Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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I rimedi alla stasi del procedimento: aspettando Godot? (di Enrico Maria Mancuso, Professore ordinario di Diritto processuale penale – Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano)


Il d.lgs. n. 150/2022, nell’attuare la delega governativa di riforma del processo penale (la riforma Cartabia), è intervenuto in maniera sostanziale sulla dinamica conclusiva delle indagini preliminari, delineando nuove cadenze temporali e rinnovati snodi valutativi dell’esito investigativo ad opera del pubblico ministero. Le scelte operate definiscono, in particolare, nuovi tempi della fase preliminare e inediti spazi di riflessione per il requirente, cui si collegano automatismi di discovery e meccanismi di possibile differimento. L'inosservanza non è sanzionata: nell'attesa che il sistema si renda efficiente a prescindere dalle cadenze temporali del rito.

Procedural inactivity and legal remedies: waiting for Godot?

The Italian Legislative Decree No. 150 of 2022, by implementing the government’s delegation reforming the Italian criminal proceedings (the so called "Cartabia reform"), has intervened substantially on the concluding dynamics of the preliminary investigations, outlining new timeframes and renewed assessments of the investigative outcome by the prosecutor. The choices made define, in particular, new timeframes for the preliminary phase and unprecedented areas of reflection for the prosecutor, to which discovery automatisms and possible deferral mechanisms are linked. Non-compliance is not sanctioned: waiting for the system to become efficient regardless of the time-frames of the proceedings.

SOMMARIO:

1. I nuovi termini delle indagini preliminari - 2. Spazi di riflessione e tempi morti del procedimento - 3. Rimedi alla stasi - 4. Ostensione ritardata - 5. Ostensione automatica degli atti - 6. Conclusioni, de jure condito - NOTE


1. I nuovi termini delle indagini preliminari

La riorganizzazione della procedura, nella disciplina codicistica dovuta al decreto delegato attuativo della l. n. 134/2021, trova nella fase investigativa una chiave di lettura fondante: per raggiungere l’effi­cienza del processo è essenziale concentrare il tempo dell’indagine e razionalizzarne l’esito, così da permettere un adeguato filtro delle notizie di reato meritevoli del successivo approdo alla fase processuale. Il d.lgs. n. 150/2022, meglio noto come riforma Cartabia, opera una sostanziale riscrittura delle dinamiche preliminari, con la presa d’atto che, dalla riforma operata con l. n. 161/2017, occorre distinguere i termini relativi alle indagini rispetto al termine per l’esercizio dell’azione penale (c.d. termini di riflessione): a fronte di una rimodulazione dei termini ordinari di durata delle indagini preliminari, la riforma introduce una disciplina destinata a incidere sulla stasi del procedimento, in conseguenza della chiusura dell’attività investigativa. Gli interventi correttivi riguardano, anzitutto, l’art. 405 c.p.p., ora rubricato «Termini per la conclusione delle indagini preliminari» [1]. Il delegato, in attuazione della granulare direttrice di delega ex art. 1, comma 9, lett. c), l. n. 134/2021, delinea al comma 2 una disciplina tripartita in base alla gravità del reato: il pubblico ministero deve concludere le indagini, a pena di inutilizzabilità degli atti compiuti tardivamente (cfr. il novellato art. 407, comma 3, c.p.p.), entro un anno dalla data in cui il nome dell’indagato è iscritto nel registro delle notizie di reato, per la generalità dei delitti; per le contravvenzioni, il termine si riduce a sei mesi; mentre è prolungato a un anno e sei mesi per i delitti di cui all’art. 407, comma 2, c.p.p. [2]. Le modifiche appaiono tutt’altro che neutre, giacché determinano un prolungamento del tempo in cui l’indagato, in assenza del compimento di atti garantiti, può rimanere all’oscuro del procedimento [3]. Le ulteriori implicazioni sistematiche si colgono solo considerando le novità contestualmente introdotte nella disciplina della proroga dei termini d’indagine, all’art. 406 c.p.p. In dettaglio, il pubblico ministero, «prima della scadenza» del termine di cui all’art. 405, comma 2, c.p.p., può chiedere al [continua ..]


2. Spazi di riflessione e tempi morti del procedimento

La ricerca di meccanismi che, operando su vari fronti, possano garantire la durata ragionevole del procedimento costituisce, senz’altro, uno dei Leitmotiv della riforma del processo. Già in occasione delle interpolazioni operate nel 2017, in seguito alla l. n. 103/2017 (la c.d. riforma “Orlando”), la disciplina concernente lo scioglimento della riserva sull’inizio dell’azione penale era stata razionalizzata e isolata (arg. ex art. 407, comma 3-bis, c.p.p., oggi abrogato), nell’auspicio di metter ordine al non governo del tempo “neutro” successivo alla conclusione dell’indagine preliminare [11]. I termini indicati dal legislatore erano, tuttavia, un auspicio sovente disatteso. L’arricchimento e il conseguente riordino della disciplina codicistica dovuto al d.lgs. n. 150/2022 richiama gli attori della fase preliminare a una nuova autoresponsabilità, nel rispetto dei reciproci ruoli. Decorsi i termini investigativi, il requirente si trova innanzi alla scelta d’azione, secondo le forme e le cadenze oggi confluite nel nuovo art. 407-bis c.p.p. («Inizio dell’azione penale. Forme e termini»), che riprende il contenuto originario dell’art. 405, comma 1, c.p.p., integrandolo e aggiornandolo. Il periodo di riflessione già contemplato nel tessuto del codice di rito viene, al comma 2 dell’art. 407-bis c.p.p., razionalizzato [12] e in parte disciplinato ex novo. Nonostante la nuova numerazione e collocazione topografica, le modifiche operate recuperano gli schemi del passato, non sempre ritenuti armonici rispetto alla necessità di evitare quei “tempi morti” che determinano un ingiustificato allungamento della durata complessiva del procedimento penale [13]. Al fine di valutare se esercitare o meno l’azione, il nuovo art. 407-bis, comma 2, c.p.p. concede al pubblico ministero un termine di tre mesi rispettivamente decorrente: (a.) dalla scadenza del termine massimo per le indagini (cfr. art. 405, comma 2, c.p.p.); (b.) «se ha disposto la notifica dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari», dalla scadenza del termine di venti giorni entro il quale l’indagato può esercitare le proprie facoltà difensive (art. 415-bis, comma 3, c.p.p.); ovvero, ancora, (c.) dalla scadenza del termine stabilito dal giudice per lo svolgimento di ulteriori indagini ex art. 415-bis, [continua ..]


3. Rimedi alla stasi

L’art. 407-bis, comma 2, c.p.p. impone, dunque, la scelta all’indicativo presente, senza il ricorso a predicati modali: «Il pubblico ministero esercita l’azione penale o richiede l’archiviazione» entro la scadenza del termine di riflessione già sopra descritto. Id est: l’inquirente diviene requirente, poiché deve chiedere, deve formulare una domanda per superare la stasi in cui il procedimento è piombato. Nessuna conseguenza o sanzione di carattere processuale è, tuttavia, contemplata per il caso della inosservanza del termine consentito dalla legge. I «tempi supplementari» [20], in altre parole, possono trascorrere lenti e senza novità di sorta: senza che si giunga a una definizione forzata. Vero, certo, che ogni atto investigativo compiuto allo spirare dei termini investigativi incappi nella patologica inutilizzabilità del risultato probatorio, anche in chiave di delibazione sulla sostenibilità dell’accusa; ma nessuna diversa conseguenza si produrrà sul successivo corso del procedimento, in termini di preclusione ai successivi atti del procedimento o di invalidità dell’atto di impulso processuale. Residua, e risulta almeno ideologicamente rafforzata dalla riforma, l’ipotesi di avocazione disciplinata dall’art. 412 c.p.p.: il procuratore generale presso la corte d’appello può (non necessariamente deve [21]) disporre con decreto motivato l’avocazione delle indagini preliminari «se il pubblico ministero non ha disposto la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, oppure non ha esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione» entro i termini di legge (art. 412, comma 1, c.p.p.). Il procuratore generale, al fine di poter attivare i propri poteri, riceve settimanalmente dalla segreteria del pubblico ministero i dati relativi ai procedimenti per i quali il pubblico ministero non ha disposto la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, né ha esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione nei termini previsti dall’art. 407-bis, comma 2, c.p.p.; i dati riguardanti i procedimenti nei quali il pubblico ministero non ha assunto le determinazioni in ordine all’azione penale, pur a seguito dell’infruttuoso decorso del termine previsto dal comma 3 dell’art. [continua ..]


4. Ostensione ritardata

Correlativamente, il testo dell’art. 415-bis c.p.p., a parte minori interpolazioni di coordinamento ai commi 1, 3 e 5, è arricchito di ben nuovi cinque capoversi, che definiscono una disciplina volta a estendere i termini di riflessione dell’inquirente e a consentire il differimento della conclusione della fase preliminare, in funzione di peculiari ipotesi [25]. Più nello specifico, in seguito alla interpolazione operata sul comma 5-bis, il pubblico ministero, prima della scadenza dei termini di durata delle indagini preliminari, può presentare al procuratore generale presso la corte d’appello una richiesta motivata di differimento della notifica all’indagato dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari; può, in altri termini, chiedere tempo ed evitare che si giunga a una immediata discovery del fascicolo delle indagini [26]. Il differimento può essere richiesto in due ipotesi: quando sia stata richiesta l’applicazione di una misura custodiale e il giudice non abbia ancora provveduto «o quando, fuori dei casi di latitanza, la misura applicata non [sia] stata ancora eseguita» (lett. a); quando la conoscenza degli atti d’indagine possa mettere in concreto pericolo «la vita o l’incolumità di una persona o la sicurezza dello Stato», o se, nei procedimenti per i delitti di cui all’art. 407 comma 2, c.p.p., la discovery rechi pregiudizio all’indivi­duazione o alla cattura del reo o al possibile sequestro ai fini di confisca connesso alla fattispecie criminosa ipotizzata in fase investigativa (lett. b). Il procuratore generale, analizzata la richiesta, può decidere se autorizzare o meno il differimento dell’avviso – ricorrendone i presupposti – con decreto motivato. Quando autorizzi, la dilazione dovrà essere concessa «per il tempo strettamente necessario e, comunque, per un periodo complessivamente non superiore a sei mesi» ovvero, se si procede per i delitti di maggior gravità di cui all’art. 407, comma 2, c.p.p., «non superiore a un anno» (comma 5-ter, primo periodo). Nel caso di diniego, il decreto motivato dovrà esser notificato alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa che abbia chiesto di essere informata circa l’esito dell’attività investigativa (comma 5-ter, secondo periodo). Il meccanismo, [continua ..]


5. Ostensione automatica degli atti

La legge delega, a sugello della disciplina descritta, prevedeva l’individuazione di possibili meccanismi volti a consentire alla persona sottoposta alle indagini e all’offeso «di prendere cognizione degli atti di indagine», nel caso in cui il pubblico ministero, decorso il termine di riflessione, fosse rimasto inerte (art. 1, comma 9, lett. f, l. n. 134/2021). Nel dare attuazione alla direttiva, il delegato ha introdotto una norma di nuovo conio, l’art. 415-ter c.p.p., volto a disciplinare i diritti e le facoltà dell’indagato e dell’offeso “in caso di inosservanza dei termini per la conclusione delle indagini preliminari”. Alla scadenza dei termini di riflessione di cui all’art. 407-bis, comma 2, c.p.p., se il pubblico ministero non ha disposto la notifica dell’avviso di cui all’art. 415-bis c.p.p., né ha sciolto la riserva tra azione e inazione, «la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata in segreteria» e l’avviso dell’avvenuto deposito è notificato alla persona sottoposta alle indagini e all’offeso (che abbia chiesto di esser informato della conclusione delle indagini), nonché comunicato al procuratore generale presso la Corte d’appello (art. 415-ter, comma 1, c.p.p.) [31]. Gli oneri informativi indicati sono funzionali alla facoltà di esaminare gli atti ed estrarre copia del fascicolo, così da permettere la piena conoscenza del dossier investigativo [32]. L’avviso di cui all’art. 415-ter c.p.p. contiene, altresì, l’indicazione delle facoltà concesse all’indagato e all’offeso in ordine alle determinazioni relative all’esercizio della azione penale: se, infatti, dalla notifica dell’avviso di deposito descritto sia decorso un termine pari a un mese (o a tre mesi per i reati di cui all’art. 407, comma 2, c.p.p.) senza che l’inquirente abbia operato alcuna scelta, costoro potranno «chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di provvedere» (art. 415-ter, comma 3, c.p.p.). In questo snodo, le scelte concernenti l’esercizio dell’azione penale vengono rimesse a un ficcante scrutinio giudiziale. I soggetti interessati, difatti, oltre alla informativa circa la discovery automatica degli atti, ricevono notizia del potere sollecitatorio della giurisdizione: una vera e [continua ..]


6. Conclusioni, de jure condito

Nel complesso, si accennava, la disciplina passata in analisi definisce un tentativo concreto di richiamare i protagonisti della verifica conclusiva dell’indagine alla responsabilità dei propri ruoli. Due gli snodi essenziali. In primo luogo, l’ostensione degli atti, che consegue al mero decorso di un termine di riflessione normativamente previsto. Il deposito del fascicolo dovrebbe, in effetti, fungere da elemento acceleratore delle scelte d’accusa, anche solo per evitare che si perda del tutto quel “vantaggio competitivo” derivante dalla conduzione monopolistica delle indagini. In effetti, licenziare il fascicolo, con la notifica dell’avviso di cui all’art. 415-bis c.p.p., significa per il requirente manifestare una volontà tendenzialmente definita, pur al netto di eventuali novità portate in sede di dialettica difensiva dall’interessato, che miri a ottenere un cambiamento di rotta. La sollecitazione indiretta che il pubblico ministero subisce per effetto dell’automatica discovery potrà, allora, consentire una valutazione più puntuale, e certamente prioritaria, dei fascicoli in trattazione, anche solo per evitare che sia vanificato lo sforzo investigativo compiuto. In seconda battuta, poi, la possibilità di provocare l’intervento del giudice affinché formuli un ordine risolutivo della stasi definisce una sorta di extrema ratio legislativa: è definito un meccanismo procedurale per ogni caso in cui la situazione di stallo si protragga e la persona sottoposta alle indagini o, ancor di più, l’offeso intenda sollecitare il proprio diritto difensivo. La soluzione delineata dal legislatore, priva di un apparato sanzionatorio di qualsivoglia natura [36], sembra avere il fiato corto di chi arranca; e deve prendere altro tempo, allargando la platea dei soggetti da coinvolgere nello scrutinio. Al giudice sono, così, «attribuiti meri poteri di controllo» [37], che pure potrebbero non risolversi nella reale effettività del rimedio sull’azione. Residuale, sullo sfondo, il potere di avocazione descritto dall’art. 412 c.p.p., ultimo baluardo del­l’attesa, che si colora di «tinte discrezionali» [38], sbiadite in partenza e appesantite da elenchi di nomi e numeri. Ogni rimedio ha la sua complessità, in termini di presupposti, facoltà e oneri. E i tempi [continua ..]


NOTE