Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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L'improcedibilità cronologica, tra tentativi di inquadramento e prove di resistenza (di Paola Balducci, Professoressa associata di Diritto processuale penale – Università degli Studi del Salento)


Con l'introduzione nel codice rituale dell’arte. 344-bis, l. n. 134 del 27 settembre 2021 ha reso operativo un istituto completamente nuovo per il nostro ordinamento: l’inammissibilità per superamento della durata massima del giudizio di appello, volta a rendere effettivo il principio di ragionevole durata del processo seppur limitatamente al processo di appello e cassazione. Le criticità individuate dalla sua entrata in vigore sono accompagnate da problematiche applicative, soprattutto con riferimento al quadro del rimedio.

The chronological improcedibilità, between framing attempts and resistance tests

With the introduction into the ritual code of art. 344 bis, Law n. 134 of 27.9.2021 has made operational a completely new institution for our legal system: “improcedibilità” for exceeding the maximum duration of the appeal judgment, aimed at making effective the principle of reasonable duration of the trial although limited to the appeal and cassation process. The critical issues identified since its entry into force are accompanied by application issues, especially with reference to the framework of the remedy.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima e declaratoria di determinate cause di non punibilità - 3. Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima e inammissibilità dell’atto di impugnazione - NOTE


1. Premessa

L’art. 2, comma 2, lett. a), della l. 27 settembre 2021, n. 134, recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celebre definizione dei procedimenti giudiziari”, ha introdotto nel codice di rito, specificamente nel titolo dedicato alle condizioni di procedibilità, l’art. 344-bis c.p.p., rubricato “Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione”. La norma si inserisce in un quadro più ampio di riforma della prescrizione dei reati che sarebbe dovuta intervenire, quantomeno nell’intenzione del legislatore, su quanto già modificato dalla precedente riforma (l. n. 3/2019, nota come Riforma Bonafede) che, in estrema sintesi ha sancito il blocco definitivo del corso della prescrizione con la pronuncia della sentenza di primo grado (sia essa di condanna o di assoluzione) o del decreto penale di condanna. A ben guardare, la novella legislativa si rivela, in buona sostanza, una soluzione di compromesso politico che, di fatto, evita che l’imputato resti sospeso in attesa della definizione del processo penale per un tempo non prevedibile, pur senza tradire lo spirito efficientista che permea l’intero impianto normativo della Riforma Cartabia. Ciò che ne è derivato è un nuovo meccanismo di contingentamento temporale diversamente declinato a seconda dei gradi di giudizio: la tradizionale prescrizione sostanziale del reato è destinata dunque a trovare applicazione solo nel giudizio di primo grado, mentre nei giudizi di impugnazione opera l’inedito istituto della improcedibilità per superamento dei termini [1]. Secondo il nuovo paradigma normativo il decorso del tempo non va ad incidere sul reato (come nel caso della prescrizione che possiamo definire sostanziale) ma sul potere dello Stato di esercitare o proseguire l’azione penale atteggiandosi di fatto quale limite temporale dell’attività giurisdizionale. Nello specifico la nuova causa di improcedibilità prevede due termini di definizione del giudizio di impugnazione, due anni per il giudizio d’appello (art. 344-bis, comma 1, c.p.p.) e un anno per il giudizio di cassazione (art. 344-bis, comma 2, c.p.p.), che iniziano a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine per il deposito della motivazione [continua ..]


2. Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima e declaratoria di determinate cause di non punibilità

La prima questione che si pone in evidenza è quella relativa all’inquadramento della nuova figura nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 129 c.p.p. La riforma Cartabia, infatti, non è intervenuta sul dettato normativo in parola né tantomeno ha previsto alcuna disposizione di coordinamento di que­st’ultima con il nuovo istituto dell’improcedibilità. Sulla base di quanto previsto a seguito delle modifiche legislative che hanno interessato l’art. 161 c.p. e l’art. 344-bis c.p.p. non vi è dubbio alcuno che il giudice dell’impugnazione, sia esso dell’appello o del giudizio di cassazione, non possa più procedere a dichiarare l’estinzione del reato per la prescrizione maturata nelle more del giudizio, che, ricordiamo, si interrompe definitivamente con la pronuncia della decisione che chiude il primo grado. Resta da verificare invece come si colloca il nuovo istituto dell’improcedibilità rispetto all’obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità e, soprattutto, se in caso di superamento dei termini massimi di durata di cui all’art. 344-bis c.p.p. al giudice sia consentito effettuare quella valutazione di merito di cui all’art. 129, comma 2, c.p.p., che secondo opinione prevalente, resterebbe circoscritta al processo di primo grado [8]. Le conseguenze di tale soluzione interpretativa inducono alla riflessione. Si pensi ad esempio al­l’ipotesi, non certo peregrina, in cui, il decorso dei termini massimi previsti dall’art. 344 bis, c.p.p. intervenga a seguito dell’impugnazione da parte del pubblico ministero della sentenza di assoluzione. Restando esclusa una pronuncia di proscioglimento nel merito, l’unico esito processuale, in assenza di una richiesta di prosecuzione del processo da parte dell’imputato, sarebbe quello della pronuncia di improcedibilità, certamente meno vantaggiosa di quella ottenuta dall’imputato in primo grado se non altro per quanto attiene alle conseguenze di rito previste dagli artt. 652 ss. c.p.p. Si creerebbe, dunque, la situazione paradossale in cui l’imputato, che gode dei principi del giusto processo, fra i quali la durata ragionevole dello stesso, la quale – è bene ribadirlo – rappresenta non solo una garanzia oggettiva del buon funzionamento della giustizia ma anche un diritto della persona [continua ..]


3. Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima e inammissibilità dell’atto di impugnazione

Le riflessioni che precedono conducono ad affrontare anche la questione relativa ai rapporti tra la nuova improcedibilità e l’inammissibilità dell’atto introduttivo del gravame, tema certamente non e­straneo al dibattito dottrinale e giurisprudenziale ma oggi inevitabilmente destinato a nuove riflessioni in conseguenza delle novità che hanno interessato l’intera struttura del processo penale. La preoccupazione risulta infatti tutt’altro che ingiustificata a fronte dell’introduzione di un meccanismo di fatto acceleratorio della celebrazione dei giudizi di impugnazione [12] che, anche sulla scorta di un accentuato rigore, potrebbe prestare il fianco a distorsioni giudiziarie a favore della dichiarazione di inammissibilità delle relative impugnazioni [13]. In termini pratici il dubbio che si pone, all’indomani della Riforma Cartabia, è se debba considerarsi prevalente l’inammissibilità, anche laddove la relativa pronuncia intervenga dopo la scadenza dei termini massimi previsti dal nuovo art. 344-bis, c.p.p., oppure se possa prevalere l’improcedibilità anche in considerazione del fatto che la tardiva verifica del vizio possa quantomeno astrattamente giustificare la priorità del proscioglimento dell’imputato a tutela della ragionevole durata processuale. Come è noto, la categoria dogmatica dell’inammissibilità è destinata a sanzionare i vizi dell’istanza di parte volta ad introdurre un procedimento incidentale determinando, attraverso la preclusione del­l’esame nel merito della pretesa del richiedente, un’interruzione dell’esercizio del potere giurisdizionale [14]. In un quadro disomogeneo di rifermenti normativi in cui confluiscono indistintamente cause formali e cause sostanziali, l’art. 591 c.p.p. rappresenta ancora oggi un modello emblematico di detta invalidità. Anche per questo motivo, sul dettato normativo si sono concentrati nel tempo gli sforzi interpretativi della dottrina e della giurisprudenza in tema di prevalenza delle cause di inammissibilità su ogni altra questione, in una sorta di fil rouge con il dibattito sviluppatosi durante la vigenza del codice abrogato. L’opinione maggioritaria si è assestata sull’assunto che l’intervenuta formazione di un atto di impugnazione inammissibile precluda ogni possibilità di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2023