Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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C) I Capi II e III della riforma (di Ernesto Caggiano, Magistrato)


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Il Capo II della l. 17 giugno 2022, n. 71, introduce una serie di modifiche alla normativa sull’ordinamento giudiziario, dal contenuto immediatamente precettivo, nell’ottica della razionalizzazione delle procedure, del potenziamento dei profili organizzativi e del rafforzamento della formazione permanente dei magistrati. La novella riguarda, in particolare, le tabelle degli uffici giudicanti, nell’ottica di una migliore distribuzione dei carichi di lavoro; la modifica del termine di legittimazione ai trasferimenti ordinari; la previsione di nuove ipotesi di illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni e l’introduzione degli istituti dell’estinzione dell’illecito e della riabilitazione. Restringe, ulteriormente, la possibilità di mutamento delle funzioni tramite passaggio da quelle giudicante a quelle requirenti, e viceversa.

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Il Capo III disciplina, con normativa immediatamente precettiva e dal contenuto analitico, i rapporti tra magistratura e politica, dettando differenti soluzioni in relazione ad alcuni fenomeni da tempo oggetto di forte critica, anche nell’opinione pubblica. Nello specifico, vengono introdotti limiti alla eleggibilità dei magistrati e viene regolamentato il ricollocamento in ruolo dei magistrati, diversamente declinato a seconda che si versi in ipotesi di: mancata elezione a cariche politiche; cessazione di un mandato politico; cessazione di un mandato governativo; cessazione di incarico apicale presso determinate istituzioni.

Chapters II and III of the reform

Chapter II of Law 17 june 2022, no. 71, introduces a series of changes to the legislation on the judiciary, with an immediately prescriptive content, with a view to rationalizing procedures, strengthening organizational profiles and strengthening the continuing education of magistrates. The legislative novel concerns, in particular, the tables of the judging offices, with a view to a better distribution of workloads; the modification of the term of legitimacy for ordinary transfers; the provision of new cases of disciplinary offense in the exercise of the functions and the introduction of the institutes for the extinction of the offense and rehabilitation. It further restricts the possibility of changing functions by passing from judicial to prosecuting ones, and vice versa.

Chapter III governs, with immediately prescriptive legislation and analytical content, the relationship between the judiciary and politics, dictating different solutions in relation to some phenomena that have long been the subject of strong criticism, including in public opinion. Specifically, limits on the eligibility of magistrates are introduced and the redeployment of magistrates to the role of magistrates is regulated, differently declined according to the hypothesis of: failure to elect political positions; termination of a political mandate; termination of a government mandate; termination of senior positions in certain institutions.

SOMMARIO:

1. Modifiche alle disposizioni dell’ordinamento giudiziario - 2. Modifiche al r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 - 3. Aspettativa per infermità - 4. Corsi di formazione per le funzioni direttive e semidirettive - 5. Modifiche alla normativa sugli illeciti disciplinari - 6. Sul mutamento di funzioni e sulle altre modifiche al d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 - 7. L’organizzazione degli uffici di Procura e i criteri di priorità - 8. Programmi di gestione e interventi per garantire l’efficienza degli uffici giudiziari - 9. Limiti alla eleggibilità degli appartenenti all’ordine giudiziario - 10. Ricollocamento in ruolo - NOTE


1. Modifiche alle disposizioni dell’ordinamento giudiziario

Il Capo II della l. 17 giugno 2022, n. 71, composto da 8 articoli (artt. 7-14), novella alcune disposizioni dell’ordinamento giudiziario. Diversamente dal Capo I, la citata legge non procede con una delega al Governo ma modifica direttamente le norme in vigore, introducendo disposizioni immediatamente precettive. Peraltro, rispetto all’originario disegno di legge, AC 2681 – presentato alla Camera nel settembre 2020 dall’allora Ministro della giustizia, on. Alfonso Bonafede, ed assegnato alla Commissione Giustizia, che ne ha avviato l’esame nell’ottobre 2020– il quadro complessivo del Capo II è stato notevolmente emendato, come si evince sia dal passaggio da 6 ad 8 articoli, sia attraverso il confronto dei testi, che denota una incisiva operazione di ampliamento dei profili di innovazione.


2. Modifiche al r.d. 30 gennaio 1941, n. 12

Un primo intervento riguarda le tabelle degli uffici giudicanti, delle quali si estende la validità da tre a quattro anni, dilatazione ragionevole alla luce delle risultanze della prassi che, da tempo, ha evidenziato come l’iter procedurale connesso al rinnovo triennale delle tabelle dell’ufficio risulti gravoso per gli uffici e non necessario, in considerazione della possibilità di gestire con le ordinarie procedure di modifica eventuali esigenze organizzative sopravvenute. Ulteriore innovazione di carattere temporale riguarda il termine di legittimazione ai trasferimenti ordinari, di cui all’art. 194 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12. La nuova previsione stabilisce che tale termine, fissato in quattro anni per tutti i magistrati, sia ridotto a tre anni per i magistrati che esercitano le funzioni presso la sede di prima assegnazione. La riduzione appare condivisibile, alla luce dell’aggravio che rappresenta, per un magistrato di prima nomina, la permanenza protratta presso la prima sede che, di fatto, è il frutto di una scelta limitata. A ciò si aggiunga che tale soluzione cristallizza un principio che era già stato applicato in passato, seppur in via episodica, in virtù del dettato dell’art. 3 d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla l. 25 ottobre 2016, n. 197, il cui comma 1-ter prevede che “per i magistrati che, alla data di entrata in vigore della presente disposizione, esercitano le funzioni presso la sede di prima assegnazione o, alla medesima data, sono stati assegnati alla prima sede, il termine di cui all’art. 194, comma 1, dell’ordinamento giudiziario, di cui al r.d. n. 12 del 1941, per il trasferimento ad altre sedi o per l’assegnazione ad altre funzioni è ridefinito da quattro anni a tre anni. Il presente comma si applica anche ai magistrati ai quali la prima sede è assegnata nell’anno 2017”. Nel quadro di una più complessiva riflessione sul rafforzamento degli strumenti in grado di garantire maggiore efficacia ed efficienza all’azione giudiziaria, riducendone i tempi ed evitando la creazione di disfunzioni in grado di incidere negativamente sulla produttività del singolo, è stato modificato l’art. 7-ter r.d. n. 12 del 1941, che detta i criteri generali cui si deve attenere il dirigente nell’organizzazione e distribuzione del carico di lavoro. Nello specifico, la [continua ..]


3. Aspettativa per infermità

L’art. 9 modifica l’art. 3, comma 2, r.d.lg. 31 maggio 1946, n. 511, nel senso di ampliare i casi di collocamento in aspettativa dei magistrati, comprendendo anche le ipotesi di positivo accertamento di una condizione di infermità incompatibile con il proficuo svolgimento delle funzioni giudiziarie, attraverso una previsione che anticipa, in concreto, la possibilità di essere collocato in aspettativa sebbene il procedimento finalizzato alla verifica della natura permanente dell’infermità – ai fini della dispensa dal servizio – sia ancora in itinere. La novella appare pregevole nell’ottica di considerare il magistrato – anche – nella sua veste di lavoratore, cui vanno assicurate le relative tutele di legge; la stessa si salda, peraltro, a testimonianza della sensibilità del tema, alla recentissima circolare del Consiglio Superiore della Magistratura, denominata “Nuova circolare sulle assenze del magistrato di tutte le tipologie e congedi, aspettative e permessi posti a tutela della salute, della maternità/paternità e della formazione e relative problematiche”, che raccoglie le differenti ipotesi di assenza dal servizio e le relative discipline, tra cui si segnalano gli artt. 3 “Aspettativa per infermità” e 4 “Dispensa dal servizio o collocamento in aspettativa d’ufficio per infermità”.


4. Corsi di formazione per le funzioni direttive e semidirettive

Con l’intento di rafforzare la professionalità dei magistrati, l’art. 10 estende le competenze didattiche e di formazione professionale proprie della Scuola, prevedendo che la medesima sia preposta non soltanto all’organizzazione di corsi di formazione per i magistrati giudicanti e requirenti che aspirano al conferimento degli incarichi direttivi di primo e di secondo grado ma anche a quelle semidirettivi, prima non inseriti nell’elenco di cui all’art. 2 d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26. La medesima estensione è stata inserita, opportunamente, anche nel corpo dell’art. 26-bis d.lgs. cit., che regolamenta i predetti corsi di formazione, con la introduzione di uno specifico target sulla materia ordinamentale nonché la previsione di una durata minima dei corsi pari a tre settimane, cui segue una “prova finale diretta ad accertare le capacità acquisite”. Appare evidente che tali modifiche vadano nella direzione di garantire, da un lato, una formazione effettiva ed efficace e, dall’altro, di comprovare la reale acquisizione delle competenze cui i corsi sono mirati, anche al fine di migliorarne la qualità.


5. Modifiche alla normativa sugli illeciti disciplinari

L’art. 11 ha introdotto nuove condotte disciplinarmente rilevanti, in ossequio al principio di tipicità delle fattispecie di illecito disciplinari, contenuto nell’art. 1, comma 1, lett. f), l. 25 luglio 2005, n. 150, recante delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario, e concretizzatosi con d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109. Nello specifico, sono stati ampliati gli illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni, con l’inse­rimento di due nuove fattispecie omissive, strettamente connesse tra di loro e da ricollegarsi alla modifica di cui al successivo art. 14, la cui ratio discende, come si illustrerà in seguito, direttamente dal nuovo ruolo – ossia dalle maggiori responsabilità in tema di coordinamento, vigilanza e funzionamento della macchina giudiziaria – riconosciuto ai dirigenti, sia degli uffici che delle sezioni. Pur rinviandosi, per una lettura più approfondita, al commento sull’art. 14, è doveroso segnalare, sin da subito, che il novellato art. 37, comma 5-bis, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, prescrive al capo dell’ufficio, in ipotesi di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati dell’ufficio, di accertare le cause degli stessi e di adottare ogni iniziativa idonea a consentirne l’eliminazione, attraverso la predisposizione di piani mirati di smaltimento, anche con sospensione totale o parziale delle assegnazioni e la redistribuzione dei ruoli e dei carichi di lavoro. Parimenti, il successivo comma 5-ter prevede un analogo potere/dovere di controllo e intervento in capo al dirigente dell’ufficio tenuto, ove le pendenze dell’ufficio o di una sezione aumentassero in misura superiore al 10% rispetto all’anno precedente, ad accertarne le ragioni ed altresì, qualora fosse acclarato che la causa sia da ricollegarsi a carenze organizzative, ad adottare ogni intervento idoneo ad una migliore gestione dell’ufficio. Coerentemente, e sempre al fine di responsabilizzare la figura del capo dell’ufficio, le nuove fattispecie omissive sanzionano sia la mancata adozione delle condotte di cui ai richiamati commi 5-bis e 5-ter dell’art. 37 d.l. n. 98/2011, sia la mancata comunicazione (al consiglio giudiziario e al consiglio direttivo della Corte di cassazione o al capo dell’ufficio), da parte del capo dell’ufficio o del presidente di una sezione, delle condotte del [continua ..]


6. Sul mutamento di funzioni e sulle altre modifiche al d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160

L’art. 12 introduce, in primis, una norma di dettaglio, finalizzata a migliorare la procedura di indizione del concorso per l’accesso in magistratura, attraverso la previsione di un nuovo inadempimento in capo al Ministero della giustizia, onerato a determinare, con cadenza annuale, i posti che si sono resi vacanti nell’anno precedente e quelli che si renderanno vacanti nel quadriennio successivo, dandone comunicazione al Consiglio superiore della magistratura. La regolamentazione di una procedura concorsuale di cui sia garantita la frequenza e la continuità è stata assicurata, inoltre, introducendo l’ulteriore onere, a carico del Ministero della giustizia, di bandire il concorso ogni anno entro il mese di settembre. Il fine appare duplice: garantire maggiore certezza agli aspiranti magistrati– spesso in passato costretti ad attendere le incerte e talvolta imprevedibili tempistiche concorsuali – e consentire un regolare e cadenzato inserimento di nuovo personale di magistratura nell’organico, sì da far fronte al fisiologico fenomeno dei pensionamenti annuali. Di certo, l’intervento di maggior rilievo di cui all’art. 12 è quello relativo al passaggio delle funzioni giudicanti e requirenti, istituto del quale appare utile ripercorrere l’iter storico-evolutivo. L’art. 190 della legge sull’ordinamento giudiziario, r.d. n. 12/1941, nella sua formulazione originaria consentiva senza eccezioni il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, subordinato esclusivamente al positivo rilascio di un parere attitudinale da parte del Consiglio giudiziario di appartenenza. Con l’introduzione dell’art. 13 d.lgs. n. 160/2006, per la prima volta si inseriscono delle notevoli limitazioni al passaggio di funzioni che, nelle residuali ipotesi consentite, in ogni caso era possibile per un massimo di quattro volte nella carriera del magistrato. La novella legislativa in esame, nella sua prima versione, prevedeva una ulteriore riduzione di questi passaggi, da quattro a due. A seguito degli emendamenti parlamentari, si è infine giunti a costruire un meccanismo che prevede la possibilità di un solo passaggio, nella carriera del magistrato, entro angusti limiti temporali (ossia, entro i primi sei anni dalla presa delle funzioni). Di fatto, tale norma ha dato vita alla separazione delle carriere, di frequente evocata: all’atto pratico [continua ..]


7. L’organizzazione degli uffici di Procura e i criteri di priorità

Nell’ottica della complessiva riorganizzazione del servizio giudiziario, con l’art. 13 si introducono alcune incisive novità al d.lgs. n. 160/2006, relative all’ufficio del pubblico ministero. In coerenza con le già illustrate modifiche riguardanti i dirigenti degli uffici giudicanti, il legislatore interviene concedendo al procuratore della Repubblica il potere/dovere di predisporre un progetto organizzativo che, conformato ai princìpi generali definiti dal Consiglio superiore della magistratura, deve contenere alcuni elementi puntuali, tra cui meritano segnalazione “le misure organizzative finalizzate a garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, […] i criteri di priorità, […] i criteri di assegnazione e di coassegnazione dei procedimenti”. Al riguardo, potrebbe parlarsi di un’operazione di nomofilachia organizzativa, in grado non solo di rendere più trasparenti – e conoscibili a priori – alcune scelte sulla gestione degli affari nelle procure ma anche di favorire una maggiore omogeneizzazione delle prassi – assurte a regola scritta – sul territorio nazionale.


8. Programmi di gestione e interventi per garantire l’efficienza degli uffici giudiziari

Come già anticipato nel commentare l’art. 14, la riforma ha dato grande impulso ad una rinnovata visione delle figure dei dirigenti degli uffici, nella considerazione che una buona organizzazione dell’ufficio rappresenti uno dei principali anticorpi rispetto a fenomeni patologici quali l’eccessiva durata dei procedimenti, la creazione di condizioni endemiche di arretrato e di pendenze e, più in generale, all’incapacità del singolo magistrato di gestire il proprio carico di lavoro. Per tali ragioni, l’art. 11, nel modificare l’art. 37 d.l. n. 98/2011, estende anzitutto l’applicazione dei programmi di gestione dei procedimenti anche al settore penale. Peraltro, opportunamente la modifica normativa impone che gli obiettivi di rendimento previsti nel programma del capo dell’ufficio siano agganciati non più ai carichi esigibili di lavoro dei magistrati bensì ai risultati attesi sulla scorta “dell’accertamento dei dati relativi al quadriennio precedente”. Si tratta di un mutamento di prospettiva, nella direzione di una maggiore specificità e obiettività nella costruzione del dato atteso, in quanto non più agganciato ad un generico concetto di carico esigibile applicabile su scala nazionale bensì pensato sulla base delle concrete – e obiettive– risultanze del lavoro del singolo magistrato. Emblematica, in tal senso, è l’introduzione, tra i documenti utili a costruire un programma di gestione realmente “customizzato”, del piano di cui all’art. 4 d.lgs. 25 luglio 2006, n. 240: trattasi del programma delle attività da svolgersi nel corso dell’anno che il magistrato capo dell’ufficio giudiziario ed il dirigente amministrativo ad esso preposto devono redigere. Il dato rappresentato dai “carichi esigibili”, ad ogni modo, non viene eliminato ma sapientemente rimodulato, nella struttura e nella funzione: rimesso alla individuazione degli organi di autogoverno – dunque, Consigli giudiziari e Consiglio superiore della magistratura – esso rappresenta il limite estremo oltre il quale la capacità produttiva del magistrato non è più esigibile. Al fine di consentire un incisivo intervento ai capi dell’ufficio, sono peraltro concesse a questi ultimi una serie di facoltà, nello specifico poteri di accertamento, vigilanza e [continua ..]


9. Limiti alla eleggibilità degli appartenenti all’ordine giudiziario

Il Capo III interviene, in maniera incisiva, sulla delicata materia riguardante i rapporti e le interazioni tra magistratura e politica. Nel dettarne le coordinate, il legislatore ha dovuto tener conto di una serie di equilibri costituzionali, in una difficile operazione di bilanciamento dei valori e dei princìpi in gioco. La rilevanza e sensibilità del tema è evidenziata, come indicato nelle relazioni di accompagnamento all’originario progetto di legge, dai numerosi interventi della Corte costituzionale che si è espressa a più riprese sulla tematica dei limiti al diritto dei magistrati di iscrizione ai partiti politici, esempio lampante di compressione, a carico di una specifica categoria di individui, di uno dei diritti fondamentali presenti in Costituzione, nello specifico l’art. 49. Al riguardo, è significativo evidenziare che la Consulta, se da un lato ha affermato che “la Costituzione […] mostra il proprio sfavore nei confronti di attività o comportamenti idonei a creare tra i magistrati e i soggetti politici legami di natura stabile, nonché manifesti all’opinione pubblica, con conseguente compromissione, oltre che dell’in­dipendenza e dell’imparzialità, anche della apparenza di queste ultime” (v. C. cost., sent., 20 luglio 2018, n. 170), dall’altro ha anche riconosciuto che “[…] i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino” (v. C. cost., sent., 8 giugno 1981, n. 100), in primis il diritto di libera manifestazione del proprio pensiero e, dunque, delle proprie opinioni politiche. Sulla base di tale, ponderato contemperamento dei prìncipi e dei valori in gioco, il legislatore, con l’art. 15, ha deciso di introdurre un generale divieto di eleggibilità dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, a cariche politiche elettive comunitarie, nazionali, regionali e comunali nei territori ricompresi nella circoscrizione elettorale (nella provincia, in caso di candidatura comunale) nei quali abbiano esercitato le funzioni giurisdizionali nei tre anni antecedenti la candidatura. Si tratta, pertanto, di un divieto sì generalizzato all’intera categoria, salve le eccezioni di cui a seguire, ma relativo e non assoluto. La novella legislativa, in prima battuta, fonda sul principio dell’indipendenza, anche [continua ..]


10. Ricollocamento in ruolo

L’art. 18, nel proseguire il lavoro di regolamentazione dei rapporti tra magistratura e politica – in particolare, al fine di trovare una soluzione al fenomeno delle c.d. “porte girevoli” – disciplina la spinosa questione del rientro in ruolo da parte dei magistrati candidati ma non eletti: si tratta, dunque, di una ipotesi più sfumata rispetto a quella, di maggiore criticità, del candidato eletto che, cessato il mandato elettivo o la carica, vuole rivestire la toga. E, tuttavia, il legislatore ha assunto, per coerenza e secondo una linea di crescente rigore, una decisa presa di posizione, imponendo un duplice limite per il caso in oggetto: territoriale, non potendo il magistrato far rientro in un ufficio che ha competenza sul territorio di una regione compresa in tutto o in parte nella circoscrizione elettorale in cui sono stati candidati, né potendo rientrare in un ufficio compreso nella regione del distretto nel quale esercitava le funzioni al momento della candidatura; funzionale, essendo precluso il rientro nelle funzioni di giudice per le indagini preliminari e pubblico ministero, nonché in funzioni direttive o semidirettive. La durata dei predetti limiti nel tempo è, comunque, limitata ad un triennio, finestra temporale già utilizzata dal legislatore nel testo di legge (v., ad esempio, il citato art. 15) e dunque considerata congrua per lasciar decantare situazioni di potenziale conflittualità. Tale soluzione trova ulteriore conforto nel confronto con la circolare CSM 24 luglio 2014, n. 13378, che introduceva limitazioni al rientro del magistrato non eletto nella sede di provenienza, impedendo, per il consistente periodo di cinque anni, il rientro in funzione presso le sedi del distretto o dei distretti in cui erano ricomprese la circoscrizione o le circoscrizioni elettorali ove è stato candidato, nonché del distretto competente ai sensi dell’art. 11 c.p.p. Una specifica regolamentazione è prevista per l’ipotesi di mancata elezione di candidati già in servizio presso le giurisdizioni superiori o gli uffici giudiziari con competenza nazionale per i quali – in opportuno coordinamento con la soluzione individuata all’art. 15, comma 2, e per le medesime ragioni di fondo –si prevede un rientro in funzioni “non direttamente giurisdizionali”, con espressa esclusione, dunque, del ritorno a funzioni sia [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2023