Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Cognizione della Corte di cassazione sulla illegalità della pena e discutibili corollari (di Maria Lucia Di Bitonto, Professoressa associata confermata di Procedura penale – Università degli Studi di Camerino)


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L'autrice prende in esame l’innovativa pronuncia delle Sezioni unite penali nella quale sono trattate in maniera originale le complesse questioni e i possibili nessi intercorrenti fra inammissibilità del ricorso, rilevabilità ex officio dell'illegalità della pena ed estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Molti gli spunti di riflessione e le osservazioni critiche, poiché tale decisione può ben essere considerata come un significativo saggio della irreversibile tendenza della giurisprudenza di legittimità verso discutibili derive 'creative'.

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Judicial checks on punishment against the law and questionable outcomes

The Author deals with an innovative judgement of the Italian Supreme Court. The case law concerns a criminal punishment which has been inflicted against the law and the judge's power to remedy this situation. But the final Court's decision does not consist in the replacement of the wrong punishment, because the time to punish expired.

Many questions arise by this decision, which reflects a general trend: the fact that nowadays the rules of criminal procedure are no longer only established by the legislator but also created by judges in their rulings.

L’inammissibilità del ricorso per cassazione non preclude l’accertamento sull’illegalità della pena MASSIMA: Pur in presenza di ricorso inammissibile, spetta alla Corte di Cassazione, in attuazione degli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost., il potere di rilevare l'illegalità della pena determinata dalla applicazione di sanzione ab origine contraria all'assetto normativo vigente. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 9 gennaio 2020, la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la decisione di primo grado che, nell'assolvere l'imputato dai reati di minaccia e di incendio, per insussistenza del fatto, aveva condannato M.E.S. alla pena di tre mesi di reclusione, avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 582 c.p., in danno di L.G., il quale, colpito con pugni e calci, aveva riportato lesioni giudicate guaribili in tre giorni. 2. Avverso tale sentenza, nell'interesse dell'imputato, è stato proposto ricorso affidato ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamenta manifesta illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione, con riguardo alla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo del reato. 2.2. Con il secondo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla richiesta di mitigazione del trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche. 3. La Settima Sezione, in esito alla camera di consiglio del 9 dicembre 2021, ha disposto la restituzione degli atti alla Quinta Sezione penale, rilevando l'esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine al rapporto tra cause di inammissibilità del ricorso per ragioni diverse dalla tardività e rilevabilità d'ufficio della pena illegale. 4. Con nota del 20 dicembre 2021 il Coordinatore dell'Ufficio spoglio della Quinta Sezione penale ha segnalato al Presidente aggiunto, per l'eventuale esercizio dei poteri di cui all'art. 610 c.p.p., comma 2, la trattazione del ricorso, in ragione del contrasto insorto – nei termini che verranno infra ripercorsi – a proposito della possibilità di rilevare ex officio, in presenza di ricorso per cassazione inammissibile per ragioni diverse dalla tardività dello stesso, l'illegalità della pena, in quanto di specie diversa rispetto a quella di legge o inflitta in misura superiore al massimo edittale, al di fuori delle ipotesi in cui ciò derivi da sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della relativa norma e/o da mutamento normativo in melius della stessa. 5. Con decreto del 13 gennaio 2022 il Presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissandone la trattazione nelle forme e con le modalità di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 (i cui effetti sono stati [continua..]

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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Inammissibilità del ricorso e illegalità della pena - 3. Inammissibilità del ricorso e declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione nei precedenti della giurisprudenza di legittimità - 4. Un overruling inaspettato - 5. Aporia o soluzione in linea di continuità con il precedente in materia di remissione della querela in pendenza di ricorso inammissibile? - 6. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

La pronuncia in commento si pone al crocevia di una molteplicità di questioni spinose, ciascuna meritevole di trattazione ben più approfondita di quella in procinto di essere svolta. Cruciale e, al tempo stesso, all’apparenza semplice la questione di diritto su cui verteva il contrasto interpretativo: occorreva stabilire se l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta a cause diverse dalla sua tardività impedisse oppure no alla Suprema Corte di rilevare ex officio l’illegalità della pena. La soluzione della questione controversa, però, si pone come testa di ponte per ribaltare il consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude ogni possibilità di pronunciare la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione nel giudizio in Cassazione, in presenza di un ricorso inammissibile. Diversamente, nel caso che ci occupa, le Sezioni unite hanno dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, nonostante la ravvisata inammissibilità del ricorso. Paradossalmente, tale arresto che pare l’esito più dirompente del pronunciamento dei giudici di legittimità, è anche quello meno motivato, desunto com’è dalla mera affermata rilevabilità ex officio della illegalità della pena nonostante l’inammissibilità del ricorso. Quasi che l’applicabilità dell’art. 129 c.p.p. sia configurabile in re ipsa, esclusivamente sulla base del mero previo riconoscimento dell’illegalità della pena comminata dal giudice di merito. Al fine di offrire una più chiara disamina delle diverse questioni si procederà a scandagliarle separatamente, per poi provare a formulare osservazioni critiche conclusive che le inquadrino unitariamente. Si inizierà muovendo l’indagine sull’avvenuta affermazione del potere del giudice di legittimità di rilevare ex officio l’illegalità della pena, pure a fronte di un ricorso inammissibile; poi si farà il punto sullo stato dell’arte della giurisprudenza di cassazione a proposito del problematico e controverso rapporto fra estinzione del reato per prescrizione e inammissibilità del ricorso; per avviarsi, infine, alle considerazioni conclusive.


2. Inammissibilità del ricorso e illegalità della pena

Le Sezioni unite risolvono il contrasto interpretativo rimesso al loro vaglio con l’affermazione che «pur in presenza di un ricorso inammissibile, spetta alla Corte di Cassazione, in attuazione degli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost., il potere di rilevare l’illegalità della pena determinata dall’applicazione di sanzione ab origine contraria all’assetto normativo vigente». Perno dell’iter argomentativo a sostegno di tale conclusione è la presa d’atto del recente consolidamento, da un lato, della concezione ‘flessibile’ del giudicato [1], dall’altro, del ruolo del giudice dell’esecuzione quale garante della legalità della pena [2]. Più precisamente, alla luce di una puntuale ed esauriente ricognizione dei precedenti che hanno statuito la cedevolezza del giudicato nelle ipotesi di c.d. “pena illegale” [3], attribuendo al giudice del­l’ese­cuzione il compito di rimediare ad essa attraverso l’esercizio del potere di rimodulazione dei suoi contenuti in un ventaglio assai ampio di fattispecie [4], le Sezioni unite risolvono il dubbio interpretativo attraverso un’opera di ‘omogeneizzazione’ dei poteri del giudice della cognizione e di quelli del giudice dell’esecuzione, sulla base dell’assunto – pacifico e difficilmente confutabile – che al primo non può non essere riconosciuto il potere di anticipare nella fase di cognizione gli esiti obbligati in fase esecutiva. Le Sezioni unite non sono nuove nel far valere gli insopprimibili nessi sistematici che legano giudizio in cassazione e poteri del giudice dell’esecuzione quale criterio ermeneutico per orientare gli spazi di intervento del giudice di legittimità in caso di inammissibilità del ricorso. Già in passato, infatti, avevano affermato che, nei casi di impugnazione inammissibile non dovuta alla sua tardività, l’unica ipotesi di cognizione del relativo giudice fosse quella relativa all’accertamento dell’abolitio criminis [5] o della dichiarazione d’illegittimità costituzionale della fattispecie incriminatrice [6] e/o delle altre norme concernenti il trattamento sanzionatorio relative all’oggetto dell’imputazione [7], proprio perché in tali casi l’art. 673 c.p.p. consente la revoca della sentenza di condanna in [continua ..]


3. Inammissibilità del ricorso e declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione nei precedenti della giurisprudenza di legittimità

Il rapporto fra l’obbligo di immediata declaratoria dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione e l’inammissibilità del ricorso per cassazione è questione dibattuta e risalente, di cui si discuteva già nella vigenza del codice di procedura penale del 1930 [16], il cui art. 152 aveva i medesimi contenuti dell’attuale art. 129 c.p.p. Anche allora erano due le posizioni a dividersi il campo: una favorevole a riconoscere alla Suprema corte il potere di dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione anche in caso d’inammissibilità del ricorso, in quanto il procedimento destinato a valutare la regolarità del ricorso costituirebbe, pur sempre, uno stato del processo [17]; l’altra, espressa per lo più da esponenti della magistratura, a favore della prevalenza dell’inammissibilità sulla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione [18]. Fra le due, fu una soluzione intermedia a prevalere in giurisprudenza, che distingueva tra cause d’inammissibilità originarie e sopravvenute, per applicare il proscioglimento immediato solo nel secondo caso. Tale schema ermeneutico si è inizialmente perpetuato anche dopo l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale [19], quando vennero qualificate come originarie le cause di inammissibilità previste nell’art. 591 c.p.p. e sopravvenute quelle stabilite per il solo ricorso per  cassazione dall’art. 606 comma 3 c.p.p. L’evoluzione successiva della giurisprudenza, però, si è mossa nel senso di una costante e progressiva erosione degli spazi riservati all’estinzione del reato per prescrizione nel caso d’inammissibilità del ricorso per cassazione. La graduale riduzione dell’ambito di applicabilità dell’art. 129 c.p.p. in Cassazione è stato realizzato in più tappe, attraverso lo spostamento delle cause d’inammissibilità tradizionalmente qualificate come sopravvenute nel novero di quelle originarie. Così, nel 1999, pur riaffermando l’immanenza della dicotomia fra inammissibilità originaria e sopravvenuta del ricorso, la Suprema corte ha fatto rientrare nel primo gruppo l’atto d’impugnazione in cui fossero enunciati motivi non previsti dalla legge o dedotte violazioni di legge non allegate nei motivi di appello. Ne [continua ..]


4. Un overruling inaspettato

Il panorama giurisprudenziale prima tratteggiato, insieme alla nuova fisionomia assunta dalla disciplina della prescrizione, potrebbe far cambiare opinione in ordine al famigerato uso pretestuoso delle impugnazioni per propiziare la declaratoria di estinzione del reato, insinuando il dubbio che tale posizione fosse niente più che un pregiudizio, un luogo comune, se non addirittura una posizione ideologica [29]. Che sia questa la ragione per cui la corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ci sorprende con un inatteso overruling, che prova a temperare la rigidità dell’orientamento consolidato, tutto imperniato sull’alternativa secca fra inammissibilità del ricorso, da un lato, e declaratoria ex art. 129 c.p.p., dal­l’altro? Ottimisticamente, si potrebbe rispondere positivamente al quesito. In effetti, dopo aver costruito il giudizio in cassazione come una roccaforte inespugnabile, la cui unica via di accesso è il ricorso ammissibile, è come se ora le Sezioni unite allestissero una sorta di ponte levatoio, per beneficiare di una possibile via di fuga dalla loro stessa giurisprudenza, e così pronunciare la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione anche quando il ricorso sia inammissibile. Chi scrive continua a preferire soluzioni d’antan [30], e a ritenere che il vaglio sull’ammissibilità del ricorso costituisce uno ‘stato’ del processo idoneo a consentire la rilevazione dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Da questa prospettiva, potrebbe apprezzarsi la scelta dei giudici di legittimità di riconoscere l’intervenuta prescrizione nonostante l’inammissibilità del ricorso. Nondimeno, non si può fare a meno di rilevare che configura una petizione di principio affermare che l’intervento officioso del giudice per rimuovere pene illegali sarebbe costituzionalmente imposto anche in caso d’inammissibilità del ricorso. Inoltre, appare un’ulteriore forzatura desumere la rilevazione della intervenuta prescrizione dalla riscontrata illegalità della pena comminata nella sentenza impugnata. La Suprema Corte non motiva affatto sul punto e tale silenzio può essere inteso come sintomo del fatto che non si voglia apertamente sconfessare i tanti precedenti di segno opposto, che escludono la rilevabilità in cassazione dell’intervenuta [continua ..]


5. Aporia o soluzione in linea di continuità con il precedente in materia di remissione della querela in pendenza di ricorso inammissibile?

Non si tratta, però, dell’unica incongruenza nell’evoluzione della giurisprudenza in materia di rapporti fra inammissibilità del ricorso e applicabilità dell’art. 129 c.p.p. Un’altra posizione, per così dire, eccentrica riguarda un risalente e consolidato orientamento a proposito della remissione di querela. Anche in relazione a questa fattispecie, le Sezioni unite hanno fatto prevalere la declaratoria ex art. 129 c.p.p. sull’inammissibilità del ricorso, purché il ricorso sia stato presentato tempestivamente e la remissione della querela sia intervenuta in pendenza del giudizio in cassazione e ritualmente accettata [31]. Sarebbe un errore ritenere che le due situazioni in cui le Sezioni unite della Suprema corte hanno attenuato il rigore della loro posizione sull’impossibilità di prosciogliere per estinzione del reato ex art. 129 c.p.p. in caso d’inammissibilità del ricorso siano scollegate fra di loro. Al contrario, è proprio il legame esistente fra due sentenze pronunciate a 18 anni di distanza l’una dall’altra a illuminare il senso di quella che sembra un’aporìa, ma che invece esprime un’ideologia della giustizia e del senso della funzione del giudice molto preciso e impermeabile a ogni aggiornamento. Sia la sentenza in materia di remissione della querela, sia quella in commento, sono entrambe espressione di una concezione del processo quale mero strumento delle regole del diritto penale sostanziale. L’inammissibilità del ricorso per cassazione, eretta a totem del buon funzionamento del giudizio in cassazione, lasciando in disparte ogni problematica considerazione sui suoi rapporti con il combinato disposto degli artt. 129 e 648 c.p.p., recede dal ruolo di irrimediabile interruttore del procedimento, e diviene accidente irrilevante, quando occorra dare spazio alla piena attuazione delle regole del diritto penale sostanziale. In effetti, indicazioni in questo senso si colgono proprio in alcuni passi delle motivazioni delle due sentenze. La remissione della querela intervenuta successivamente a un ricorso inammissibile estingue il reato per ragioni che «prescindono da modelli interpretativi di diritto processuale … risultando invece coordinate con i precetti di diritto sostanziale», alla cui stregua occorre «conferire alla voluntas del remittente la massima valenza sul piano [continua ..]


6. Conclusioni

La sentenza in esame pare opinabile per più di un ordine di ragioni. Oltre alle obiezioni già formulate in precedenza va contrastata la disinvoltura con cui la Suprema Corte sorvola sulla centralità della disciplina processuale codificata nel ritagliare l’ambito della cognizione della Suprema Corte nel giudizio di legittimità [34]. Un simile approccio travisa la corretta relazione fra diritto penale sostanziale e processuale: l'idea di un ruolo servente della procedura al diritto penale sostanziale rappresenta il portato di una concezione autoritaria del sistema penale, che concepisce la prima quale mero strumento di attuazione della finalità di deterrenza del secondo attraverso l'irrogazione delle pene in concreto. Al contrario, la concezione limitata del potere implicita alla Costituzione e al sistema di tutela dei diritti fondamentali imperniato sulla Convenzione europea, custodito dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, emancipa il processo penale dalla tendenza tipicamente autoritaria di concepire gli istituti del diritto e della procedura penale come strumenti di repressione e prevenzione, in funzione di difesa sociale. La relazione fra diritto penale e diritto processuale penale appartiene, ormai, all’ordine delle interrelazioni e delle interazioni e non più a quello della strumentalità a senso unico [35]. Del resto, che le disposizioni processuali rivestano nella Costituzione una posizione primaria e non più accessoria e strumentale a quelle sostanziali, è assunto risalente e pacifico [36]. Anche la Convenzione europea e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo esaltano il ruolo cardine delle regole processuali e del rispetto di esse nell’esercizio della funzione giurisdizionale in ambito penale, al punto che è la salvaguardia dei diritti fondamentali garantiti dall’art. 6 Cedu a costituire il metro alla cui stregua valutare non solo la legittimità dell’esercizio del potere del giudice penale, ma lo stesso ‘esserci’ del potere [37]. Alterare l’«intrinseca e solidale unitarietà del sistema penale» [38] per attribuire preminenza alle regole di diritto penale sostanziale, svilendo la portata cogente delle norme processuali, finisce solo per allargare la quota di ‘arbitrarietà’ delle decisioni penali e questo non giova né alla migliore [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2023