Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Il modello di giustizia riparativa concepito nel d.lgs. n. 150/2022 (di Valentina Bonini, Professoressa associata di Diritto processuale penale – Università di Pisa)


Nel costruire i rapporti tra processo penale e giustizia riparativa è necessario tenere presente che si tratta di due paradigmi di giustizia autonomi per principi, soggetti, oggetto, metodo, obiettivi. Pertanto, il d.lgs. n. 150/2022 opportunamente prevede come regola generale la separatezza tra i due modi di fare giustizia: riservatezza, inutilizzabilità di ciò che è formato a fini riparativi, “segreto riparativo“ scavano un solco profondo che separa il terreno della giustizia penale da quello della giustizia riparativa. La separatezza non è però assoluta e il solco è attraversato da ponti che debbono essere attentamente presidiati: su questi passaggi delicati deve assicurarsi un attento controllo, al fine di garantire che le valutazioni dell'autorità giudiziaria e dei mediatori non si traducano in una impropria commistione di contenuti e di criteri valutativi. La consapevolezza delle specificità del paradigma riparativo è la più robusta garanzia di rapporti virtuosi con il processo penale.

The model of restorative justice designed by the d.lgs. n. 150/2022

In constructing the relationship between criminal trial and restorative justice, it is necessary to keep in mind that these are two paradigms of justice that are autonomous in terms of principles, subjects, object, method, and objectives. Therefore, Legislative Decree No. 150/2022 appropriately provides, as a general rule, the separateness between the two ways of doing justice: confidentiality, non-usability of what is formed for restorative purposes, “restorative secret” dig a deep rift between the land of criminal justice and the land of restorative justice. The separateness is not absolute, however, and the rift is crossed by bridges that must be carefully guarded: an adequate control must be ensured over these crucial passages, in order to ensure that the evaluations of the judicial authority and mediators do not achieve an improper mixture of content and evaluative criteria. Awareness of the specificities of the restorative paradigm is the most vigorous safeguard of successful relations with the criminal process.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La caratura procedimentale della giustizia riparativa - 3. L’autonomia strutturale e funzionale del paradigma riparativo - 4. I rapporti tra giustizia riparativa e procedimento penale - 5. La complementarità - 6. La separatezza - 7. Contatti - NOTE


1. Premessa

Felice è la scelta di dedicare un convegno processualistico alle delicate interazioni tra giustizia riparativa e procedimento penale; sensibile e lungimirante è stato il Direttivo dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale, che ringrazio anche per averci riunito qui a Napoli all’Università Parthenope, con il calore e l’attenta accoglienza della prof.ssa Carla Pansini.

Il tema è di grande attualità e interesse e ci chiama ad un confronto con l’universo riparativo che finora è stato appannaggio di settori attigui a quello processualpenalistico, nei quali gli studiosi del diritto penale e della criminologia hanno elaborato ricostruzioni di grande raffinatezza, facendoci dono di un panorama dottrinale ricco di posizioni dommatiche tanto diversificate quanto approfondite [1]. Invece, il processualista che si accosti al tema si troverà a misurarsi con territori in gran parte inesplorati (non solo nel dibattito domestico [2], ma anche in quello internazionale [3]), attraversati dai multiformi e cangianti itinerari riparativi e oggi chiamati a comunicare con le aule della giustizia penale tradizionale.

Se è evidente l’attualità dell’indagine, a cui chiama con forza l’impianto normativo introdotto con il d.lgs. n. 150/2022, non sfugge come gli aspetti e le ricadute procedimentali della restorative justice siano di grande interesse per il processualista almeno sotto due profili: in primo luogo, la giustizia riparativa ha una prevalente dimensione procedimentale che sollecita un tentativo di inquadramento sistematico finora rimasto inevaso; in secondo luogo, le possibili interlocuzioni tra giustizia riparativa e procedimento penale necessitano di un’attenta calibratura dei rapporti tra i due sistemi, per evitare improprie commistioni che produrrebbero ricadute problematiche nell’uno come nell’altro settore.


2. La caratura procedimentale della giustizia riparativa

Tanto nella cornice tracciata dalle fonti sovranazionali, quanto nel quadro delineato dalla riforma del 2022, la struttura della restorative justice poggia su due pilastri: il procedimento (o programma, o processo, o percorso) riparativo, da una parte, e l’esito (o accordo) riparativo, dall’altra parte.

La componente procedimentale della giustizia riparativa è espressamente enunciata nelle principali fonti dedicate alla materia. Nel panorama sovranazionale, i Principi base delle Nazioni Unite [4] e la raccomandazione del Consiglio d’Europa [5] consegnano definizioni normative di giustizia riparativa che valorizzano come elemento strutturale proprio l’itinerario seguito dai partecipanti [6].

La medesima costruzione ha orientato il legislatore nazionale: già nelle prime disposizioni che il d.lgs. n. 150/2022 riserva alla giustizia riparativa, ci imbattiamo in definizioni e principi generali dai quali affiora in modo inequivoco la caratura procedimentale del paradigma. Così, l’art. 42 lett. a) identifica la giustizia riparativa in «ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore». Inoltre, è proprio al procedimento riparativo che è dedicata la gran parte dei principi generali attraverso i quali l’art. 43 mette a fuoco le principali specificità dell’ecosistema riparativo: delle otto lettere lì squadernate solo una si riferisce all’esito riparativo (lett. f), mentre tutte le altre si preoccupano di declinare i principi del processo riparativo, che si riflettono sull’esito, solo nella misura in cui questo è il prodotto del programma [7]. Infatti, l’art. 42, lett. e) definisce l’esito riparativo come «qualunque accordo, risultante dal programma di giustizia riparativa, volto alla riparazione dell’offesa e idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco e la possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti», assegnando caratura riparativa solo all’accordo raggiunto a valle di un processo riparativo.

Insomma, negli equilibri architettonici della restorative justice, l’architrave è rappresentato dal programma dialogico, sul quale deve poggiare l’accordo che suggella il raggiungimento dell’obiettivo riparativo. La cifra riparativa dell’accordo, dunque, non sta tanto nei contenuti (risarcimento, restituzione, condotte riparatorie, oltre che riparazione simbolica), quanto nel metodo di costruzione, ossia nel percorso, che incarna lo switch dal paradigma sanzionatorio a quello riparativo ben più dei contenuti performativi convenuti tra gli interessati [8].

Inequivoca è, dunque, la scelta di una costruzione olistica [9], che assegna un ruolo centrale al processo riparativo, il quale, nel disegno riformatore, è chiamato ad interloquire con il sistema di giustizia penale, ove riversa i risultati riparativi potenzialmente rilevanti in bonam partem.

La caratura procedimentale di una restorative justice che entra in contatto con la giustizia delle corti può indurre a proiettare sul terreno riparativo categorie e principi tipici del diritto processuale penale: è una tentazione da cui rifuggire, alla luce della distanza tra i due sistemi, che rischia di trasformare quella proiezione in ombre lunghe e sinistre in grado di confondere subdolamente e pericolosamente i singoli paradigmi di giustizia, che si distinguono, invece, per marcate specificità.


3. L’autonomia strutturale e funzionale del paradigma riparativo

La lettura, anche rapida e superficiale, della disciplina organica della giustizia riparativa di cui al Titolo IV del d.lgs. n. 150/2022 lascia affiorare senza ambiguità l’immagine di una giustizia che – per struttura, principi e obiettivi – si colloca in posizione di chiara “alterità” rispetto al tradizionale intervento penale.

La stessa topografia normativa della c.d. riforma Cartabia evidenzia l’autonomia del paradigma riparativo, la cui ossatura portante è trattata in modo esaustivo negli artt. da 42 a 67 d.lgs. n. 150/2022 e, scientemente, non ha avuto collocazione all’interno dei codici penali, nei quali il legislatore si è limitato a inserire innesti e richiami, costruendo ora degli “istituti-vettore” della giustizia riparativa (per lo più) nel codice di rito [10], ora degli “istituti-ospite” dei risultati riparativi (per lo più) nel codice sostanziale [11].

Ancora, la consapevolezza delle numerose e marcate specificità della restorative justice ha suggerito al legislatore di mettere a disposizione dell’interprete una serie di indicazioni che compongono un nuovo vocabolario e costruiscono una nuova grammatica di giustizia: le definizioni offerte dall’art. 42 e i principi declinati nell’art. 43 d.lgs. n. 150/2022 ci consegnano un paradigma autonomo che con quello tradizionale condivide solo una comune scaturigine (l’ipotesi di reato), ma da quello si differenzia nella struttura e nella funzione perseguita.

Diversi sono i soggetti, non solo nella lora individuazione singolare, ma anche nel rapporto che li unisce all’interno della stanza del dialogo riparativo: vittima, persona indicata come autore dell’offesa, componenti della comunità e mediatore non sono del tutto sovrapponibili ai soggetti che compaiono nel processo penale [12]; inoltre, nella “stanza della mediazione” essi si relazionano secondo dinamiche orizzontali, prive di qualsiasi gerarchizzazione degli interessi [13] o velatura autoritativa delle modalità di intervento [14].

Diverso è l’oggetto, poiché l’incontro e il dialogo non vertono sull’accertamento del reato e l’ascrizione della colpevolezza, ma sugli «effetti pregiudizievoli causati dall’offesa» (art. 43 lett. a d.lgs. n. 150/2022), spostando l’attenzione dall’evento storico descritto nell’imputazione nei termini scarnificati che interessano al diritto penale verso la complessiva (e spesso complessa) vicenda offensiva, che vede la valorizzazione (e talora la centralità) dell’antefatto e/o del postfatto; l’oggetto del procedimento riparativo va ben oltre i confini accuratamente segnati dall’art. 187 c.p.p., per attingere vicende e materiale umano a cui il diritto penale resta doverosamente indifferente.

Diverso è il metodo dell’incedere riparativo, che accompagna i partecipanti lungo un percorso dialogico [15], di apertura e riconoscimento della posizione e del ruolo dell’altro, mirando a superare gli effetti di una conflittualità, che nel processo penale è, invece, usata a fini euristici attraverso il metodo dialettico.

Diversa è, infine, la funzione perseguita, che l’art. 43, comma 2, d.lgs. n. 150/2022 individua nella sola funzione riparativa, ossia quella di «promuovere il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione della persona indicata come autore del reato e la ricostituzione dei legami con la comunità», liberando la restorative justice da qualsiasi obiettivo sanzionatorio, cognitivo o economicistico [16].

Soggetti, oggetto, metodo e obiettivo sono elementi di una “risposta di giustizia” diversa e autonoma a “bisogni di giustizia” che non trovano né possono trovare spazio nel processo penale e nell’ese­cuzione della pena: si tratta di bisogni di giustizia che travalicano il tema penale e rispetto a questo costituiscono una «eccedenza» [17], attingendo la dimensione personale, relazionale ed emotiva di chi è coinvolto in una vicenda di reato [18].


4. I rapporti tra giustizia riparativa e procedimento penale

Dall’autonomia strutturale e teleologica del paradigma riparativo chiaramente delineate dalla disciplina organica contenuta nel d.lgs. n. 150/2022 discendono conseguenze di sicuro rilievo in merito al rapporto con il processo penale.

Per meglio cogliere alcuni profili, può essere utile tratteggiare rapidamente l’incedere riparativo nei suoi tratti dinamici. Pur muovendosi nel segno dell’informalità e della duttilità, dall’ossatura normativa che ci è data è possibile abbozzare una sequenzialità del processo riparativo articolata in diversi passaggi (o fasi, per usare un linguaggio più affine a quello del processualista) tra loro funzionalmente collegati. Così, il procedimento riparativo si compone di una fase preliminare, fatta di incontri individuali tra il mediatore e i potenziali partecipanti al fine di informarli, raccoglierne l’eventuale adesione e verificare la sussistenza delle condizioni di fattibilità ai sensi dell’art. 54 d.lgs. n. 150/2022; in caso di valutazione favorevole, a questa segue la fase di svolgimento, che si dipana negli incontri dialogici tra i partecipanti con l’accompagnamento e l’aiuto dell’equipe riparativa nei modi e nei tempi di cui all’art. 55 d.lgs. n. 150/2022; si approda, infine, alla fase di chiusura, con esiti differenziati, poiché gli incontri possono risolversi in qualsiasi momento per il venir meno del consenso di uno dei partecipanti o per la impossibilità di raggiungere una conclusione positiva, ovvero possono condurre ad un accordo riparativo nei termini di un esito simbolico o un esito materiale, come previsti dall’art. 56 d.lgs. n. 150/2022.

Il procedimento riparativo così strutturato entra in comunicazione con il sistema di giustizia penale tramite due hub normativi: l’art. 129-bis c.p.p. e l’art. 57 d.lgs. n. 150/2022.

L’art. 129-bis c.p.p. è disposizione che governa adempimenti di competenza dell’autorità giudiziaria, chiamata a compiere una delibazione di ammissibilità, risolta positivamente la quale è disposto l’invio ai servizi riparativi, davanti ai quali si aprirà la fase preliminare volta a sondare la fattibilità del programma. Si tratta di un “antefatto” riparativo, che il codice struttura in chiave di passaggio necessario, ma che, anche quando si concluda con l’invio, non determina ex se l’avvio del programma riparativo, ponendosi tecnicamente all’esterno di quest’ultimo.

A valle del processo riparativo si colloca il secondo hub normativo, regolato dall’art. 57 d.lgs. n. 150/2022, che richiede all’equipe di inviare all’autorità giudiziaria una relazione «contenente la descrizione delle attività svolte e dell’esito riparativo raggiunto»: l’adempimento si colloca «[a]l termine del programma» e, dunque, ne presuppone la conclusione, essendo chiamato alla delicatissima saldatura tra contenuti riparativi e impiego giudiziale degli stessi.

Già da questa pur approssimativa ricostruzione è possibile osservare come, da un punto di vista strutturale, il percorso riparativo – a differenza delle ben note e arate forme di giustizia consensuale e negoziata conosciute dal codice di rito – non appartenga al procedimento penale: non ne è una variante interna, poiché non persegue alcuna funzione coltivata nel processo penale (né quella cognitiva, né quella deflativa) e non ne è una procedura incidentale [19], poiché ha un oggetto che non sta all’interno di quello del processo penale, ma ne è “eccedenza”, ampliando l’orizzonte rispetto al fotogramma ipostatizzato nell’atto di contestazione dell’accusa (la restorative justice non si interessa di reato e colpevolezza, ma di dinamiche offensive e conflittualità tra persone).

Tanto marcata è la distanza con le traiettorie della giustizia penale tradizionale che è stata autorevolmente ipotizzata la natura non giudiziaria del processo riparativo, piuttosto riconducendolo all’area del servizio pubblico di cura della relazione tra persone [20]. L’assunto necessita di verifica e merita più di una riflessione, anche alla luce degli assetti normativi, ma è utile – per quel che qui rileva – a rimarcare la siderale lontananza rispetto alle più comuni rotte di intersezione con il procedimento penale.


5. La complementarità

L’autonomia e la specificità del paradigma riparativo non si traducono in ambizioni sostitutive della giustizia penale tradizionale [21], né si risolvono in un isolamento solipsistico [22]. Infatti, la riforma del 2022 ha optato per una costruzione che colloca la restorative justice in posizione di complementarità, tanto da un punto di vista sistematico, quanto sul piano operativo.

A livello sistematico, la giustizia riparativa è complementare a quella tradizionale – cognitiva e sanzionatoria – perché è il sistema penale che «libera la possibilità della giustizia riparativa, garantendo la protezione dei beni fondamentali sia attraverso le norme incriminatrici» [23], sia attraverso la possibilità di accesso alla giustizia delle corti.

A livello operativo, la restorative justice è complementare alla giustizia penale, perché alla prima si accede, tranne limitatissime ipotesi eccettuative [24], solo per il tramite della seconda attraverso le “norme-vettore” di cui agli artt. 129-bis c.p.p. e 15-bis o.p.

Il contatto tra i due paradigmi – intrinseco nella costruzione di un rapporto di complementarità – deve, però, essere congegnato dal legislatore e maneggiato dall’interprete nella ferma consapevolezza della diversità ontologica che li caratterizza: non isolamento, dunque, ma nemmeno scambio osmotico o indiscriminata compenetrazione.


6. La separatezza

Così, la soluzione offerta dalla riforma poggia su una separatezza, che viene declinata tra i principi generali della giustizia riparativa (art. 43, lett. e) e poi tradotta in regole singolarmente stringenti per il contesto riparativo, quali sono quelle tracciate dagli artt. 50, 51 e 52 d.lgs. n. 150/2022, che vanno a scavare un solco profondo e rigorosamente presidiato a separare (anche) normativamente i territori della restorative justice da quelli della giustizia tradizionale.

Atti compiuti, dichiarazioni rese e informazioni acquisite nella “stanza della mediazione” non possono attingere il sapere del giudice, tranne che nei ridotti limiti consentiti nella stringata relazione dell’equipe riparativa (che deve muoversi nel segno della massima continenza comunicativa) o nei casi tassativi individuati dall’art. 50 d.lgs. n. 150/2022 [25].

Funzionale in primis alle esigenze della restorative justice, in quanto volta a costruire un ambiente che agevoli e accolga le aperture, anche emotive, dei partecipanti, la riservatezza così fissata non è un mero artificio normativo, atteggiandosi piuttosto come fisiologica e doverosa conseguenza della diversità ontologica e funzionale tra i due modi di fare giustizia.

A dispetto di alcune similitudini – più apparenti che reali – tra le performances dei partecipanti ora al processo penale e ora al percorso riparativo, ciò che è formato a fini riparativi non può avere rilievo a fini cognitivi: è questa una conclusione a cui portano inesorabilmente proprio le profonde diversità di metodo e, ancor di più, di obiettivi tra i due modi di fare giustizia [26].


7. Contatti

Il profondo vallo scavato da riservatezza, inutilizzabilità e segreto riparativo vede alcuni passaggi di attraversamento: sono passaggi che consentono limitate interlocuzioni tanto della direzione di “andata” come in quella di “ritorno” al procedimento penale [27].

È nella logica della complementarità che si inscrivono le occasioni di contatto tra i due universi, collocate normativamente nell’art. 129-bis c.p.p e nell’art. 57 d.lgs. n. 150/2022, dedicati l’uno all’invio ai servizi riparativi da parte dell’autorità giudiziaria e l’altro alla relazione che l’equipe riparativa fa al giudice in merito al percorso svolto e all’esito conclusivo.

In entrambi i casi le comunicazioni tra i sistemi passano attraverso ponti stretti e presidiati da precise indicazioni normative, di cui gli interpreti debbono farsi sentinelle [28], muovendosi nella conoscenza e consapevolezza della distanza ontologica e funzionale tra i due paradigmi, da cui discendono diversità di ruoli, di valutazioni, di valori, di sguardi a seconda che l’attività sia condotta dall’autorità giudiziaria o dai mediatori.

Anche e soprattutto dove i due sistemi entrano in contatto è necessario avere chiara quella differenza paradigmatica, che può essere colta e apprezzata grazie al richiamo alla contrapposizione – cara a Italo Calvino quando ebbe a tratteggiare la qualità dell’esattezza [29] – tra cristallo e fiamma, che, ai nostri limitati fini, possono essere prese in prestito come immagini utili a identificare i diversi processi di formazione della “risposta di giustizia”.

Il cristallo, con la sua esatta sfaccettatura, è «immagine d’invarianza e di regolarità di strutture specifiche» [30], che ben rievoca le stringenti logiche di legalità e l’immanenza delle garanzie fondamentali che debbono caratterizzare tutte le costruzioni processuali penali, come sequenza ordinata di atti. La fiamma, invece, è «immagine di costanza d’una forma globale esteriore, malgrado l’incessante agitazione interna» [31] e ben restituisce l’informalità, la duttilità, la capacità adattativa e trasformativa della giustizia riparativa, animata e orientata com’è dai bisogni emotivi delle persone coinvolte, che richiedono costruzioni di volta in volta diverse.

Sono “esattezze” diverse quelle richieste all’autorità giudiziaria, da una parte, e al mediatore, dall’altra parte, perché diverse sono le domande di giustizia che stanno alla loro base.

Ed è questa una diversità che affiora anche nell’articolato di riforma, laddove si è messo mano ai più delicati punti di passaggio dall’uno all’altro paradigma: così, l’art. 129-bis c.p.p., nel rivolgersi all’au­torità procedente [32], le fa carico di svolgere una “cristallina” delibazione di ammissibilità, che, a valle di un contraddittorio argomentativo, si basa su parametri normativi ivi definiti [33], soddisfatti i quali viene pronunciata un’ordinanza di mero “invio” ai servizi riparativi: questo apre l’ingresso sul ponte verso i territori della giustizia riparativa, ai quali si potrà fare accesso solo dopo la valutazione di fattibilità che l’art. 54 d.lgs. n. 150/2022 affida ai mediatori [34], al termine degli incontri individuali, alla luce dei quali sarà possibile valutare se e quale forma di risposta possa darsi al bisogno dialogico e riparativo degli interessati.

Anche quando le due disposizioni chiamino ad un controllo che pare presentare un medesimo oggetto, qual è la volontà dei partecipanti, le valutazioni condotte dall’autorità giudiziaria prima e dall’equipe riparativa dopo svelano diverse “esattezze”. La prima si deve arrestare ad un riscontro prima facie della sussistenza dei requisiti formali (es. richiesta personale o avanzata da procuratore speciale), mentre la seconda è chiamata ad addentrarsi in una verifica ben più consistente, dovendo riscontrare la sussistenza di un consenso personale, informato, consapevole e libero dei partecipanti, attraverso una attenta valutazione della piena comprensione delle informazioni impartite, dell’autodeter­mina­zione delle persone coinvolte, della maturità della decisione di aderire al processo riparativo [35], la cui foggia viene ritagliata sulla base dei bisogni espressi dagli stessi partecipanti.

La medesima diversità prospettica accompagna tutte le valutazioni che, pur nella loro apparente similitudine oggettiva, sono chiamati a fare l’autorità giudiziaria e i mediatori, restando inibito alla prima misurare la caratura riparativa delle attività svolte nella “conca della mediazione” e restando vietato ai secondi assegnare qualsiasi venatura cognitiva a quanto avvenuto al proprio cospetto [36].

Una diversità preziosa e da custodire, quella tra la “giustizia-cristallo” e la “giustizia-fiamma”, che chiama l’interprete a conoscere e riconoscere l’autonomia dei due paradigmi in quanto funzionali a offrire risposta a bisogni di giustizia diversi: i bisogni di narrazione libera, di ascolto, di riconoscimento di sé e dell’altro, di responsabilizzazione, di ricomposizione si scontrano con la rigidità tetragona delle strutture processuali della giustizia cognitiva, sanzionatoria, autoritativa, conflittuale e lì non trovano, né debbono trovare, spazio e accoglienza [37].

Coltivando questa prospettiva, allora, pare potersi volgere al processualista il suggerimento di Italo Calvino che, dichiaratosi un «partigiano dei cristalli», sollecita a «non dimenticare il valore che ha la fiamma come modo d’essere, come forma di esistenza» e, d’altro canto, chiama i «seguaci della fiamma» a non perdere di vista «la calma e l’ardua lezione dei cristalli»: solo la consapevolezza e il rispetto delle diversità di costruzione e di sguardo potrà consentire di coltivare interazioni virtuose tra i due sistemi, altrimenti destinati, nella migliore delle ipotesi, all’incomprensione reciproca e, nella peggiore, a pericolose commistioni di materiale e di principi.


NOTE

[1] Senza alcuna pretesa di esaustività, ma al solo scopo di dare conto della ricchezza, pluralità e intensità del dibattito sviluppato dagli studiosi del diritto penale, si vedano – oltre ai lavori fondamentali di A. Ceretti, G. Mannozzi, C. Mazzuccato, E. Mattevi – i contributi di R. Bartoli, Una breve introduzione alla giustizia riparativa nell’ambito della giustizia punitiva, in www.sistemapenale.it, 2022; G. De Francesco, Il silenzio e il dialogo. Dalla pena alla riparazione dell’illecito, in www.lalegislazionepenale.it, 2021; M. Donini, Il delitto riparato. Una disequazione che può trasformare il sistema sanzionatorio, in www.penalecontemporaneo.it, 2015; Id., Riparazione e pena da Anassimandro alla CGUE, in www.sistemapenale.it, 2023; G. Fiandaca, Note su punizione, riparazione e scienza penalistica, in www.
sistemapenale.it
, 2020; F. Palazzo, Plaidoyer per la giustizia riparativa, in www.lalegislazionepenale.eu, 2022.

[2] Il tema ha incontrato interesse nello studio della giustizia consensuale in prospettiva efficientistica (A. Ciavola, Il contributo della giustizia consensuale e riparativa all’efficienza dei modelli di giurisdizione, Torino, Giappichelli, 2010), nell’ambito dell’analisi della mediazione penale (V. Patané, Percorsi di giustizia riparativa nel sistema penale italiano, in M. Bargis-H. Belluta, Vittime di reato e processo penale, La ricerca di nuovi equilibri, Torino, Giappichelli, 2017, p. 545 ss.; Ead, voce Mediazione penale, in Enc. dir., Annali II, tomo I, Milano, Giuffrè, 2008, p. 572 ss.), ma i contributi di fattura sistematica restano isolati sino all’avvio del processo riformatore: in tema, v. G. Di Chiara, La premura e la clessidra: i tempi della mediazione penale, in Dir. pen. proc., 2015, p. 377 ss.; Id., Scenari processuali per l’intervento di mediazione: una panoramica sulle fonti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, p. 500 ss.

[3] In proposito, v. A. Ashworth, Responsibilities, Rights and Restorative Justice, in The British Journal of Criminology, 2002, 3, pp. 578 ss.; J. Braithwaite, Accountability and Responsibility through Restorative Justice, in M. Dowdle (a cura di), Rethinking Public Accountability, Cambridge, Cambridge University Press, 2006, p. 33 ss.; T.S. Ikpa, Balancing Restorative Justice Principles and Due Process Rights in Order to Reform the Criminal Justice System, in Washington University Journal of Law & Policy, 2007, 24, p. 301 ss.

[4] ECOSOC Resolution 2002/12, Basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal matters, adotta una definizione di giustizia riparativa riferita a «any programme that uses restorative processes and seeks to achieve restorative outcomes». In termini sostanzialmente identici già il § I.1 della ECOSOC Resolution 2000/14, recante la prima versione dei Basic principles.

[5] Raccomandazione CM/Rec(2018)8 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla giustizia riparativa in materia penale, il cui § 3 chiarisce che il termine giustizia riparativa si riferisce a «any process» che consente alle persone che subiscono pregiudizio a seguito di un reato e a quelle responsabili di tale pregiudizio, se vi acconsentono liberamente, di partecipare attivamente alla risoluzione delle questioni derivanti dall’illecito, attraverso l’aiuto di un terzo formato e imparziale. La definizione è stata recentemente recuperata negli stessi termini dall’art. 1 § 6 della raccomandazione CM/Rec(2023)2 del Comitato dei Ministeri del Consiglio d’Europa in tema di diritti, servizi e assistenza per le vittime di reato.

[6] Pur nella più ampia e connotata prospettiva che distingue la direttiva 2012/29/EU, merita ricordare che anch’essa si occupa di giustizia riparativa, rappresentando l’unica fonte sovranazionale di hard law in materia, offrendone una definizione all’art. 2 § 1, lett. d) che ne ribadisce la dimensione prettamente procedimentale.

[7] Partecipazione attiva e volontaria; equa considerazione dell’interesse della vittima e della persona indicata come autore dell’offesa; coinvolgimento della comunità nei programmi di giustizia riparativa; consenso alla partecipazione; riservatezza sulle dichiarazioni e sulle attività svolte nel corso dei programmi; indipendenza ed equiprossimità dei mediatori; accesso generalizzato ai programmi sono i principi guida dedicati al processo riparativo dall’art. 42 d.lgs. n. 150/2022 e, all’evidenza, producono effetti sulla sulle caratteristiche dell’accordo riparativo, connotato da consensualità ed equa attenzione all’interesse dei soggetti coinvolti.

[8] In questo senso si sfumano le criticità talora segnalate in dottrina in merito alla difficoltà di tracciare il confine tra risposta sanzionatoria tradizionale e risposta riparativa, quando trovino applicazione attività prestazionali che rievocano schemi noti: così, il risarcimento del danno, le condotte riparatorie o altre performance che si risolvano in una limitazione di attività o nel­l’impegno ad eseguire le stesse saranno da ricondursi ora alla logica sanzionatoria ora a quella riparativa, a seconda che queste siano imposte con un provvedimento autoritativo ovvero siano il frutto di una costruzione volontaria e condivisa di un accordo tra i partecipanti ad un processo riparativo.

[9] V. P. McCold, Toward a Holistic Vision of Restorative Juvenile Justice: a Reply to the Maximalist Model, in Contemporary Justice Review 2000, p. 357 ss.; S. M. Murphy-M.P. Seng (ed. by), Restorative Justice in Practice. A Holistic Approach, Lake Mary, Vandeplas, 2015.

[10] La disciplina a tema riparativo inserita nel codice di procedura penale vede assegnato il ruolo di pivot all’art. 129-bis, al quale si aggiunge una corposa serie di previsioni che adempiono agli oneri informativi che l’autorità devono ossequiare in favore dell’indagato/imputato/condannato e della vittima di reato. Funzione di raccordo simile a quella svolta dall’art. 129-bis c.p.p., è assegnata in executivis all’art. 15-bis o.p.

[11] Come noto, non sono stati coniati nuovi istituti per accogliere risultati riparativi, ma a questi è stato assegnato rilievo, ora in sede di commisurazione della pena, ora in prospettiva liberatoria all’interno di schemi già noti: così, l’accordo riparativo dovrà essere valorizzato dal giudice nell’operazione di cui all’art. 133 c.p. (cfr. art. 58 d.lgs. n. 150/2022), come attenuante ai sensi dell’art. 62 n. 6 c.p., ai fini della concessione della sospensione condizionale c.d. breve di cui all’art. 163, ult. comma c.p., ma produrrà anche effetti liberatori in forza dell’equiparazione alla remissione di querela ai sensi dell’art. 152 c.p., in combinazione con gli adempimenti interni al programma di messa alla prova di cui all’art. 464-bis c.p.p., ovvero, laddove sia apprezzato come post-fatto significativo della particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis c.p.

[12] La stessa dizione, forse non delle più felici, di «persona indicata come autore dell’offesa» trae ragion d’essere non tanto dall’esigenza formalistica di evitare possibili implicazioni stridenti con la presunzione di non colpevolezza, ma dalla necessità di abbracciare una platea di soggetti che non possono essere sinteticamente ricompresi nella nozione di indagato, imputato e condannato, aprendo anche a quanti non siano ancora stati raggiunti da una formale querela, quanti abbiano visto chiudere la vicenda giudiziaria con un proscioglimento per difetto di una condizione di procedibilità o per estinzione del reato, quanti abbiano già terminato di eseguire la pena inflitta.

[13] È la lett. b) dell’art. 43 d.lgs. n. 150/2022 a fissare tra i principi chiave quello della «equa considerazione dell’interesse della vittima di reato e della persona indicata come autore dell’offesa».

[14] Il mediatore, collocato in posizione di equiprossimità (art. 43, lett. g), non ordina, non prescrive, non dispone, ma “aiuta” (art. 42, lett. b) i partecipanti nello svolgimento degli incontri, assicurando un trattamento rispettoso, non discriminatorio ed equiprossimo (art. 55).

[15] Il metodo dialogico, pur non trovando esplicita collocazione tra i principi generali declinati dall’art. 43 d.lgs. n. 150/2022, è caratteristica generale dell’incedere riparativo, come risulta dalla conformazione dei programmi di cui all’art. 53 d.lgs. n. 150/2022, ove, nel segno della atipicità, si apre ad ogni «programma dialogico guidato da mediatori, svolto nell’interesse della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa».

[16] Merita sottolineare come in nessuna parte della disciplina organica di cui agli artt. 42 ss. d.lgs. n. 150/2022 affiori, neppure in filigrana, un richiamo all’accertamento e a logiche cognitive, mentre sono addirittura respinte finalità economicistiche dalla «garanzia del tempo necessario allo svolgimento di ciascun programma». Ciò non esclude, tuttavia, che la restorative justice possa sortire effetti di alleggerimento del carico giudiziale o possa produrre interferenze con l’accertamento processualmente rilevante: i primi sono auspicati dal sistema, mentre le seconde sono sterilizzate tanto ex ante (art. 129-bis, comma 3 c.p.p., nella parte in cui subordina l’invio ai servizi riparativi alla condizione che questo non «comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti») quanto ex post (art. 51 d.lgs. n. 150/2022). Sui rapporti tra efficienza e giustizia riparativa v., per opportuni riferimenti sovranazionali, P. Maggio, Lo sguardo alle fonti sovranazionali, infra, § 5.

[17] Bellissime le pagine dedicate all’eccedenza del crimine da C. Mazzuccato, Appunti per una teoria dignitosa del diritto penale a partire dalla restorative justice, in AA.VV., Dignità e diritto: prospettive interdisciplinari, Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università del Sacro Cuore, Roma, Libellula, 2010, p. 110 ss.

[18] Osserva F. Palazzo, Plaidoyer per la giustizia riparativa, cit., p. 6, che il «“materiale rilevante” va ben oltre il perimetro fissato dalla fattispecie legale», pur sviluppandosi la ricomposizione del conflitto «su un terreno valoriale in cui si riconoscano non solo autore e vittima, ma anche tutti i soggetti della relazione di giustizia», ossia, come osservato da A. Ceretti, «all’insegna della legge» (cfr. A. Ceretti, La mediazione reo-vittima nel sistema penale minorile. Rivisitazione di alcuni nodi teorici dopo quindici anni di pratiche, in Rass. it. criminologia, n. 4, 2013, p. 291).

[19] Per una messa a fuoco dei caratteri del procedimento incidentale in materia penale resta insuperata la completezza dell’analisi di G. Sabatini, Trattato dei procedimenti incidentali nel processo penale, Torino, Utet, 1953.

[20] Cfr. M. Bouchard, Commento al Titolo IV del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, sulla disciplina organica della giustizia riparativa, in www.questionegiustizia.it, 7 febbraio 2023, p. 11.

[21] In questo senso è possibile osservare come il paradigma riparativo si atteggi in termini di generalità, ma non di universalità, e, pur non incontrando limiti operativi generali ed astratti (v. le previsioni in tema di accesso generalizzato di cui all’art. 44 d.lgs. n. 150/2022), deve confrontarsi con limiti di fattibilità concreti anche assai severi, tra i quali basti ricordare quello del consenso informato, consapevole, libero e sempre revocabile.

[22] Sulla complementarità v. le considerazioni di G. Mannozzi, voce Giustizia riparativa, in Enc. dir., Annali X, Milano, Giuffrè 2017, p. 482 ss.; F. Palazzo, Plaidoyer per la giustizia riparativa, cit., p. 7.

[23] Cfr. G. Mannozzi-R. Mancini, La giustizia accogliente, Milano, FrancoAngeli, 2022, p. 85.

[24] L’art. 129-bis c.p.p. e l’art. 15-bis o.p. attraggono nell’orbita dell’input giudiziale tutte le possibilità di accesso alla giustizia riparativa prese in considerazione in costanza di procedimento penale e durante l’esecuzione della pena. Come noto, però, l’art. 44 d.lgs. n. 150/2022 segna un accesso generalizzato alla restorative justice, che viene messa a disposizione anche «dopo l’ese­cuzione» della pena e della misura di sicurezza, «all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere, per difetto della condizione di procedibilità […] o per intervenuta causa estintiva del reato», nonché, «[q]ualora si tratti di delitti perseguibili a querela […] anche prima che la stessa sia stata proposta». In queste ipotesi, che si collocano al di fuori del perimetro del procedimento penale e della fase esecutiva della pena, non potranno trovare applicazione le disposizioni che assegnano all’autorità giudiziaria il compito di inviare gli interessati ai servizi, i quali dovranno, pertanto, essere raggiungibili per iniziativa privata.

[25] Per una più ampia messa a fuoco della garanzia della riservatezza e dei limiti normativi non sempre coerentemente posti dal d.lgs. n. 150/2022 v. D. Stendardi, Garanzie dei programmi di giustizia riparativa, in G. Spangher, La riforma Cartabia, Pisa, Pacini giuridica, 2022, p. 751.

[26] Dichiarazioni e narrazioni, silenzi ed esitazioni, assensi e dinieghi sono attività che possiamo ritrovare tanto nel dipanarsi del dialogo riparativo quanto negli sviluppi della dialettica procedimentale, ma ciascuna di esse assume foggia, significato e valore diversi a seconda del contesto in cui si colloca: così, l’ascolto critico e/o giudicante del processo penale si trasforma in un ascolto empatico ed accogliente; ancora, il silenzio nel processo riparativo non si atteggia in guisa di diritto o in termini di illiceità a seconda di chi lo pratica, perché è svincolato da qualsiasi prospettiva cognitiva, ma rappresenta piuttosto uno spazio lasciato all’apertura verso l’altro e, dunque, una dinamica interna all’ascolto empatico necessario nel percorso di riconoscimento dell’altro. In proposito può essere utile richiamare le parole della Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza, La mediazione penale e altri percorsi di giustizia riparativa nel procedimento penale minorile, Roma, 2018, p. 7, ove si ripercorrono rapidamente le differenze sopra tracciate per osservarsi poi come nella giustizia riparativa «il silenzio ha una valenza diversa: significa dare spazio ad una modulazione diversa del suono. Non è assenza di suono. È un pieno altro, non un vuoto. È un’alternativa rispetto ad altri tipi di suoni». In una prospettiva più ampia, per i diversi significati del silenzio v. N. Nisivoccia, Il silenzio del noi, Milano, Mimesis ed., 2023, p. 36 ss., dove si tratteggia il «silenzio dialogante» che si ritrova negli itinerari di giustizia riparativa.

[27] Sono le «frontiere porose» della «conca della mediazione» mirabilmente tratteggiate da G. Di Chiara, Scenari processuali per l’intervento di mediazione, cit., p. 501.

[28] In questa prospettiva si colloca la previsione della possibilità di farsi assistere dal difensore tanto in sede di avvio del programma (art. 54, ult. comma, d.lgs. n. 150/2022), quanto in fase di chiusura dello stesso con un esito riparativo (art. 56 ult. comma d.lgs. n. 150/2022), seppure con alcuni deficit di tutela in caso di accordo su un esito simbolico e in vista dell’am­pliamento consensuale dei contenuti della relazione del mediatore (art. 57, comma 1, ult. periodo, d.lgs. n. 150/2022).

[29] I. Calvino, Lezioni americane, Milano, Mondadori, 2016, p. 71.

[30] È ancora I. Calvino, loc. ult. cit., che recupera le parole di M. Piattelli-Palmarini, ora leggibili in italiano in Linguaggio e apprendimento: il dibattito tra Jean Piaget e Noam Chomsky, Milano, Jaca Book, 1991.

[31] Ibidem.

[32] Come noto, nella fase delle indagini provvede il pubblico ministero con decreto motivato, altrimenti il giudice (funzionalmente individuato ai sensi dell’art. 45-ter n. att. c.p.p.) con ordinanza, che può essere adottata anche a seguito di un’iniziativa officiosa che stride non poco con la forte, indefettibile e immanente matrice volontaristica della restorative justice.

[33] Oltre ai criteri formali tradizionali (ad esempio, relativi alla manifestazione di volontà dei potenziali partecipanti), l’autorità giudiziaria dovrà verificare, ai sensi dell’art. 129-bis, comma 3, c.p.p., che il programma «possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’ac­certamento dei fatti». Si tratta di delibazioni che paiono in grado di aprire a spazi insoliti di discrezionalità, ma che debbono essere ricondotte ai tratti tipici di un giudizio di ammissibilità, con la conseguenza che esse dovranno essere ridotte ad un sindacato superficiale che utilizza dati oggettivi (ad esempio, l’interesse per l’ipotesi riparativa dei protagonisti della vicenda offensiva; un conflitto che non traligni in un’aggressività che possa rappresentare un pericolo per l’incolumità di uno dei partecipanti; l’avvenuta assunzione della fonte probatoria vulnerabile, quando questa sia anche un potenziale partecipante), senza sconfinare in valutazioni di merito né di matrice processuale (non è un caso che non sia richiamato qui uno spazio valutativo quale quello di cui all’art. 129 c.p.p., che pure caratterizza l’innesco di percorsi endoprocessuali di tipo negoziale), né di caratura riparativa (spettanti all’equipe mediativa).

[34] Opportunamente propone la distinzione tra delibazione (giudiziale) di ammissibilità e valutazione (del mediatore) di fattibilità, M. Bouchard, Commento al Titolo IV, cit., p. 9 s.

[35] Si tratta di caratteristiche che ben affiorano dalle trame della disciplina organica: significativa è, ad esempio, l’articolata disciplina che l’art. 48 d.lgs. n. 150/2022 detta in tema di consenso del minorenne, ove si coniugano esigenze giuridiche con un attento ascolto della volontà del minore; ancora, l’attenzione riservata dall’art. 47 d.lgs. n. 150/2022 ad una informazione “su misura” delle capacità del potenziale partecipante è chiaramente volta ad assicurare un consenso consapevole; da ultimo, la garanzia del «tempo necessario allo svolgimento del programma» di cui all’art. 43, lett. h), d.lgs. n. 150/2022 retroagisce già in fase di avvio, imponendo di verificare che i partecipanti abbiano maturato in concreto una volontà e una capacità di aderire e partecipare al percorso riparativo.

[36] Tenendo presente questa diversità, risulta difficile ipotizzare una sindacabilità dell’accordo riparativo da parte del giudice e risulta doveroso vietare all’equipe mediativa di estendere la relazione a elementi ultronei rispetto a quanto necessario per verificare il tipo di esito raggiunto.

[37] La doverosa espulsione dei bisogni emotivi dagli orizzonti del processo penale genera, peraltro, il rischio di una loro esondazione verso terreni melmosi e insidiosi, quali sono quelli della giustizia mediatica che si nutre dell’insoddisfazione della vittima, alimentando a sua volta ansie e pretese vendicative che inquinano la giustizia penale e lasciano le vittime puntualmente insoddisfatta. Da questo punto di vista la giustizia riparativa può fungere da utile drenaggio emotivo del processo penale, (r)accogliendo e offrendo risposta in chiave compositiva alle esigenze di riconoscimento che fanno capo alla vittima.