Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Le preclusioni alla sospensione dell'ordine di esecuzione fra sottrazioni costituzionali e addizioni normative (di Francesca Delvecchio, Ricercatrice di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Bari “A. Moro”)


Il Giudice delle leggi boccia ancora una volta l’art. 656, comma 9, c.p.p., ritenendo irragionevole e contraria alla finalità rieducativa della pena la presunzione assoluta di pericolosità del condannato per incendio boschivo colposo che osta alla concessione del meccanismo sospensivo.

Condivisibile nelle conclusioni e nelle argomentazioni, la sentenza in commento rappresenta l’ennesimo intervento di ortopedia costituzionale con cui la Consulta negli ultimi anni ha depurato la norma da innesti che, nell’assecon­dare logiche securitarie, hanno finito per sterilizzare l’efficacia del congegno anticipatorio, allontanandolo dalla sua finalità rieducativa.

La pronuncia offre, altresì, spazi interessanti per una riflessione sul prossimo futuro della sospensione dell’ordine di esecuzione alla luce dei recenti interventi riformistici.

The suspension of the enforcement between constitutional subtractions and normative additions

The Constitutional Court once again rejects the article 656, paragraph 9, of the code of criminal procedure, considering the absolute presumption of danger of the convicted person of culpable forest fire, that prevents the granting of the suspensive mechanism, unreasonable and contrary to the re-educational purpose of the penalty.

Agreeable in the conclusion and in the arguments, the judgement in comment represents the latest intervention of constitutional orthopaedics with which the Constitutional Court in the last years has purified the article by grafts that, following securitarian logics, have ended up sterilizing the effectiveness of the anticipatory device, moving it away from its re-educational purpose.

The decision also offers interesting spaces for reflection on the near future of the suspension of the enforcement in the light of recent reformist interventions.

Incendio boschivo colposo: illegittimo il divieto di sospensione dell'esecuzione MASSIMA: È costituzionalmente illegittimo l’art. 656, comma 9, lett. a), del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione nei confronti dei condannati per il delitto di incendio boschivo colposo di cui all’art. 423-bis, comma 2, del codice penale. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 15 dicembre 2021 (reg. ord. n. 5 del 2022), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Savona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, «nella parte in cui prevede “423 bis del codice penale” senza specificazione del riferimento al solo primo comma ovvero all’ipotesi dolosa». 1.1. Il rimettente espone che il 7 gennaio 2021 è stata pronunciata nei confronti di L. F. sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per il delitto di incendio boschivo colposo di cui all’art. 423-bis, secondo comma, cod. pen. Come si apprende dal fascicolo del procedimento a quo, la pena applicata a L. F. è di otto mesi di reclusione. Il pubblico ministero, nell’emettere (nel novembre 2021) il relativo ordine di esecuzione, aveva contestualmente chiesto al giudice rimettente, in qualità di giudice dell’esecuzione, di sollevare questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. nei termini poc’anzi indicati. Il GIP ha quindi sollevato le predette questioni di legittimità costituzionale, disponendo – con separata e contestuale ordinanza, presente nel fascicolo del procedimento a quo – la sospensione dell’ordine di esecuzione nelle more dell’incidente di illegittimità costituzionale. 1.2. In punto di rilevanza, il rimettente osserva che sulla base del tenore letterale della disposizione censurata la sospensione dell’ordine di esecuzione non potrebbe essere disposta in alcuno dei casi previsti dall’art. 423-bis cod. pen., e dunque anche nell’ipotesi in cui il fatto sia stato commesso per colpa. 1.3. Tale esclusione dalla regola generale della sospensione dell’ordine di esecuzione di pene detentive non superiori a quattro anni creerebbe tuttavia, secondo il giudice a quo, una irragionevole disparità di trattamento tra il delitto di incendio boschivo colposo e altri reati colposi «parimenti e più gravi», come «l’omicidio stradale, l’omicidio sul lavoro, l’omicidio dovuto a colpa medica o l’incendio ferroviario [sic]». In tal modo, il legislatore avrebbe ingiustificatamente «considerato pericoloso e dunque meritevole della [continua..]

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SOMMARIO:

1. Le preclusioni alla sospensione dell’ordine di esecuzione (ancora una volta) sotto la lente della Consulta - 2. Un’incostituzionalità annunciata - 3. Le modifiche mediate alla sospensione dell’ordine di esecuzione nella recente stagione riformistica - NOTE


1. Le preclusioni alla sospensione dell’ordine di esecuzione (ancora una volta) sotto la lente della Consulta

Le preclusioni alla sospensione dell’ordine di esecuzione di pene detentive medio-brevi tornano nel mirino della Corte costituzionale, ormai da tempo impegnata nel tentativo di ripristinare gli equilibri di un istituto la cui intima ratio è andata smarrendosi nell’intricata trama legislativa. È ben noto come il meccanismo sospensivo di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p. sia stato introdotto con apprezzabili intenti anticustodialistici, ammettendo il ricorso ab initio a forme di esecuzione della pena extracarcerarie sul presupposto di una modesta pericolosità sociale del condannato desumibile dal­l’entità della sanzione [1]. L’istituto non ha mai goduto di una generalizzata operatività, prevedendo una serie di ipotesi ostative legate alla tipologia di reato per il quale è intervenuta la condanna [art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p.], oltre che a situazioni di natura oggettiva che impediscono l’adozione di un provvedimento di sospensione [art. 656, comma 9, lett. b), c.p.p.]. Ab origine, si trattava dei condannati per i soli reati gravi di cui all’art. 4-bis ord. penit. [2]; senonché, i continui rimaneggiamenti della norma – ora in via mediata, per effetto dell’allargamento dell’ambito di applicazione dell’art. 4-bis ord. penit., ora in via diretta, mediante l’inserimento di una serie di nomina delicti [3]– hanno finito per alterare il rapporto fra regola (di favore) ed eccezioni (ostative). L’estensione delle maglie del divieto di sospensione fondato sul titolo di reato ha costituito, invero, un leit motiv delle scelte di politica criminale dell’ultimo ventennio. Il legislatore, mosso dall’esigenza di placare l’allarme sociale innescato da reati di grande clamore mediatico – non i più gravi, dunque, ma solo quelli più “odiosi” – ha progressivamente limitato l’accesso diretto alle misure alternative alla detenzione per un catalogo via via più lungo di “delinquenti pericolosi”. Questa legislazione casistica ha finito per stravolgere ratio e finalità del meccanismo anticipatorio, rimodellato attraverso la creazione di statuti differenziali strutturati su un criterio distintivo sempre riconducibile alla natura del reato commesso piuttosto che al reale evolversi del percorso rieducativo extra murario intrapreso nel corso [continua ..]


2. Un’incostituzionalità annunciata

La Corte costituzionale ha dichiarato la fondatezza della questione di legittimità e ha conseguentemente espunto il delitto di incendio boschivo colposo dal novero dei reati per cui l’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. vieta la sospensione dell’ordine di carcerazione [4]. La premessa di fondo da cui muove il Giudice delle leggi è di estrema limpidezza: nel nostro sistema è radicato un tendenziale parallelismo fra la sospensione dell’ordine di esecuzione e i casi di accesso alle misure alternative tale per cui, idealmente, il meccanismo di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p. dovrebbe operare in tutti quei casi in cui il condannato – che non si trovi già in carcere in stato di custodia cautelare – debba espiare una pena contenuta entro i limiti temporali compatibili con l’accesso a misure alternative alla detenzione [5]. Si tratta di una regola aurea progressivamente scolpita dalla giurisprudenza costituzionale in coerenza con la ratio genetica dell’istituto della sospensione, ovvero creare un ponte fra il sistema penale e quello penitenziario che permetta un’immediata “metamorfosi” della pena detentiva in misura alternativa, in ossequio alla finalità rieducativa della pena ex art. 27, comma 3, Cost. Impedire l’ingresso in carcere per quei soggetti che abbiano già maturato le condizioni per accedere all’esecuzione della pena extra moenia, infatti, preserva i legami familiari, sociali e lavorativi del condannato e valorizza il percorso di risocializzazione potenzialmente già intrapreso durante il processo. V’è poi da considerare che, qualora la pena da scontare sia breve, è plausibile che la decisione del Tribunale di sorveglianza sull’istanza di ammissione a misure alternative intervenga quando ormai il reo abbia già espiato integralmente (o quasi) il periodo di detenzione [6]. Cionondimeno, residua in capo al legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità, la possibilità di individuare eccezioni al “punto di equilibrio ottimale”, ovvero ipotesi derogatorie rispetto alla regola generale della corrispondenza tra il limite di pena richiesto per l’accesso alla misura alternativa e quello stabilito ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione, purché tali “asimmetrie” – precisa la Consulta – [continua ..]


3. Le modifiche mediate alla sospensione dell’ordine di esecuzione nella recente stagione riformistica

Condivisibile nella conclusione e nelle argomentazioni, la sentenza in esame rappresenta l’ennesimo intervento di ortopedia costituzionale con cui la Consulta ha progressivamente depurato l’art. 656, comma 9, c.p.p. da innesti normativi che, nell’assecondare logiche securitarie, hanno finito per snaturare la sospensione d’ufficio, sterilizzando l’efficacia del meccanismo anticipatorio senza che fossero riscontrate esigenze di sicurezza di tale entità da spiegare il divieto di concessione dalla libertà delle misure alternative [17]. Il provvedimento diviene così l’epitome di un’ampia giurisprudenza ormai da tempo impegnata nel tentativo di ripristinare la ratio originaria dell’istituto, ridimensionando le preclusioni ratione criminis che impediscono di accedere alla sospensione sulla base di una indimostrata pericolosità del condannato, e restituendo alla magistratura di sorveglianza margini di apprezzamento discrezionale, ancorché ancorati ad elementi di giudizio verificabili, sulla cui base costruire un progetto di reinserimento sociale individualizzato, così come richiede la Costituzione. A dispetto delle ripetute bocciature e dei richiami, più o meno espliciti, per una rivisitazione del meccanismo anticipatorio, il legislatore, dal proprio canto, si è mostrato restìo ad ogni tentativo di reductio ad Constitutionem del meccanismo. Un’inerzia confermata anche in occasione della riforma penitenziaria del 2018, sebbene nel corso dei lavori preparatori fossero emerse apprezzabili proposte di modifica per ridurre drasticamente il catalogo di delinquenti pericolosi di cui all’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. [18]. La recente e concitata stagione di riforme, però, sembra segnare una (pur timida) inversione di tendenza. Benché l’area delle preclusioni non sia interessata da innesti diretti, è però possibile ottenere una rimodulazione dell’estensione dei divieti in via mediata. La prima modifica indiretta sulla norma si è avuta a seguito del restyling delle sanzioni sostitutive voluto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 [19]. Non a torto definita «la vera grande novità di respiro e di sistema» [20] della riforma Cartabia, in estrema sintesi può dirsi che le nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi fino a quattro anni potranno essere [continua ..]


NOTE