese decennali e diffidenze contemporanee. Definizioni, principi e obiettivi (artt. 42-46), in G. Spangher (a cura di), La Riforma Cartabia, cit., p. 727; M. Donini, Diritto penale come legal system. I chiaroscuri di una riforma bifronte, in D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso (a cura di), Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, cit., p. 21 s.; A. Presutti, Aspettative e ambizioni del paradigma riparativo codificato, cit., § 5.