Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Neuroscienze, tutela penale e garanzie della persona (di Stefano Ruggeri, Professore Ordinario di diritto processuale penale – Università di Messina)


Fra gli ambiti di maggiore interazione tra scienza, processo e diritto penale, per non dire fra scienza e diritto in genere, è certo da annoverare il vasto campo delle neuroscienze, ossia di quel complesso di scienze che studiano le interrelazioni fra meccanismi (e disfunzioni) cerebrali e comportamento umano. Enormi appaiono le loro potenzialità in sede di applicazione processuale e ineludibile è oggi il dialogo che la scienza del processo deve instaurare con le neuroscienze e il loro linguaggio.

Il presente studio ripercorre le implicazioni di quest’affascinante problematica che attraversa una delicatissima terra di mezzo, nella quale l'analisi dell'uso processuale delle neuroinvestigazioni consente di rivisitare alcuni aspetti essenziali della teoria generale del processo, nonché della medesima teoria del reato. In questa cornice il dibattito sulle grandi categorie, qual è in particolare la libertà di autodeterminazione, apre scenari d’indagine inediti sul complesso processo d’interazione che s’instaura fra meccanismi cerebrali, fattori educativi e culturali, e comportamento umano, un processo che non solo getta nuova luce sui fondamenti del diritto penale, dall'imputabilità alle stesse funzioni della pena, ma inoltre rivela un’immediata incidenza sulle dinamiche dell'accertamento e della prova penale. La prospettiva privilegiata del processo, quale esperienza giuridica essenziale per ogni cultura giuridica, e del processo penale in ispecie quale esperienza giuridica imprescindibile per l’attuazione del diritto materiale, ci impone peraltro di guardare al progresso neuroscientifico in una prospettiva che va persino al di là di queste già fondamentali trasformazioni coinvolgendo direttamente, e a un livello ben più profondo, il rapporto fra giudizio, cognizione e legge.

Neurosciences, criminal justice and individual safeguards

The broad area of neurosciences, i.e. of those sciences that study the relationships between cerebral mechanisms (and disfunctions), can surely be included among the most significant fields of interaction between science, process, and criminal law. The potentials of their applicability in criminal trials appear to be of enormous relevance, and a dialogue between the science of procedural law and neurosciences and their languages is today unavoidable.

The present study focuses on the implications of this fascinating area that cuts across a very sensitive middle-earth in which the analysis of the procedural usage of neuro-investigations allows re-examining some essential aspects of the general theory of procedural law, as well as of the very theory of crime. Against this framework, the debate of the main categories, particularly those of freedom and self-determination, opens up unprecedented and promising avenues to investigate the complex process of interaction between brain mechanisms, educational and cultural factors, and human behaviour, since this process does not only shed light to the foundations, from criminal liability to the functions of punishment, but has also a direct impact on the dynamics of evidentiary procedures and the ascertainment of facts. Moreover, the privileged viewpoint of the trial as an essential legal experience in every legal culture, and especially of the criminal process as an indispensable legal experience to implement substantial criminal law, requires us to look at the neuroscientific progress in a way and goes beyond even these deep transformations, involving – at a deeper level still – the relationship between judgement, fact-finding, and law.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Neuroscienze, diritto penale del fatto e nuove frontiere della cognizione penale - 3. Il nuovo volto dell’imputazione - 4. Processo penale e metodo (neuro)scientifico - 5. Contraddittorio, par condicio e garanzie della giurisdizione nell’accertamento neuroscientifico. Contraddittorio (neuro)scientifico ed equità procedimentale - 6. (segue) Neuroscienze, diritto al confronto e principio d’immediatezza - 7. (segue) Il problema della (a)ticipità della prova neuroscientifica - 8. Nuove frontiere investigative, prova neuroscientifica e tutela della persona. Neuroindagini coattive? - 9. (Segue) Comportamenti comunicativi e libertà di autodeterminazione - 10. Scienza, processo, legge. Rilievi conclusivi - NOTE


1. Introduzione

Non c’è dubbio che fra gli ambiti di maggiore interazione tra scienza, processo e diritto penale, per non dire fra scienza e diritto in genere, è da annoverare il vasto campo delle neuroscienze, ossia di quel complesso di scienze (dalle neuroscienze cognitive alle neuroscienze affettive, alla neuropsicologia, alle neuroscienze computazionali, e così via) che studiano le interrelazioni fra meccanismi (e disfunzioni) cerebrali e comportamento umano. Attorno alle potenzialità delle neuroscienze in ambito giuridico, e specificamente alla loro applicabilità nel settore della giustizia penale, si è sviluppato ed è tuttora oltremodo attivo un dibattito enorme che in molti Paesi impegna, sia pur da differenti prospettive, alcune fra le menti più brillanti del nostro tempo nei più diversi rami dello scibile giuridico e non. Questo risultato ha molte ragioni di fondo e può trovare svariate spiegazioni: se già oltre un secolo addietro la fiducia nella certezza della scienza, promossa dal positivismo giuridico, ebbe un’importanza decisiva nell’evoluzione di vari sistemi di giustizia penale, non si possono ignorare fattori che oggi giustificano l’interesse per questo specifico ambito d’intersezione fra il mondo del diritto e quello della scienza. Tra i quali fattori due anzitutto vanno certamente tenuti in debito conto: primo, l’espansione a macchia d’olio dell’intervento strettamente penale, e più in generale della materia penale, nei settori più disparati, e specie in settori che richiedono conoscenze altamente specialistiche e nei quali più si avverte dunque la necessità di un dialogo fra sapere giuridico e sapere scientifico; e secondo, la galoppante evoluzione della tecnologia, che fa tutt’uno coi passi da gigante che la scienza a sua volta compie nel proprio percorso evolutivo. Tali due fattori non sono tuttavia slegati fra loro ma presentano una cospicua serie di implicazioni reciproche. Così, se l’evoluzione tecnologica ha contribuito allo sviluppo delle neuroscienze mediante l’introduzione ed elaborazione di nuove e più accurate forme di neuroimaging [ad es., la risonanza magnetica nucleare (RMN), la tomografia basata su emissione di positroni (PET)] o di brain imaging [ad es., la risonanza magnetica funzionale del cervello o functional Magnetic Resonance Imaging (fMRI)], [continua ..]


2. Neuroscienze, diritto penale del fatto e nuove frontiere della cognizione penale

Entusiasmi o timori a parte sull’uso processuale di tecniche neuroscientifiche, bisogna muovere da un dato che non sembra discutibile. Esse rivestono una rilevanza essenziale e, per alcuni versi, rivoluzionaria per una ridefinizione delle dinamiche, e soprattutto dei limiti, del giudizio penale: e ciò da un punto di vista sia sistematico sia metodologico che tocca direttamente la portata della cognizione giudiziale nell’attuale evoluzione della giustizia penale. Si tratta di un’area tematica di straordinaria rilevanza e complessità, nella quale si colgono nitidamente nuove intersezioni tra diritto e processo in materia penale. Non sono di oggi, ma di un passato a noi recente, le riflessioni che la dottrina penalistica e processualistica ha condotto attorno a svariate forme di mutua interferenza fra logiche processuali e legalità penale [4], spesso trascurate dalle tradizionali ricostruzioni teoriche e dalla stessa didattica universitaria: probabilmente per via dell’actio finium regundorum che l’una e l’altra scienza hanno a lungo portato avanti per perimetrare i confini della propria area tematica, e quindi della propria autonoma esistenza. Ma è bastato allontanarsi da una simile pretesa d’indipendenza mutua, e instaurare un dialogo fra le due discipline con le lenti dell’esperienza, perché l’osservatore attento potesse cogliere e mettere a fuoco un quadro dal quale emerge una pluralità di forme d’interferenza fra diritto e processo. Un quadro spesso purtroppo caratterizzato da una capacità manipolativa del procedimento nei confronti del reato che si trovi ad attraversare i suoi sentieri per assumere una consistenza giuridicamente apprezzabile [5], ma che comunque attesta l’idoneità del procedimento penale, già a partire dall’indagine, a plasmare rispetto ai propri fini e a riconfigurare lo stesso volto dell’illecito o almeno di alcune fra le sue componenti strutturali, e di qui della norma penale: e questo ancor più in considerazione del fatto che il giudizio penale si realizza oggi in larga misura attraverso moduli alternativi, caratterizzati da livelli cognitivi differenziati, benché spesso meno esaustivi rispetto a quello che si continua a considerare come archetipo. Né può ignorarsi il proliferare di nuovi accertamenti ipotetici e allo stato degli atti, nei quali, come [continua ..]


3. Il nuovo volto dell’imputazione

La ridefinizione dei limiti della cognizione penale porta peraltro con sé l’esigenza di guardare sotto una diversa luce a un tema classico del diritto processuale, e più a fondo della teoria generale del processo, ossia al problema dell’imputazione. Esso indubbiamente subisce l’influenza dell’evoluzione neuroscientifica non meno di quanto avvenga per la concezione del diritto penale del fatto: anzi anche qui si può dire che delle trasformazioni di quest’ultima costituisce lo specchio e l’inevitabile risultato sul piano dinamico del processo. E proprio su questo terreno le neuroindagini sembrerebbero di primo acchito avere un potenziale dirompente, potendo perfino arrivare a stravolgere il concetto stesso d’im­putazione processuale, che rischia di perdere la propria identità quale ipotesi criminosa relativa a un comportamento concreto realizzato in uno specifico contesto spazio-temporale. Un ampliamento senza confini dell’area dell’imputazione, la cui portata andrebbe ricostruita alla luce dell’intero percorso di formazione della personalità, finirebbe per rendere vuote formule i requisiti di chiarezza e precisione dell’addebito, e, più a fondo, comporterebbe insomma una trasfigurazione della stessa nozione di addebito penale, convertendolo in una categoria al contempo inutile e pericolosissima, in grado di abbracciare l’intera condotta di vita dell’imputato. Enormi le implicazioni sistematiche di una simile impostazione. Rilevantissime anzitutto le ripercussioni sul diritto di difesa e, più in genere, sul complessivo assetto dell’istruzione probatoria dibattimentale, che s’instaura e ruota attorno all’asse dell’imputazione. Né vanno sottaciuti i pericoli relativi a possibili rivolgimenti della stessa funzione giurisdizionale e degli essenziali connotati d’imparzialità e terzietà che il giudice, e in particolare il giudice penale, deve assolutamente conservare per adempiere proprio a quest’elevata funzione. La dilatazione della portata dell’imputazione potrebbe infatti condurre a un uso oltre misura dei poteri d’iniziativa probatoria del giudice, specie in considerazione del fatto che l’applicazione processuale di tecniche neuroscientifiche si realizza perlopiù attraverso indagini peritali che, se nella fase investigativa richiedono [continua ..]


4. Processo penale e metodo (neuro)scientifico

La messa a fuoco dei modi in cui l’evoluzione neuroscientifica ha inciso (e ancora più può incidere) sulla rimodulazione della cognizione penale e della res iudicanda pone le premesse per affrontare ora un ambito che direttamente interessa la relazione fra neuroindagini e processo penale, ossia il problema del metodo della conoscenza processuale. Il discorso s’iscrive del resto all’interno di un dibattito molto più ampio, riguardante il complesso rapporto fra scienza e processo, il quale a sua volta, come vedremo, fornisce allo studioso di oggi un angolo visuale privilegiato e ineludibile per rimeditare la tematica della soggezione del giudice solo alla legge, e a una legge sempre più difficile da individuare e da interpretare, e che talora appare persino inafferrabile, in un’era connotata da una crescente interlegalità [37]. Del resto, tale quesito è la traduzione specifica del più ampio interrogativo concernente il rapporto tra scienza e diritto, che storicamente ha visto confrontarsi la tesi separatista, imperniata sulla supremazia del scienza sul diritto e quella della mutualità e co-produzione, secondo la quale gli scienziati forniscono gli strumenti necessari per la comprensione delle teorie scientifiche e i giuristi usufruiscono di tali conoscenze, selezionando e riconoscendo i contributi scientifici che reputino rilevanti rispetto ai fini inerenti ai più vari problemi giuridici. E proprio a quel dibattito le tecniche neuroscientifiche dànno oggi nuova vita, alimentando in una luce assai diversa antiche e complesse questioni, mai del tutto risolte. Cosa è una prova (neuro)scientifica e quali ne sono i tratti essenziali, ossia gli elementi che ne caratterizzano l’esistenza? O se volessimo ribaltare la domanda: qual è la prova non scientifica, ovvero sfornita dei caratteri della scientificità? E a quale scienza si pensa, o si deve pensare, rispetto al giudizio penale? In realtà parlare di prova scientifica significa, come spesso accade, iscrivere una simile categoria in una dicotomia concettuale, ovvero parlare a un tempo di una coppia concettuale di opposti. Per discutere proficuamente di cos’è la scienza nella prova bisogna infatti sapere cosa scienza non è, e cioè analizzare anche quei fenomeni probatori che nessuna scienza coinvolgono. Ora la communis opinio considera come scientifica [continua ..]


5. Contraddittorio, par condicio e garanzie della giurisdizione nell’accertamento neuroscientifico. Contraddittorio (neuro)scientifico ed equità procedimentale

Ridefinita in questi termini, la questione concernente il metodo scientifico si spoglia di rilevanza generale nella prospettiva del giudizio penale e si traduce nel distinto problema del valore che a un determinato accertamento scientifico è da assegnare in una concreta esperienza processuale: un valore alla cui definizione – ed è forse questo l’aspetto più significativo – la capacità dell’intero ordinamento di assicurare l’effettivo soddisfacimento delle garanzie fondanti un processo autenticamente equo. E fra esse un’importanza capitale riveste appunto il contraddittorio, inteso anzitutto, come si diceva, quale canone metodologico per saggiare non la validità generale di un dato esame neuroscientifico bensì la sua specifica rilevanza rispetto alla concreta ipotesi criminosa. Una simile prospettiva d’indagine assume una particolare pregnanza sistematica nel nostro Paese, anzitutto alla luce del diritto costituzionale, il quale significativamente consacra proprio il contraddittorio nella formazione della prova quale metodo di conoscenza in materia penale, ossia, per riprendere l’efficace espressione di Paolo Ferrua, quale alleato della ricerca della verità e della funzione cognitiva del processo, e non ad essa antagonista [47]. Nel disegno costituzionale, insomma, il contraddittorio si trova iscritto in un quadro complessivo che – senza obliterare il fondamentale diritto delle parti, e precipuamente dell’accusato, a partecipare alla dialettica processuale – trascende questo piano e si colloca a un livello assiologico più elevato: nel quale, per un verso, perfino le ipotesi derogatorie più specificamente orientate a una tutela individuale, come il consenso dell’imputato, devono essere costruite e interpretate in un’ottica che assicuri sempre un equilibrio tra interessi confliggenti dotati di rilevanza costituzionale [48] e, per altro verso, la piena realizzazione di tale equilibrio postula uno strettissimo legame fra contraddittorio e garanzie della giurisdizione, a partire dalla terzietà e imparzialità del giudice [49]. Sennonché appunto la rilevanza costituzionale di questa materia fa emergere nuovi e delicati interrogativi. È possibile assicurare un’effettiva dialettica probatoria in un ambito che richiede conoscenze specialistiche e, se sì, che forma deve [continua ..]


6. (segue) Neuroscienze, diritto al confronto e principio d’immediatezza

È pertanto essenziale ricorrere a soluzioni idonee a sfruttare tutte le risorse insite nel canone del contraddittorio probatorio, garantendo anzitutto all’accusato una congrua occasione per un effettivo confronto dialettico, quale che sia il contesto in cui esso debba realizzarsi. Così è chiaro che, laddove (come avviene in Italia) i consulenti di parte non abbiano alcun ruolo attivo durante l’esame del perito o del consulente del pubblico ministero che abbia realizzato un’indagine scientifica, il contraddittorio si mantiene inevitabilmente su un piano puramente formale [55]. D’altra parte sarebbe estremamente pericoloso conferire ad esperti attribuzioni e poteri che permettano l’uso di strumenti legali, come il diritto al controesame o a contestare eventuali dichiarazioni difformi rese fuori dal dibattimento dal perito o consulente del pubblico ministero. L’esercizio di tali poteri postula infatti delicate valutazioni di opportunità, legate a specifiche strategie processuali, che non possono essere demandate a soggetti sforniti di conoscenze tecnico-legali, tant’è che in Italia nessuna delle parti private – e neppure l’imputato cui pure la nostra Costituzione, seguendo pedissequamente la formulazione convenzionale dell’art. 6 Cedu, riconosce il diritto a interrogare le persone che rendano dichiarazioni a suo carico – ha una legittimazione autonoma a svolgere il controesame di dichiaranti. La questione sembra ricadere in un’aporia insolvibile: chi conosce la scienza del processo, come il legale, non ha spesso alcuna competenza per esaminare il perito o consulente del pubblico ministero; mentre il consulente della difesa, l’esperto che conosce il linguaggio scientifico per sostenere un confronto col perito o col consulente del pubblico ministero, non è legittimato a intavolare un dialogo direttamente con essi, non conoscendo la scienza del processo. Ma si tratta di un’aporia solo apparente: poiché altro è che il consulente della difesa abbia una propria legittimazione a condurre il controesame, che è giusto che non abbia, altro che si possa prescindere dalla sua presenza contestualmente all’esame del perito o del consulente del pubblico ministero, e che non gli si riconosca alcun ruolo nel contesto del medesimo esame, essendo irrealistico pensare che, a fronte dell’espansione della tutela [continua ..]


7. (segue) Il problema della (a)ticipità della prova neuroscientifica

Il rilievo che la triade assiologica del contraddittorio, della par condicio e della terzietà e imparzialità del giudice occupa sul piano delle dinamiche degli accertamenti neuroscientifici merita peraltro di essere approfondito anche da un altro punto di vista e in una prospettiva più ampia, che non guardi solo ai procedimenti probatori all’interno del processo ma anche alle parentesi giurisdizionali nella fase investigativa e soprattutto alle attività investigative di natura tecnico-scientifica, nel quadro di sempre più complessi rapporti che s’instaurano fra indagine penale e giudizio. Proprio all’interno di questa cornice si colloca infatti una questione classificatoria che da tempo affligge la dottrina processualistica: gli accertamenti neuroscientifici formano oggetto di prove atipiche o tipizzate? L’interrogativo non ha naturalmente una rilevanza solo definitoria e astratta, anzi presenta una tale portata sistematica che su di essa si gioca in buona misura la tenuta di garanzie fondamentali quali quelle inerenti al diritto di difesa e al principio del contraddittorio, per l’appunto, nella dialettica fra accertamenti investigativi e giurisdizionali a cavallo fra indagini e processo. Non è per nulla indifferente, infatti, che un esame di brain imaging si realizzi con la forma di un accertamento peritale o di una prova atipica, per il fatto che l’ammissione di prove innominate non consegue a una valutazione libera e incondizionata in relazione al singolo caso ma è soggetta a un limite invalicabile e non disponibile (neppure da parte del diretto interessato, destinatario dell’operazione probatoria), ossia al rispetto della libertà morale della persona, e – cosa altrettanto rilevante nella prospettiva del discorso che stiamo svolgendo – a un preciso requisito metodologico, cioè al dovere del giudice di promuovere un contraddittorio argomentativo previo fra le parti al fine di stabilire l’an e il quomodo della formazione della prova atipica. A rigore la previsione di tali condizionali legali fa sì che anche la prova atipica sia in realtà tipizzata, benché in via generale: per paradossale che possa suonare la conclusione, una prova autenticamente atipica non esiste né di essa dovrebbe parlarsi, così come a nessuno verrebbe in mente di parlare di nullità o inutilizzabilità atipiche per [continua ..]


8. Nuove frontiere investigative, prova neuroscientifica e tutela della persona. Neuroindagini coattive?

Le conclusioni appena raggiunte quanto alla classificazione degli esami neuroscientifici alla stregua di accertamenti peritali, e parallelamente di accertamenti tecnico-scientifici di parte nel corso delle rispettive attività investigative, aprono ulteriori scenari d’indagine, gravidi anch’essi di importanti implicazioni nella prospettiva della tutela di libertà fondamentali riconosciute a una pluralità di livelli, e anzitutto a livello costituzionale. La prima e forse più rilevante questione attiene alle condizioni al ricorrere delle quali un’indagine neuroscientifica può essere disposta. Così, se è vero che è spesso la difesa a richiedere o ad acconsentire a indagini neuroscientifiche nell’ambito di una strategia tesa, se non a escludere, quantomeno ad attenuare il giudizio di colpevolezza, che accade se tale consenso manca? Sarebbe ammissibile realizzare neuroesami in modo coattivo per provare aspetti vòlti per converso ad aggravare il giudizio di colpevolezza? L’interrogativo, già affacciatosi nella letteratura processualistica [68], acquista particolare pregnanza proprio in ragione del progressivo rafforzamento delle competenze degli organi inquirenti, il quale a sua volta si incrocia con un fenomeno non meno significativo, costituito dal crescente uso, non sempre peraltro accompagnato e perimetrato da una puntuale regolamentazione legale, di nuove e sempre più invasive tecniche investigative, ovvero di mezzi d’indagine caratterizzati da inedite forme e livelli di coercizione, se di coercizione di vuol ancora parlare. Una duplice tendenza non poco preoccupante e tangibile non solo nell’ambito di procedimenti penali interni ma anche in quello della giustizia penale transnazionale: e lo comprova già da anni l’esperienza dell’euroordine d’indagine penale, strumento che si discosta da pressoché tutti i precedenti meccanismi di assunzione e circolazione della prova su scala transnazionale, anche al di fuori dell’area nell’ambito della cooperazione internazionale fondata sul principio del riconoscimento mutuo, oltre che per altri rilevanti profili, perché permette ordinariamente il ricorso a strumenti d’indagine coattivi o dotati di una considerevole ingerenza nella sfera dei diritti e delle libertà individuali, il cui utilizzo, all’interno dell’area [continua ..]


9. (Segue) Comportamenti comunicativi e libertà di autodeterminazione

Anche nell’ambito delle metodologie neuroscientifiche non invasive, e che non incidono negativamente su beni primari come il diritto alla salute, sorgono delicati problemi, i quali attengono in particolare a quelle tecniche applicabili ad attività investigative o istruttorie aventi ad oggetto comportamenti comunicativi, ossia precipuamente le tecniche vòlte a identificare menzogne (lie detection) o tracce di memoria (memory detection) nell’assunzione di prove dichiarative [85]. Naturalmente il fatto che, a differenza delle neuroindagini atte a determinare profili rilevanti per il giudizio sulla colpevolezza, tali esami possano essere condotti non solo sull’imputato ma potenzialmente nei confronti di ogni soggetto processuale pone immediatamente difficoltà legate alle diverse vesti giuridiche e soprattutto alle differenti discipline a garanzie previste per differenti categorie di dichiaranti: altro è assumere prove dichiarative dalla vittima, altro da un testimone, e differenze emergono ovviamente anche in relazione allo stesso soggetto a seconda del momento procedimentale nel quale debba essere ascoltato, come accade per l’indagato e per l’imputato. Sarebbe impensabile l’uso forzoso di tecniche atte a identificare errori mnemonici o addirittura menzogne nei riguardi dell’imputato che, proprio perché tale e a compensazione dell’accusa che l’ordinamento gli rivolge con l’azione del pubblico ministero, ha diritto di scegliere se richiedere l’interrogatorio o l’esame, o se accettare la relativa sfida, non potendo essere forzato a sottoporvisi, e ha soprattutto diritto a scegliere se e quanto rispondere [86]. Ma persino quando si tratti del teste, gravato notoriamente da una pluralità di obblighi fra i quali campeggiano l’obbligo di comparire e di rispondere esaustivamente e secondo verità a tutte le domande che gli vengano poste, c’è sempre uno spazio, una nicchia intangibile nella quale l’autorità non può coattivamente entrare e indagare, e che concerne tutti quei profili che, potendo implicare il rischio di una responsabilità penale per il dichiarante, determinano appunto l’attivazione della fondamentale garanzia del divieto di usare metodi che possano costringerlo a se ipsum detegere. Garanzia d’importanza capitale nelle carte internazionali dei diritti e anzitutto, [continua ..]


10. Scienza, processo, legge. Rilievi conclusivi

Senza dubbio le neuroscienze pongono sfide di enorme portata per l’amministrazione della giustizia penale, e con esse deve inevitabilmente confrontarsi chiunque intenda approfondire l’evoluzione che la tutela penale ha avuto pressoché in ogni ordinamento, e le sempre più complesse relazioni fra processo e scienza. La natura stessa del processo quale esperienza giuridica essenziale per ogni cultura giuridica, e del processo penale in ispecie quale esperienza giuridica imprescindibile per l’attuazione de diritto materiale, ci impone al termine d quest’indagine di guardare al progresso neuroscientifico in una prospettiva che va persino al di là delle trasformazioni profonde che esso sta producendo, o ancor più potrà produrre in futuro, in relazione a fondamentali categorie come quelle di accertamento o d’impu­tazione, nonché al già rilevantissimo tema delle dinamiche probatorie, coinvolgendo direttamente il rapporto fra giudizio, cognizione e legge. Un quesito si affaccia infatti alla luce dei risultati raggiunti con questo studio: oltre all’indubbia estensione e rimodulazione dell’oggetto del processo, ossia dell’area della cognizione penale dentro del processo, è possibile che le neuroscienze stiano producendo, e verosimilmente ancor più producano nel futuro, un ulteriore e assai più consistente risultato, che non tanto incide sulla cognizione all’interno del processo quanto addirittura la disloca, trasferendo porzioni rilevanti dell’accertamento al di fuori del processo? E se sì, sino a che punto un simile fenomeno è tollerabile nella cornice dei principi anzitutto costituzionali che delineato i tratti essenziali della giurisdizione e del processo penale in particolare? È possibile che, mentre il giudice cerca di districarsi nel labirinto sempre più fitto e complesso della moderna interlegalità [96], debba sconsolatamente constatare in un futuro più o meno prossimo che il giudizio in una sua misura rilevante si sta svolgendo altrove, e si ritrovi a scoprire che, se non può più considerarsi soggetto alla sola legge, deve invece ormai prestare osservanza anche all’evoluzione (neuro)scientifica? Interrogativi di questa portata potrebbero trovare una risposta piana e quasi scontata: ed è che un simile dislocamento del giudizio, se così vuol [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2023