Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Illegalità e illegittimità della pena nel giudizio abbreviato: l'actio finium regundorum delle sezioni unite (di Rossella Mastrototaro, Dottoressa di ricerca in Diritto processuale penale – Università del Salento)


L'inderogabilità della riduzione premiale in misura fissa è una caratteristica del giudizio abbreviato che l'interprete non può trascurare nella ricerca di rimedi all'eventuale violazione, al di là delle classificazioni formali.

Illegality and illegitimacy of sanction in summary judgment: the actio finium regundorum of the united sections

The non-derogability of reducing the penalty to a fixed amount is a feature of the summary judgment that the interpreter cannot overlook in seeking remedies to the possible violation, beyond formal classifications.

Illegalità e illegittimità della pena nel giudizio abbreviato: la parola alle sezioni unite MASSIMA: Qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di violazione di legge che, ove non dedotta nell’appello, resta preclusa dalla inammissibilità del ricorso. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 3 novembre 2020, la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia emessa all’esito di giudizio abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano nei confronti di S.G., ritenuto responsabile del reato di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2, lett. b) e comma 2 sexies, perché il 21 dicembre 2018 aveva circolato alla guida di un’autovettura in stato di ebbrezza alcolica, commettendo il fatto durante le ore notturne. In particolare, la Corte di appello ha rigettato l’unico motivo proposto, con il quale l’imputato si doleva del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. 2. Con atto sottoscritto dall’avv. Stefano Ricci, sostituto processuale dell’avv. Davide Visidori, difensore di fiducia di S., questi ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza articolando un unico motivo, con il quale denuncia la violazione della legge processuale, e segnatamente dell’art. 442 c.p.p., comma 2, perché la Corte di appello, nel confermare integralmente la sentenza impugnata, ha mantenuto ferma anche la riduzione di un terzo della pena applicata dal Giudice per le indagini preliminari in ragione del rito prescelto, così ponendosi in contrasto con la menzionata disposizione che, a seguito della modifica introdotta dalla L. n. 103 del 2017, stabilisce che la pena è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione. Ad avviso del ricorrente, tanto ha determinato l’illegalità della pena, in quanto conseguenza di un “palese errore materiale di calcolo”, come tale rilevabile anche dopo la formazione del giudicato con incidente di esecuzione, senza che sia necessario che la difesa abbia presentato, nei precedenti gradi di giudizio, specifico motivo di appello sul punto. Ritenuta la violazione censurata, la Corte di cassazione può rideterminare la pena, senza necessità di rinvio al giudice del merito. L’esponente richiama, a conferma del proprio assunto, le pronunce Sez. 3, n. 38474 del 31/05/2019, Lasalvia, Rv. 276770 e Sez. 4, n. 26117 del 16/05/2012, Torna, Rv. 253562. 3. La Quarta Sezione di questa Corte, cui il ricorso è stato assegnato, ha ritenuto di dover registrare un contrasto di giurisprudenza sul tema della rilevabilità da parte della Corte di cassazione della erroneità della riduzione della [continua..]

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SOMMARIO:

1. Il tema - 2. Le questioni sul tappeto - 3. Il quadro valoriale di riferimento della pena legale e il discrimen con la pena illegittima nel ragionamento delle sezioni unite - 4. Il ragionamento formalistico delle sezioni unite e l’attinenza della diminuente premiale con il diritto ad una (pių mite) pena legale - 5. Scenari futuri - NOTE


1. Il tema

Sul fronte della legalità della pena, tema che da svariati anni impegna il giudice nazionale nel compito di assicurare la tenuta costituzionale e convenzionale del sistema interno, un nuovo quesito si è posto all’attenzione delle sezioni unite: «se, in tema di reati contravvenzionali, la Corte di Cassazione possa applicare la corretta riduzione della metà prevista per un reato contravvenzionale, giudicato con rito abbreviato, non disposta dal giudice del merito, pur se la questione non sia stata prospettata con l’atto di appello, ma unicamente con il ricorso per cassazione» [1]. Il diritto del ricorrente – condannato all’esito di giudizio abbreviato per la contravvenzione di cui all’art. 186, comma 2, lett. b, e comma 2-sexies, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 – di ottenere uno sconto di pena pari alla metà non è in discussione, considerato che la sentenza di primo grado è intervenuta il 26 settembre 2019, dunque in epoca successiva alla modifica della disciplina processuale dell’art. 442, comma 2, ad opera dell’art. 1, comma 44, l. 23 giugno 2017, n. 103, che per le fattispecie contravvenzionali ha previsto una riduzione della pena più consistente rispetto alla classica diminuente di un terzo. A precisarlo sono le stesse sezioni unite nell’esordio del loro ragionamento, come a voler da subito fugare il dubbio che la soluzione al quesito possa risentire dell’impostazione degli autorevoli arresti giurisprudenziali che, esaltando la natura sostanziale degli effetti della norma processuale prevista dall’art. 442 comma 2 [2], hanno invocato il principio di legalità della pena di cui all’art. 25, comma 2, Cost. e art. 7 Cedu, quest’ultimo nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, per affermare il principio di valore sovranazionale della lex mitior, funzionale alla tutela di diritti fondamentali della persona [3]. Come a dire, nel caso di specie, il giudice del merito avrebbe dovuto e potuto ridurre della metà la pena inflitta per la contravvenzione accertata, facendo semplicemente buon governo del canone del tempus regit actum. Ed invece, il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, fissata la pena base in mesi due di arresto ed euro duemila di ammenda, aumentata la pena pecuniaria a tremila euro e quindi diminuita di un terzo la pena così [continua ..]


2. Le questioni sul tappeto

Le questioni sottese al quesito devoluto alle sezioni unite sono due: la prima, originata dalla inammissibilità del ricorso proposto per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello (art. 606, comma 3, c.p.p.), attiene alla possibilità che il giudice dell’impugnazione emendi la pena frutto di un palese errore materiale di calcolo (tale sarebbe ad avviso del ricorrente l’erronea determinazione della riduzione premiale per il rito prescelto), sull’assunto che trattandosi di pena illegale rientri nelle questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, dunque anche dal giudice di legittimità (art. 609, comma 2, c.p.p.), nonostante l’invalida instaurazione del giudizio di impugnazione; la seconda, in realtà propedeutica alla questione precedente e, dunque, logicamente definita per prima, attiene alla riconducibilità della pena determinata in ragione dello specifico errore alla categoria di pena illegale. Il primo tema è al centro di un acceso dibattito in seno alla giurisprudenza che se ne è occupata in relazione alle diverse cause di inammissibilità e ai plurimi casi di illegalità della pena [5]. Un primo indirizzo, pur riconoscendo che la veste legale della pena sia costantemente sub iudice, indipendentemente dall’iniziativa delle parti, ravvisa un limite alla rilevabilità d’ufficio del vizio nella inammissibilità dell’impugnazione che impedisce il passaggio all’ulteriore grado di giudizio. Del resto, con riguardo alla specifica figura di pena diversa, per specie, da quella prevista per legge (ad esempio, per un reato di competenza del giudice di pace la pena detentiva è inflitta in luogo di quella pecuniaria), il giudice dell’esecuzione non sarebbe abilitato a rimodulare il trattamento sanzionatorio, richiedendo l’inter­vento accertamenti incompatibili con il pur accresciuto ambito della sua cognizione [6]. Secondo un diverso orientamento, maggiormente diffuso, l’inammissibilità del ricorso non impedisce alla Corte di annullare la statuizione di una pena illegale, posto che il principio di legalità ex art. 1 c.p. e la funzione cui la pena deve tendere ex art. 27, comma 3, Cost. non appaiono conciliabili con la applicazione di una sanzione non prevista dall’ordinamento [7]. Il giudicato stesso è recessivo al cospetto di una [continua ..]


3. Il quadro valoriale di riferimento della pena legale e il discrimen con la pena illegittima nel ragionamento delle sezioni unite

Per stabilire se la pena ridotta in modo erroneo ex art. 442, comma 2, c.p.p. sia illegale, le sezioni unite delineano il quadro valoriale di riferimento della pena. Anzitutto, il principio di legalità che avvince, insieme, pena e precetto implica che soltanto alla legge spetti il compito di stabilire l’an e il quomodo (sub specie di quantum) di punizione di una condotta, mediante tipizzazione dei precetti che vuole sanzionati penalmente e della intensità (tipo, contenuto e misura della pena) con cui debba essere repressa la relativa trasgressione. Per l’ordinamento interno, depongono in tal senso l’art. 1 c.p. e l’art. 25 comma 2 Cost. che, pur non esplicitando il principio nulla poena sine lege contenuto nella fonte ordinaria [14], «dà fondamento legale alla potestà punitiva del giudice. E poiché questa potestà si esplica mediante l’ap­plicazione di una pena adeguata al fatto ritenuto antigiuridico, non si può contestare che pure la individualizzazione della sanzione da comminare risulta legata al comando di legge [15]». Sul piano sovranazionale, la legalità della pena è annoverata tra i diritti umani tutelati dall’art. 7 Cedu [16], nonché dall’art. 49 § 1 della Carta di Nizza e art. 15 del Patto intern. sui diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo in Italia con l. 25 ottobre 1977, n. 881. La determinatezza, corollario della legalità, riferita alla pena non si traduce, però, in un’opzione favorevole ad un sistema di pene fisse che non sarebbe in armonia con il principio di personalità della responsabilità penale e quello della funzione rieducativa sanciti dall’art. 27, commi 1 e 3, Cost. [17], parametri, questi, che insieme al principio di legalità concorrono a delineare il volto costituzionale della pena. Nello stabilire la “misura” con cui è necessario reprimere la trasgressione di un precetto, dunque, il legislatore deve assicurare un margine di mobilità della pena fra un massimo e un minimo che consenta al giudice di individualizzare il trattamento punitivo, adeguandolo all’effettiva entità dell’illecito accertato e alle specifiche esigenze del singolo caso [18]. Soltanto in questo modo è assicurata una risposta sanzionatoria “proporzionata” [continua ..]


4. Il ragionamento formalistico delle sezioni unite e l’attinenza della diminuente premiale con il diritto ad una (pių mite) pena legale

Ritenere che la pena indicata in dispositivo sia legale solo perché non eccede i limiti edittali previsti per la fattispecie astratta nella quale viene sussunto il fatto storico reato è soluzione formalistica che svilisce l’incidenza sul piano sostanziale della diminuente processuale, la cui omissione o errata applicazione, qualunque ne sia la causa, viola il diritto del condannato ad un trattamento sanzionatorio più mite; vanifica la prevedibilità-calcolabilità della pena finale in conseguenza delle scelte processuali compiute dall’imputato; vulnera il principio di uguaglianza, per la disparità di trattamento rispetto ad altri imputati che, a parità di condizioni, fruiscono di un maggiore sconto di pena. Eppure, i profili patologici testé indicati sono stati già stigmatizzati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità nell’ambito dell’originaria disciplina del rito, per la frizione, tra gli altri, con il principio di legalità della pena. È noto che nello schema originario l’aspirazione dell’imputato ad uno sconto di pena in caso di condanna poteva restare irretita nelle maglie di un parere negativo – immotivato e dunque insindacabile – del pubblico ministero, ovvero essere ostacolata dall’apprezzamento anch’esso insindacabile del giudice in punto di decidibilità allo stato degli atti. Nel primo decennio di applicazione, la disciplina è stata segnata da un complesso di pronunce del Giudice delle leggi teso a promuovere al contempo gli obiettivi di deflazione e di garanzia. Di quella evoluzione giurisprudenziale – che ha portato all’affermazione di un generale principio di sindacabilità delle determinazioni del pubblico ministero incidenti sulla misura della pena [28], nonché su quelle dello stesso giudice dell’udienza preliminare [29], ad opera del giudice del dibattimento abilitato ad applicare la diminuente della pena, all’esito di una valutazione prognostica, postuma ma ex ante – è utile qui evidenziare il tessuto argomentativo: è incompatibile con un ordinamento costituzionale fondato sui principi di uguaglianza e di legalità della pena una disciplina che affida(va) a scelte discrezionali – immotivate e, quindi, insindacabili – del pubblico ministero l’accesso dell’imputato ad un rito [continua ..]


5. Scenari futuri

Coeva a quella annotata è un’altra sentenza della Cassazione a Sezioni unite [36] che, al pari di quella, mette in atto una controreazione all’espansione della nozione di pena illegale, conducendo lo stesso ragionamento formalistico [37]. In un recente caso di patteggiamento in cui la pena per un reato circostanziato era stata determinata in violazione dell’art. 69 c.p., in quanto il giudizio di bilanciamento aveva riguardato soltanto alcune delle circostanze contestate, il giudice di legittimità, rilevato un contrasto giurisprudenziale sulla legalità della pena così viziata, ritiene che, a prescindere dagli errori commessi nel giudizio di bilanciamento delle circostanze, la pena non è da considerarsi illegale se non eccede per specie o quantità i limiti edittali astratti che rilevano nella fattispecie scrutinata. La pena, nel caso di specie, è “solo” illegittima e pertanto emendabile con gli ordinari mezzi di impugnazione. Il criterio discretivo impiegato, dunque, è quello noto: solo le norme che indicano i valori «entro i quali il giudice può esercitare la sua valutazione discrezionale concreta», ossia «il minimo della pena prevista per la fattispecie attenuata ed il massimo della pena prevista per la fattispecie aggravata», contribuiscono a definire in astratto il giudizio di disvalore del sottotipo penale. Tali limiti, insieme ai limiti edittali generali di cui agli artt. 23 ss., 65, 71 ss. c.p., nonché i limiti edittali previsti dalle norme incriminatrici che si assumono violate delineano il perimetro di legalità della pena. Al di fuori di esso, le norme contenute nell’art. 69 c.p., invece, indirizzano il giudice nell’apprezzamento discrezionale in concreto della pena e la loro violazione pone solo un problema di illegittimità della sanzione. È prevedibile che in futuro la Cassazione sarà ancora chiamata ad esprimersi su inedite ipotesi di illegalità della pena. L’orizzonte concettuale delineato dalla consolidata giurisprudenza sul tema [38] rappresenta un approdo sicuro ma non definitivo, per l’eterogeneità dei casi – non ipotizzabili preventivamente – che potranno fiorire sul terreno del trattamento sanzionatorio. Le fattispecie qui esaminate sono solo alcuni degli esempi più recenti. L’interprete perciò è [continua ..]


NOTE