Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Corte costituzionale (di Xènia Gordo Alarcón)


È l’irreversibile stato “psicofisico” dell’imputato e non soltanto quello “mentale” a determinare l’improcedibilità ex art. 72-bis, comma 1, c.p.p.

(C. cost., sent. 7 aprile 2023, n. 65)

Con la sentenza in commento, la Corte ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale avanzata dal Tribunale di Lecce avente ad oggetto l’art. 72-bis, comma 1, c.p.p., laddove prescrive che il giudice pronunci sentenza di improcedibilità soltanto quando l’imputato non possa partecipare al processo per patologie mentali e non anche quando l’incapacità processuale derivi da patologie fisiche altrettanto irreversibili e ciò in contrasto con il principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 Cost.

segue

 

Nello specifico, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma in questione nella parte in cui si riferisce allo stato “mentale”, anziché “psicofisico” dell’imputato e, consequenzialmente, anche degli artt. 70, 71 e 72 c.p.p. L’accoglimento della suindicata questione ha comportato l’assorbimento della questione subordinata sollevata, con la quale il giudice rimettente ha censurato l’art. 159, ultimo comma, c.p. nella parte in cui non prevede, oltre ai casi di impossibilità di procedere per assenza dell’imputato, che la sospensione del decorso della prescrizione operi anche laddove la sospensione sia imposta dall’incapacità del­l’imputato di partecipare coscientemente al processo. In particolare, nell’ipotesi considerata, il giudizio principale era sempre stato rinviato per legittimo impedimento dell’imputata in quanto persona affetta da SLA, grave malattia fisica che ne ha determinato progressivamente la paralisi, la privazione dell’uso del linguaggio e dell’autonomia respiratoria. Di conseguenza, la prescrizione del reato che vede imputata una persona affetta da malattia fisica irreversibile non maturerebbe mai, dovendo estinguersi il reato soltanto con la morte del soggetto. I Giudici costituzionali, per rispondere alle questioni sollevate, hanno focalizzato l’attenzione sulla tutela del diritto all’autodifesa dell’imputato, riconducibile all’art. 24 Cost., sottolineando, in particolare, l’importanza di assicurare «il diritto dell’accusato di essere messo personalmente, immediatamente e compiutamente a conoscenza di quanto avviene nel processo che lo riguarda». Preliminarmente, la Consulta ha specificato che le precedenti pronunce che avevano negato l’ille­gittimità costituzionale basandosi sul tenore letterale degli artt. 70 ss. c.p.p. – in quanto gli stessi si riferiscono testualmente soltanto a ipotesi di “infermità mentale” – non si attagliano più al quadro normativo riformulato in seguito all’introduzione dell’art. 72-bis c.p.p. e che, per gli stessi motivi, non risulta nemmeno convincente la tesi della difesa statale fondata sull’eterogeneità tra infermità mentale e infermità fisica. Infatti, richiamando il principio espresso nella sentenza n. 39/2004 riferita all’art. 70 c.p.p., il Giudice delle leggi ha ribadito che non potrà svolgersi il processo, non solo quando la malattia possa definirsi in senso clinico come psichica, ma anche quando qualunque altro stato di infermità «renda non sufficienti o non utilizzabili le facoltà mentali (coscienza, pensiero, percezione, espressione) dell’impu­tato, in modo tale da impedirne una effettiva partecipazione al processo». L’interpretazione della [continua..]

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