Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Nuovi sviluppi della giurisprudenza costituzionale sui rapporti fra azione civile e decisione penale (di Manfredi Bontempelli, Professore ordinario di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Milano)


La sentenza costituzionale n. 173/2022 ha modificato il regime processuale della particolare tenuità del fatto e introdotto un caso di decisione sulle questioni civili, quando l’imputato viene assolto ex art. 131-bis c.p., pertanto in deroga all’art. 538 c.p.p. La pronuncia risulta in controtendenza rispetto alle recenti riforme, basate sull’obiettivo di trasferire per quanto possibile la decisione sulla domanda risarcitoria in sede civile. Non sembra pienamente convincente il parallelismo prospettato dalla Corte costituzionale, fra il proscioglimento per tenuità del fatto e le fattispecie in cui il giudice dell’impugnazione decide sulla pretesa risarcitoria anche in mancanza di una condanna agli effetti penali.

The evolution of constitutional jurisprudence on the relationship between civil action and criminal decision

The constitutional sentence n. 173 of 2022 modified the procedural discipline of the cause of non-punishment because the fact is particularly tenuous and introduced a case of decision on civil matters, in the absence of a conviction, therefore in derogation from art. 538 c.p.p. The sentence differs from the recent reforms, based on the objective of transferring as far as possible the decision on the compensation claim to the civil court. The parallelism proposed by the Consitutional Court, with the acquittal for extinction of the crime in the appeal proceedings in the cases governed by art. 578, paragraph 1, c.p.p., is not fully convincing.

Proscioglimento per particolare tenuità del fatto e decisione sulle questioni civili MASSIMA: È costituzionalmente illegittimo l’art. 538 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale, decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 27 aprile 2021 (reg. ord. n. 122 del 2021), il Tribunale militare di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), questioni di legittimità costituzionale dell’art. 538 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, «quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta a norma degli artt. 74 e seguenti» dello stesso codice. La sentenza di proscioglimento a cui fa riferimento il giudice a quo è quella emessa ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale, aggiunto dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», il quale configura una causa generale di esclusione della punibilità il cui fondamento si correla al principio di offensività: la norma, infatti, prevede che nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla suddetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale (primo comma). Ai fini della determinazione della pena detentiva non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale; in quest’ultimo caso non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’art. 69 cod. pen. (quinto comma). La causa di non punibilità si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante (sesto comma). L’art. 538, comma 1, cod. proc. pen. [continua..]

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SOMMARIO:

1. Considerazioni sistematiche di fondo - 2. Distinzione strutturale fra la non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. e l’estinzione del reato nei casi di cui all’art. 578, comma 1, c.p.p. - 3. Accertamento incidentale della responsabilità penale e decisione sulla domanda civile - 4. Fondamento dell’efficacia extrapenale del giudicato di proscioglimento per particolare tenuità del fatto - 5. Fondamento dello “svincolo” nel giudizio d’impugnazione della decisione agli effetti civili dalla condanna agli effetti penali - 6. Collegamento sistematico dell’art. 538 c.p.p. con la disciplina dell’impugnazione della parte civile contro la sentenza di proscioglimento - 7. Art. 622 c.p.p. e prosecuzione del giudizio di danno in sede civile. Bilanciamento fra la tempestiva tutela della parte civile e la deflazione processuale in chiave di efficienza giudiziaria - NOTE


1. Considerazioni sistematiche di fondo

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 173/2022 qui annotata, ha risolto in termini innovativi una questione di legittimità riguardante la disciplina dei rapporti fra azione civile e decisione penale, che era stata sollevata con riferimento all’art. 538 c.p.p., nella parte in cui non prevede il dovere del giudice di decidere sull’azione civile, in caso di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. I termini della pronuncia sono innovativi, in quanto, innanzitutto, la Consulta ha introdotto un’inedita fattispecie di decisione sulle questioni civili, in mancanza di una sentenza di condanna, pertanto in deroga alla regola generale dell’art. 538, comma 1, c.p.p. Prima dell’intervento della Corte, la regola in discorso non subiva eccezioni di sorta, nel sistema del codice di procedura penale, quanto al giudizio di primo grado. «Stiamo» appunto «parlando del primo grado: negli ulteriori l’art. 578 ammette una cognizione extrapenale, a reato amnistiato o prescritto, qualora la sentenza impugnata contenga una condanna al risarcimento» [1]. Tuttavia, il fondamento di questa cognizione, ricostruito alla luce del sistema, non appare invocabile nel contesto regolato dall’art. 538 c.p.p. [2]. Inoltre, la sentenza costituzionale che si annota non risulta del tutto in linea con il percorso evolutivo della disciplina dell’azione civile nel processo penale, teso a circoscrivere, e non implementare, i casi in cui il giudice penale si pronuncia sulla domanda risarcitoria, e a demandare per quanto possibile la decisione al giudice naturale. Questa tendenza, ben circoscritta nell’impianto originario del codice di rito (v. art. 622), si è sviluppata con la legge n. 134/2021, che ha disciplinato la decisione agli effetti civili nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio d’impu­gnazione, prevedendo la prosecuzione del processo in sede civile, in base al nuovo comma 1-bis dell’art. 578 c.p.p. Il d.lgs. n. 150/2022, di attuazione della delega contenuta nella menzionata l. n. 134/2021 (c.d. “riforma Cartabia” del processo penale), ha poi rafforzato l’impostazione in discorso, attraverso due interventi chirurgici sul medesimo art. 578, comma 1-bis, c.p.p. e sull’art. 573 c.p.p., interpolato con il nuovo comma 1-bis. Il regime che ne [continua ..]


2. Distinzione strutturale fra la non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. e l’estinzione del reato nei casi di cui all’art. 578, comma 1, c.p.p.

È, invece, significativo che la sentenza in commento richiami la disciplina dell’art. 578, comma 1, c.p.p., per sostenere l’incostituzionalità, al metro degli artt. 3, 24 e 111 Cost., dell’art. 538 c.p.p., nella parte in cui non consente al giudice penale di decidere sulle questioni civili, allorquando prosciolga l’imputato per particolare tenuità del fatto, mentre la medesima decisione è consentita al giudice dell’impugnazione nelle situazioni di cui all’art. 578, comma 1, c.p.p. In tale disposizione, può essere vista un’eccezione alla regola generale dell’art. 538 c.p.p., che subordina la decisione sulla domanda civile alla pronuncia della sentenza di condanna dell’imputato, regola definita non assoluta dalla Corte costituzionale [7]. Come osserva la pronuncia annotata, nelle due fattispecie previste dall’art. 578, comma 1, c.p.p., «(quella più frequente della prescrizione, ma anche quella dell’amnistia), ci può essere, al contempo, la condanna al risarcimento del danno, nella misura in cui il giudice penale accerta che l’imputato ha commesso l’atto illecito e che la parte civile ha diritto al risarcimento del danno, e contestualmente il proscioglimento dall’accusa penale per prescrizione o amnistia, laddove dalle risultanze processuali, valutate dal giudice, non risulti che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato (art. 129 cod. proc. pen.)» [8]. Inoltre, è fondato affermare che «il proscioglimento penale convive con la condanna civile da parte dello stesso giudice penale, senza che venga in sofferenza – come già ritenuto da questa Corte (sentenza n. 182 del 2021) – il canone della presunzione di innocenza di cui all’art. 6, paragrafo 2, CEDU e all’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE)» [9]. Va, però, sottolineato che l’oggetto di accertamento giudiziale, nel caso dell’art. 578, comma 1, c.p.p., è costituito dall’illecito aquiliano e non da quello penale, secondo l’approccio della stessa giurisprudenza costituzionale [10], il che indebolisce il parallelismo delineato dalla Consulta, con la sentenza n. 173/2022. La soluzione di attribuire al giudice penale la [continua ..]


3. Accertamento incidentale della responsabilità penale e decisione sulla domanda civile

L’eventuale condanna agli effetti civili, pronunciata in seguito a dibattimento contestualmente al proscioglimento ex art. 131-bis c.p. agli effetti penali, secondo l’assetto definito dalla sentenza annotata, non sembrerebbe pregiudicare la presunzione d’innocenza dell’imputato. Infatti, in tale situazione, la colpevolezza dell’imputato è stata legalmente accertata, attraverso il processo penale, nel suo profilo “sostanziale” che prescinde dalla formale enunciazione della condanna nel dispositivo della sentenza, pertanto in linea con la giurisprudenza costituzionale e sovranazionale di riferimento [12]. La sentenza di assoluzione «potrà», anzi, «essere pronunciata solo dopo che sia stato accertato il compimento da parte dell’imputato di un fatto penalmente rilevante e punibile, salvo la levità offensiva» [13]. Ciò è coerente con l’efficacia di giudicato rivestita dalla sentenza di proscioglimento in discorso, non solo in ordine all’accertamento della sussistenza del fatto e della sua commissione da parte dell’imputato, ma anche quanto alla sua “illiceità penale”, ai sensi dell’art. 651-bis, comma 1, c.p.p. Sembra, pertanto, ragionevole limitare la portata della declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 538, comma 1, c.p.p. al caso della sentenza di proscioglimento pronunciata a seguito di dibattimento, escludendo la decisione sulla materia civile qualora la non punibilità venga dichiarata con sentenza di non doversi procedere, prima del dibattimento, ai sensi dell’art. 469, comma 1-bis, c.p.p. Tuttavia, la compatibilità costituzionale a valle, al metro della presunzione d’innocenza, dell’assetto risultante a seguito dell’intervento della Consulta, non dimostra a monte che vi fosse l’esigenza costituzionale d’intervenire nel senso fatto proprio dalla sentenza n. 173/2022 della Corte. Infatti, il codice di rito non pare fornire indicazioni sistematiche, a sostegno della necessaria decisione delle questioni civili da parte del giudice penale, nelle situazioni di accertamento “sostanziale” della responsabilità penale dell’imputato, seppur non formalizzato in una sentenza di condanna. Dal sistema si ricavano, anzi, indicazioni di segno contrario. Lo stesso presupposto applicativo dell’art. 578, comma [continua ..]


4. Fondamento dell’efficacia extrapenale del giudicato di proscioglimento per particolare tenuità del fatto

Ciò che, in effetti, distingue la sentenza di assoluzione per particolare tenuità del fatto dalla sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato pronunciata nel giudizio di primo grado, all’esito del dibattimento, è l’idoneità “atipica” della sola pronuncia assolutoria per particolare tenuità ad acquisire efficacia di giudicato in sede extrapenale, ai sensi dell’art. 651-bis c.p.p. Questa caratteristica del regime processuale dell’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. si spiega, per un verso, alla luce della fisionomia strutturale della causa di non punibilità in questione. Per altro verso, non sembra che ciò determinasse, prima della sentenza costituzionale in commento, un’irragionevole diversità di trattamento della parte civile, nemmeno rispetto alle ipotesi di pronuncia agli effetti civili in assenza di condanna agli effetti penali, previste dalla disciplina delle impugnazioni in deroga all’art. 538 c.p.p. Sotto il primo profilo, va osservato che la sentenza di assoluzione per particolare tenuità del fatto reca un contenuto accertativo più penetrante della sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, pronunciata all’esito del dibattimento ai sensi dell’art. 531 c.p.p., in quanto non limitato al fatto-reato contestato nell’imputazione (come, invece, accade nella declaratoria del reato estinto). Si tratta, infatti, di acclarare la particolare tenuità dell’offesa [19], attraverso la valutazione di parametri ulteriori, quali le “modalità della condotta” e l’“esiguità del danno o del pericolo”, da condurre ai sensi dell’art. 133, comma 1°, c.p. La valutazione di tali parametri vincola il giudice civile, secondo l’art. 651-bis c.p.p. [20], seppur in modo non influente sulla quantificazione del danno [21]. È vero, pertanto, che l’efficacia extrapenale del giudicato “di tenuità” è limitata, dal punto di vista oggettivo, all’accertamento del fatto (nonché della sua commissione da parte dell’imputato e della sua illiceità penale), accertamento caratterizzante anche il giudicato “di estinzione del reato” (seppur senza rilevanza extrapenale). Tuttavia, il fondamento dell’efficacia di giudicato non è spiegabile [continua ..]


5. Fondamento dello “svincolo” nel giudizio d’impugnazione della decisione agli effetti civili dalla condanna agli effetti penali

Secondo la sentenza annotata, l’assetto processuale risultante dall’introduzione di un’ipotesi di efficacia vincolante extrapenale del giudicato di proscioglimento per tenuità del fatto, quanto all’ac­certamento sui punti indicati nell’art. 651-bis c.p.p., sarebbe costituzionalmente illegittimo, al metro del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), «per l’argomento a fortiori che può trarsi dalla comparazione con le fattispecie in cui non c’è l’absolutio ab instantia [in riferimento alla domanda della parte civile] pur in mancanza di siffatto accertamento, vuoi perché il giudice penale è chiamato a pronunciarsi sulla domanda risarcitoria (o restitutoria) civile anche se non vi è una condanna penale, vuoi perché il giudizio prosegue comunque per la definizione anche solo delle pretese civilistiche» [28]. Tuttavia, né l’ipotesi già esaminata dell’art. 578 c.p.p., né quelle ulteriori di cui all’art. 576, comma 1, c.p.p., nonché all’art. 622 c.p.p., invocate dalla Corte costituzionale si fondano su una ratio analoga a quella dell’art. 538 c.p.p. Intanto, va osservato che lo “svincolo” della decisione agli effetti civili dalla pronuncia di una condanna dell’imputato agli effetti penali, nelle disposizioni citate riguarda i soli giudizi d’impugnazione e non quello di primo grado. Pertanto, nel giudizio di primo grado la regola dell’art. 538 c.p.p. era di carattere assoluto, prima dell’innovazione introdotta dalla sentenza costituzionale n. 173/2022. L’asso­lutezza della regola, si noti, era stata confermata dalla sentenza della Corte n. 12/2016, relativa all’assoluzione per vizio totale di mente. La Consulta ha sottolineato che questa pronuncia, «lungi dall’assumere una valenza pienamente liberatoria, postula – allo stesso modo di quella di condanna – l’accertamento della sussistenza del fatto e della sua riferibilità all’imputato, in termini tanto materiali che psicologici: situazione che non rappresenta, peraltro, affatto un unicum, essendo riscontrabile in rapporto ad una serie di altre ipotesi di proscioglimento (al riguardo, sentenze n. 284/2009 e n. 85/2008)» [29]. Inoltre, quanto all’art. 578 c.p.p., la deroga alla regola della subordinazione alla condanna penale della [continua ..]


6. Collegamento sistematico dell’art. 538 c.p.p. con la disciplina dell’impugnazione della parte civile contro la sentenza di proscioglimento

Quanto all’ulteriore eccezione prevista dall’art. 576, comma 1, c.p.p., si tratta di consentire l’impu­gnazione di una sentenza sfavorevole agli interessi della parte civile, anche qualora il pubblico ministero o l’imputato non l’abbiano impugnata per gli interessi penali. Va da sé, quindi, che, in caso di mancata impugnazione agli effetti della responsabilità penale, la decisione sulla pretesa risarcitoria sia “svincolata” dalla condanna agli effetti penali. Inoltre, in caso d’impugnazione per i soli interessi civili della sentenza di assoluzione dell’imputato, si aggiunge l’obiettivo di superare gli effetti extrapenali del giudicato parimenti sfavorevoli per la parte civile (art. 652 c.p.p.) [34]. La giurisprudenza di legittimità, richiamata dalla stessa Corte costituzionale [35], ha affermato che «il giudice dell’im­pugnazione, adito ai sensi dell’art. 576 cod. proc. pen., ha, nei limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, i poteri che il giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare. Se si conviene che tale giudice ha sbagliato nell’assolvere l’imputato ben può affermare la responsabilità di costui agli effetti civili e (come indirettamente conferma il disposto di cui all’art. 622 cod. proc. pen.) condannarlo al risarcimento e alle restituzioni, in quanto l’accertamento incidentale equivale virtualmente – oggi per allora – alla condanna di cui all’art. 538, comma 1, cod. proc. pen., che non venne pronunciata per errore» [36]. Pertanto, in quest’ottica, non sarebbe neanche corretto ravvisare nell’art. 576, comma 1, c.p.p., un’eccezione alla regola dell’art. 538 c.p.p., in quanto le due norme, «in realtà, unitariamente considerate, come necessario, convergono nel delineare un sistema che, proprio là dove la sentenza di condanna sia errata […], consente alla parte civile di ottenere rimedio in sede di impugnazione sia pure sempre ai soli effetti civili» [37]. Poteva condividersi prima del d.lgs. n. 150/2022, ma è superato dal nuovo quadro normativo, quanto osserva la sentenza annotata, sulla scia della giurisprudenza costituzionale precedente [38], circa la compatibilità dell’«eccezione» di cui all’art. 576 c.p.p. con la «regola dell’art. 538 [continua ..]


7. Art. 622 c.p.p. e prosecuzione del giudizio di danno in sede civile. Bilanciamento fra la tempestiva tutela della parte civile e la deflazione processuale in chiave di efficienza giudiziaria

In questo rinnovato assetto della disciplina delle impugnazioni per gli interessi civili, l’art. 622 c.p.p., non toccato dalla “riforma Cartabia”, prevede, coerentemente, un’ulteriore ipotesi di prosecuzione del giudizio di danno in sede civile, a seguito dell’annullamento della sentenza ai soli effetti civili da parte della Corte di cassazione. Anche in questo caso, la formazione del giudicato agli effetti penali giustifica il mezzo di tutela prescelto per gli interessi della parte civile, che «non deve promuovere un nuovo giudizio» [40], ma coltivare l’azione risarcitoria nel medesimo giudizio trasferito davanti al giudice civile. La ratio di economia processuale sottesa a questa disciplina [41], come pure a quella dettata negli artt. 578 e 576, comma 1, c.p.p., si fonda su un presupposto che non ricorre nel giudizio di primo grado, regolato dall’art. 538 c.p.p., contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza in commento, nella parte in cui ha ravvisato l’incostituzionalità dell’art., al metro del canone della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2°, Cost.), «a causa dell’innesto del giudizio che ne deriva, quanto alla domanda risarcitoria (o restitutoria), con soluzione di continuità rispetto a un nuovo giudizio civile, del cui promovimento è onerata la parte civile, anche solo per recuperare le spese sostenute nel processo penale» [42]. Non va poi trascurato che, nel giudizio penale di primo grado, si pone l’esigenza di coltivare per quanto possibile la finalità deflattiva propria dell’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. [43], in chiave di efficienza giudiziaria, e di evitare un appesantimento dell’attività decisoria, quale si verifica quando viene ricompresa la cognizione della materia extrapenale. Ciò, quantomeno in situazioni in cui gli interessi della parte civile, in assenza di una pronuncia penale sulla domanda risarcitoria, potrebbero essere soddisfatti nella sede propria, con le regole probatorie e decisorie del rito civile, meno impegnative di quelle del rito penale. Risulta, pertanto, eccessivamente sbilanciata la lettura proposta dalla sentenza in commento, laddove ravvisa una «violazione del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, secondo comma, Cost.), nella specie della parte civile, la quale subisce la mancata decisione in ordine alla sua [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2023