Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Patteggiamento, nuova concessione della sospensione condizionale e attività non retribuita a favore della collettività: le sezioni unite valorizzano la componente negoziale del rito e la prevedibilità dell'esito sanzionatorio (di Lorenzo Agostino, Assegnista di ricerca in Diritto processuale penale – Università di Pisa)


L’attività non retribuita a favore della collettività, una delle misure cui il giudice deve subordinare la sospensione condizionale della pena ove l’imputato ne abbia già beneficiato, non può essere disposta d’ufficio in sede di patteggiamento, ma deve essere oggetto di accordo tra le parti, oltre a non poter avere una durata superiore a sei mesi – come previsto dall’art. 54 d.lgs. n. 274/2000 per i lavori di pubblica utilità – o, se inferiore, alla pena sospesa. Nell’affermare questi principi di diritto, le sezioni unite offrono spunti interessanti in merito al valore da attribuire al consenso nell’ambito del rito alternativo, da un lato, e all’opportunità di tutelare le aspettative del prevenuto nel contesto della giustizia negoziata, dall’altro.

Plea bargaining, re-granting of conditional suspension, and unpaid community service: the Supreme Court enhances the negotiated nature of the rite and the predictability of the punitive outcome

Unpaid community service, one of the measures to which the judge must tie the conditional suspension where the defendant has already benefited from it, cannot be ordered ex officio during plea bargaining, but must be the subject of an agreement between the parties, in addition to not being able to have a duration longer than six months – as provided by Art. 54 D.lgs. No. 274 of 2000 for public benefit work – or, if shorter, the suspended sanction. In affirming these principles, the Supreme Court offers interesting insights with reference to the value to be placed on consent in the economy of the alternative rite, on the one hand, and to the appropriateness of protecting the defendant’s expectations in the context of negotiated justice, on the other.

Al giudice del patteggiamento è vietato subordinare d’ufficio la concessione della sospensione condizionale della pena allo svolgimento di attività non retribuita a favore della collettività (la cui durata non può eccedere i sei mesi) MASSIMA: Nel procedimento speciale di cui all’art. 444 c.p.p., l’accordo delle parti sulla applicazione di una pena detentiva di cui viene richiesta la sospensione condizionale deve estendersi anche agli obblighi ulteriori eventualmente connessi ex lege alla concessione del beneficio, indicandone, quando previsto, la durata, con la conseguenza che, in mancanza di pattuizione pure su tali elementi, la sospensione non può essere accordata e, qualora al suo riconoscimento sia stata subordinata l’efficacia della stessa richiesta di applicazione della pena, questa deve essere integralmente rigettata. La durata della prestazione di attività non retribuita a favore della collettività soggiace a due limiti massimi cumulativi: quello di sei mesi, previsto dal combinato disposto degli artt. 18-bis disp. coord. trans. c.p. e 54 comma 2 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, e, se inferiore, quello stabilito dall’art. 165 comma 1 c.p. in relazione alla misura della pena sospesa. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Genova ha applicato a B.P., per il reato di cui agli artt. 81 e 495 c.p., la pena di mesi tre e giorni dieci di reclusione, in continuazione con quelle già inflittegli in due precedenti occasioni, rideterminando per l’effetto la pena complessiva in anni uno, mesi nove, giorni dieci di reclusione. Il giudice ha contestualmente concesso la sospensione condizionale della pena, subordinandola alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per quattrocento giorni e complessive sei ore settimanali, da svolgere presso il Comune di (Omissis), ai sensi della Convenzione in essere con il Tribunale di Genova. Dalla motivazione della sentenza risulta che il difensore dell’imputato, munito di procura speciale, aveva subordinato la richiesta di applicazione della pena alla concessione della sua sospensione condizionale. Avendo l’imputato già in precedenza usufruito del beneficio, il giudice, ai sensi dell’art. 165 c.p.p., comma 2, ha per l’appunto condizionato la sua concessione alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, unico obbligo ritenuto idoneo nel caso di specie in ragione della natura del reato, considerando implicita nella richiesta di patteggiamento subordinata alla concessione della sospensione condizionale la non opposizione dell’imputato all’applicazione di tale condizione. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il suo difensore, articolando due [continua..]

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SOMMARIO:

1. La vicenda - 2. Nuova concessione della sospensione condizionale della pena e patteggiamento: premessa sul panorama normativo e giurisprudenziale con cui si sono confrontate le sezioni unite - 3. Il giudice non può disporre d’ufficio la prestazione di attività non retribuita: le argomentazioni delle sezioni unite - 4. Patteggiamento, prestazione di attività non retribuita e prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie - 5. La durata massima dell’attività non retribuita a favore della collettività - 6. Considerazioni conclusive, anche alla luce del d.lgs. n. 150/2022 - NOTE


1. La vicenda

Con la sentenza in commento [1], le sezioni unite si sono espresse in ordine a un duplice contrasto interpretativo sorto in materia di concessione della sospensione condizionale della pena in sede di patteggiamento. L’occasione è stata offerta da un caso in cui il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova emetteva una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e disponeva la sospensione condizionale, a cui l’imputato aveva vincolato l’accoglimento domanda. Poiché quest’ultimo ne aveva già usufruito in passato, il giudice sceglieva di applicare l’art. 165, comma 2, c.p., secondo cui, per riconoscere nuovamente il beneficio, occorre «subordinar[lo] all’adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente». Nello specifico, il decidente riteneva che, alla luce della natura del reato, l’unico obbligo idoneo fosse costituito dalla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività – quantificata in quattrocento giorni e complessive sei ore settimanali –, che ai sensi del primo comma dell’art. 165 può essere disposta «se il condannato non si oppone» e «per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna». L’imputato ricorreva per cassazione avverso la sentenza, articolando due motivi. Da un lato, adduceva di non aver prestato l’assenso – che il giudice ligure aveva implicitamente ricavato dalla presentazione di una richiesta di patteggiamento condizionata alla sospensione condizionale – alla sottoposizione all’attività socialmente utile, che peraltro era del tutto estranea all’accordo raggiunto con il pubblico ministero; dall’altro, si lamentava dell’eccessiva durata della misura che, a suo avviso, non rispettava il limite desumibile dal combinato disposto degli artt. 165, comma 1, c.p., 18-bis disp. coord. trans. c.p. e 54 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274: a norma della seconda delle citate previsioni, infatti, «[n]ei casi di cui all’articolo 165 del codice penale il giudice dispone che il condannato svolga attività non retribuita a favore della collettività osservando, in quanto compatibili», alcune disposizioni, tra cui quella contenuta all’interno [continua ..]


2. Nuova concessione della sospensione condizionale della pena e patteggiamento: premessa sul panorama normativo e giurisprudenziale con cui si sono confrontate le sezioni unite

Prendendo le mosse dal primo dei due profili sottoposti all’attenzione delle sezioni unite, ossia la possibilità per il giudice del patteggiamento di subordinare ex officio la sospensione condizionale alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, giova innanzitutto rilevare come quello dei rapporti tra il procedimento speciale e il beneficio in parola sia stato, sin dai primi anni di vigenza del codice Vassalli, uno dei terreni di discussione circa il valore da attribuire all’accordo raggiunto da imputato e pubblico ministero nell’economia del rito [3]. Così, tra l’esaltazione della capacità dispositiva delle parti posta in essere dal legislatore del 1988, che aveva «relega[to] il giudice ad una funzione pressoché notarile» [4], e la celebre sentenza con cui la Corte costituzionale [5] diede risalto al controllo giurisdizionale in punto di commisurazione della pena, si inseriva il dibattito in merito alla possibilità o meno di applicare la sospensione condizionale quand’anche non inclusa nel patto, sebbene consentito dal terzo comma dell’art. 444 c.p.p. [6]. Al riguardo, alla tesi secondo cui il silenzio dell’accusato e della procura sul punto non influissero sugli ordinari poteri decisori, con il corollario che, di fronte a un accordo limitato alla tipologia e alla misura della sanzione, il beneficio avrebbe potuto essere concesso [7], le sezioni unite [8] preferirono quella che escludeva la potestà del giudice di pronunciarsi ultra petitum riconoscendo la sospensione [9]. In questo senso, esse posero in risalto lo «stretto legame di dipendenza logico-funzionale che avvince i termini dell’accordo al contenuto decisionale» [10] e, dunque, anche con riferimento a un istituto quale il beneficio in discorso, tipicamente rientrante tra le prerogative del giudice, «accentua[rono] la colorazione negoziale del patteggiamento» [11]. Tale arresto, mai più messo in discussione a livello pretorio, incontrò in seguito il favore della dottrina che, nel sottolineare come «[l]’oggetto dell’accordo si estend[esse] […] a tutta la res iudicanda», sì da porre il giudice dinanzi alla secca alternativa se recepirlo o meno, ebbe a giudicare del tutto coerente con la fisionomia del rito [12] il divieto di [continua ..]


3. Il giudice non può disporre d’ufficio la prestazione di attività non retribuita: le argomentazioni delle sezioni unite

Nel far proprio il secondo degli approcci sopra illustrati, la Corte, dopo aver svolto un’attenta ricostruzione dell’evoluzione del rito [20], valorizza anzitutto la necessità di garantire al prevenuto tanto la «prevedibilità in concreto della decisione», quanto «il controllo sul contenuto della sentenza», presìdi di tutela che il giudice di legittimità ha ritenuto essere ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale e convenzionale. In particolare, la motivazione della sentenza richiama [21], per un verso, la pronuncia con cui il Giudice delle leggi [22], sul presupposto che «[l]a componente negoziale propria dell’istituto del patteggiamento […] postula certezza e stabilità del quadro normativo che fa da sfondo alla scelta compiuta dall’imputato», ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 10, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n. 97 che estendeva l’applicabilità della regola dell’efficacia vincolante delle sentenze di patteggiamento nel giudizio per responsabilità disciplinare [23] anche ai procedimenti (per l’appunto) disciplinari pendenti e, dunque, alle pronunce di applicazione della pena su richiesta emesse anteriormente all’entrata in vigore della novella [24]; per l’altro, il caso Natsvlishvili e Togonidze c. Georgia [25], nel risolvere il quale la Corte di Strasburgo ha avuto modo di soffermarsi diffusamente sulla materia della giustizia penale negoziata, individuando, tra i «pilastri» [26] della stessa, la necessità di preservare la piena consapevolezza, da parte dell’imputato, dei fatti di cui è accusato e, soprattutto, delle conseguenze legali dell’accordo stipulato con l’accusa [27]. È alla luce di queste coordinate che le sezioni unite (ri)leggono e il dato normativo e il citato arresto di legittimità (sentenza Zanlorenzi [28]) da cui è originato il contrasto interpretativo loro devoluto. In particolare, la Suprema Corte sottolinea come, a differenza di quanto affermato da una parte della giurisprudenza [29], la modifica apportata all’art. 165, comma 2, c.p. dalla legge n. 145/2004 non ha in realtà introdotto nessun nuovo obbligo, poiché la versione precedente dalla disposizione esigeva già che, in ipotesi di reiterazione della [continua ..]


4. Patteggiamento, prestazione di attività non retribuita e prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie

Come si è avuto modo di sottolineare, la sentenza in commento, per escludere il potere integrativo del giudice in ipotesi di patteggiamento subordinato alla richiesta di seconda concessione della sospensione condizionale, pone l’accento sull’impossibilità per l’imputato di esercitare un controllo sugli effetti della scelta di accordarsi con l’accusa, richiamando, tra l’altro, il caso Natsvlishvili e Togonidze c. Georgia [39]. L’analisi di alcuni passi della pronuncia della Corte europea ci permetterà di svolgere qualche valutazione a proposito dell’eventualità – opportunamente esclusa dalle sezioni unite – che sia disposta ex officio la prestazione di attività non retribuita in favore della collettività. Nel caso di specie, tra le doglianze del ricorrente, che aveva raggiunto un’intesa con il pubblico ministero poi accolta dal giudice, figurava anche quella relativa alla violazione dell’art. 2 Prot. n. 7 CEDU in materia di diritto al ricorso in ambito penale, diritto che riteneva essere stato violato dall’impos­sibilità di impugnare una sentenza [40] che – nella prospettiva della difesa – era stata frutto di un patto stipulato in modo forzato e non volontario. Il giudice di Strasburgo, tuttavia, non ravvisava la lesione della garanzia, dal momento che, premessa la fisiologia delle limitazioni in punto di impugnazione «with respect to a conviction based on a plea bargain», l’inattivabilità di un controllo avverso la decisione costituiva una «legal consequence of the plea bargain, which followed from the clearly worded domestic legal provision», che «was or should have been explained to [the defendant] by his lawyers» [41]. In buona sostanza, dunque, la ragione che aveva permesso alla Corte di respingere la domanda risiedeva nella circostanza che all’imputato fosse stata garantita la conoscenza dei potenziali riverberi dell’accordo [42]. Orbene, la questione della prevedibilità delle ripercussioni derivanti dall’opzione di accedere a forme di giustizia contratta non è del tutto una novità per il nostro sistema. Al tema della consapevolezza della scelta di una determinata strategia processuale, infatti, è stato ricollegato il divieto, espresso dalle sezioni unite della Cassazione [43], per il pubblico [continua ..]


5. La durata massima dell’attività non retribuita a favore della collettività

Venendo adesso alla seconda questione affrontata dalle sezioni unite, vale a dire quella relativa alla durata massima della prestazione di attività non retribuita cui può essere subordinata la sospensione condizionale, anche in questo caso si fronteggiavano due orientamenti: il primo dava risalto al richiamo, contenuto all’interno del già menzionato art. 18-bis disp. coord. trans. c.p., ai commi 3 e 4 dell’art. 54 d.lgs. n. 274/2000 per affermare che la durata massima della misura non potesse eccedere i termini ivi previsti, vale a dire sei mesi per sei ore settimanali [59], fermo restando che, ove la pena sospesa fosse stata quantificata in modo inferiore – in attuazione dell’art. 165, comma 1, c.p., che fissa il tetto dell’entità della sanzione – non si sarebbe potuto superare quel limite [60]; il secondo, di converso, riteneva che la materia fosse unicamente regolata dallo stesso primo comma dell’art. 165 c.p., dal momento che le disposizioni relative al rito dinanzi al giudice di pace, cui rinvia l’art. 18-bis, sono applicabili solo in quanto compatibili con quella disposizione e, quindi, non per i profili da essa già disciplinati [61]. Nel propendere per l’indirizzo meno restrittivo, il Collegio dei Nove esclude la sussistenza di qualsivoglia conflitto tra le prescrizioni interessate in quanto, sgombrato il campo dall’equivoco per cui due norme debbano essere qualificate come incompatibili allorché l’una regolamenti taluni aspetti già presi in considerazione dall’altra, occorre verificare se esse siano o meno effettivamente inconciliabili, inconciliabilità che, nel caso di specie, non è ravvisabile [62]. Difatti, lungi dal rinviare «all’art. 54 d.lgs. n. 274 del 2000 per tutti i profili non già espressamente regolamentati nell’art. 165 c.p.», «l’art. 18-bis impone testualmente l’osser­vanza delle disposizioni dettate nell’ordinamento del giudice di pace, ossia impone di completare attraverso le medesime la disciplina dell’istituto eventualmente contenuta nella norma del codice penale, salvo che le stesse si rivelino effettivamente incompatibili con quest’ultima» [63]. Un completamento che ben può avvenire interpretando in maniera cumulativa [64] i limiti scolpiti dagli artt. 165, comma 1, c.p. e 54, comma [continua ..]


6. Considerazioni conclusive, anche alla luce del d.lgs. n. 150/2022

Come visto, le sezioni unite hanno condivisibilmente sottratto dalla disponibilità del giudice e, quindi, rimesso alle parti il compito di accordarsi – pena il rigetto della richiesta di patteggiamento – sulla subordinazione della (nuova) concessione della sospensione condizionale della pena a uno degli obblighi di cui all’art. 165, comma 1, c.p., con la necessità di concordare, ove optino per l’attività non retribuita, le modalità in cui la prestazione deve essere eseguita. Ciò non significa – si badi – giustificare un’estensione del potere dei “contraenti” al di là di quanto consentito loro dalla legge, atteso che è l’art. 444, comma 3, c.p.p. a ricondurre il beneficio, alla cui applicazione può essere condizionato l’accoglimento della domanda, entro i confini del patto. Pertanto, là dove tale vantaggio non possa essere riconosciuto se non adempiendo a uno degli obblighi elencati dalla citata previsione penale sostanziale, imputato e pubblico ministero, per superare il vaglio giurisdizionale, sono chiamati a uno sforzo ulteriore in sede di stesura dell’istanza. Sarebbe erroneo, insomma, trarre dalla sentenza in esame, che pure valorizza la connotazione negoziale del rito, uno spunto per ampliare a dismisura l’oggetto dell’accordo, che deve comunque restare entro il perimetro tassativamente disegnato dall’art. 444 c.p.p. [73]. In altri termini, le conclusioni raggiunte dalle sezioni unite sono sensibilmente diverse da quelle cui esse sono discutibilmente pervenute in un precedente arresto – peraltro richiamato dalla pronuncia in commento per sottolineare come dalle recenti «riforme emerga una più ampia valorizzazione della logica negoziale del rito» [74] – volto a rafforzare le prerogative delle parti nel contesto del patteggiamento [75]. In quell’occasione, in virtù del disposto del comma 2-bis dell’art. 448 c.p.p., secondo cui la sentenza di patteggiamento è ricorribile per cassazione (anche) in ragione dell’illegalità della misura di sicurezza, la Suprema Corte ha affermato la legittimità delle intese stipulate dalle parti con riguardo a quest’ultime misure. Tale soluzione – definita «creativa» [76] – è stata sottoposta a severa critica, nella misura in cui non ha [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2023