Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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L'immediata esecutività dell'ordinanza applicativa del sequestro preventivo. Sulla richiesta di sospensione il riesame può decidere de plano (di Roberta Barone, Cultrice di Diritto pubblico – Università di Palermo)


Con la sentenza che si commenta, la Suprema Corte ha affrontato la problematica inerente all’estensibilità della previsione di cui all’art. 310, comma 3, c.p.p. anche all’appello delle misure cautelari reali; in particolare, alla possibilità di concedere la sospensione dell’ordinanza che, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, abbia disposto il sequestro preventivo. Sotto altro profilo, la pronuncia ha affermato, attraverso un principio di diritto inedito, che sulla relativa richiesta di sospensione avanzata dal difensore, il Tribunale del riesame può provvedere de plano, non essendo prevista la ammissibilità o la proponibilità di siffatta istanza nel nostro ordinamento.

The immediate enforceability of the order applying a preventive seizure. The tribunal of review may decide de plano on the application of suspension

The Italian Supreme Court has addressed the issue regarding the potential application of the provision under Article 310, paragraph 3, of the Italian criminal procedure code, also to the appeal of “in rem” precautionary measures; specifically, the possibility that the decision which ordered the preventive seizure following an appeal of the public prosecutor, might be suspended. On the other hand, the judgment has stated, with an unprecedented principle of law, that the tribunal of review can provide de plano on the application for suspension submitted by the lawyer since in our judicial system the admissibility or the feasibility of this request is not foreseen.

È legittima la decisione de plano sull’istanza di sospensione dell’esecutività del sequestro MASSIMA: In tema di misure cautelari reali, sulla richiesta della parte di sospendere l’immediata esecutività dell’ordinanza che, accogliendo l’appello del pubblico ministero, abbia disposto il sequestro dei beni, il tribunale del riesame legittimamente provvede de plano, trattandosi di istanza non disciplinata dal codice, che non ne contempla l’ammis­sibilità e/o la proponibilità, sicché difetta qualsiasi richiamo normativo alla necessità di procedere con rito camerale partecipato, ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. A.A. e G.R. ricorrono congiuntamente contro il provvedimento indicato in epigrafe che, con procedura de piano, ha dichiarato non essere estensibile in loro favore il disposto di cui all’art. 310, comma 3, c.p.p., lamentandone l’illegittimità. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è infondato. 1. I ricorrenti avevano chiesto al Tribunale di Napoli di sospendere l’esecutività dell’ordinanza che, accogliendo l’appello cautelare del P.M., aveva disposto il sequestro di beni dei ricorrenti. 2. Il collegio è consapevole del fatto che, secondo un recente orientamento di questa Corte (sez. 3, n. 25052 del 21/07/2020, Belmonte, Rv. 279864 – 01; sez. 6, n. 2693 del 05/10/1993, Foglia, Rv. 196916 – 01), in tema di misure cautelari reali, gli effetti dell’ordinanza emessa dal tribunale del riesame a norma dell’art. 322-bis c.p.p. che, accogliendo l’appello del pubblico ministero, abbia annullato la revoca del sequestro preventivo disposta dal giudice per le indagini preliminari, sono sospesi fino a che detta pronuncia sia divenuta definitiva, in quanto il rinvio, operato dalla medesima norma, alle disposizioni di cui all’art. 310 c.p.p. include anche l’operatività del comma 3 di tale articolo, che tale sospensione stabilisce, trattandosi di previsione compatibile con le misure cautelari reali. 2.1. A parere del collegio, merita, peraltro, condivisione l’opposto, e senz’altro dominante, orientamento a parere del quale è immediatamente esecutiva l’ordinanza emessa a norma dell’art. 322-bis c.p.p. dal tribunale del riesame che, in accoglimento dell’appello del P.M., abbia disposto il sequestro preventivo, in quanto la clausola di compatibilità che regola il rinvio alle disposizioni di cui all’art. 310 c.p.p. esclude l’operatività del comma 3 di tale articolo, ai sensi del quale l’efficacia del provvedimento è differita fino alla definitività dello stesso, trattandosi di previsione riferita esclusivamente alla libertà personale (sez. 2, n. 11204 del 09/02/2016, Convertino, Rv. 266371 – 01; sez. 3, n. [continua..]

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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’immediata esecutività dell’ordinanza ex art. 322-bis c.p.p. - 3. (Segue) Sulla necessità di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 322-bis c.p.p. - 4. L’inedito principio di diritto affermato: una singolare decisione de plano - 5. (Segue) Alcuni rilievi critici - 6. L’udienza camerale ex art. 127 c.p.p. e l’“impianto normativo di genere” - 7. Riflessioni conclusive - NOTE


1. Premessa

Lo scorso febbraio la seconda sezione della Corte di cassazione è stata chiamata a esprimersi in merito alla questione dell’ammissibilità dell’istanza del difensore diretta a ottenere, ai sensi dell’art. 322 c.p.p., la sospensione dell’ordinanza cautelare reale che – in accoglimento del gravame del pubblico ministero – aveva disposto il sequestro di alcuni beni. Su tale questione se ne è innestata una ancora più significativa concernente, a fronte del silenzio normativo sul punto, la tipologia di procedimento applicabile dal tribunale. In particolare, si è posto l’interrogativo se, in mancanza di un’espressa previsione sul piano codicistico, si dovesse procedere con provvedimento adottato de plano ovvero con le ”forme” proprie del rito camerale ex art. 127 c.p.p. Per meglio comprendere, sembra utile richiamare la specifica vicenda processuale [1]. Il Tribunale del riesame di Napoli accoglieva l’”appello reale” proposto dal pubblico ministero distrettuale di Napoli avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di sequestro preventivo finalizzato alla confisca c.d. allargata o per sproporzione di beni nella disponibilità dell’imputato – intestati a quest’ultimo, alla moglie e al figlio – in relazione a un reato per il quale era intervenuta condanna. In conseguenza, il Tribunale predetto disponeva il sequestro dei beni, immediatamente esecutivo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 310, 321 e 322-bis c.p.p. Ciò considerato, il difensore dell’imputato presentava istanza al Tribunale del riesame di Napoli chiedendo la sospensione degli effetti dell’ordinanza cautelare reale, eventualmente previa fissazione di udienza in camera di consiglio. Il Tribunale partenopeo, tuttavia, con decisione assunta de plano disponeva l’immediata esecuzione del sequestro preventivo, ritenendo non estensibile al caso di specie il disposto di cui all’art. 310, comma 3, c.p.p., in base “al costante orientamento della Suprema Corte”. Avverso detto provvedimento veniva, da ultimo, proposto ricorso di legittimità, lamentando l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 321 e 322-bis c.p.p., 240 c.p., 12-sexies l. n. 306/1992, nonché degli artt. 666, 670, 678, 127 c.p.p. In particolare, la difesa si doleva del fatto che «la fissazione [continua ..]


2. L’immediata esecutività dell’ordinanza ex art. 322-bis c.p.p.

Il primo profilo sul quale la pronuncia in commento ha posto l’attenzione riguarda l’esecutività dell’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 322-bis c.p.p.: tema sul quale si è sviluppato negli ultimi anni un contrasto giurisprudenziale. Com’è noto, l’art. 322-bis c.p.p. disciplina l’appello avverso le ordinanze in materie di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero [4]. Impugnazione che è esperibile dal pubblico ministero, dall’imputato e dal suo difensore, dalla persona alla quale le cose sono state sequestrate e da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione [5]. Si tratta di un istituto che, al pari dell’omologo appello previsto dall’art. 310 c.p.p. per le misure cautelari personali, presenta carattere residuale, come testimonia l’incipit “fuori dai casi previsti dall’art. 322” [6]. Per quel che rileva in questa sede, l’art. 322, comma 2-bis, c.p.p. stabilisce che “l’appello non sospende l’esecuzione del provvedimento”, salvo l’applicazione, “in quanto compatibili”, delle disposizioni contenute nell’articolo 310 c.p.p. Il nodo problematico sul quale si sono sviluppati i contrasti giurisprudenziali riguarda, dunque, l’estensibilità alle misure cautelari reali del disposto di cui all’art. 310, comma 3, c.p.p.: norma che «spira favor libertatis» [7] in quanto stabilisce che non è immediatamente eseguibile il provvedimento cautelare emesso su appello del pubblico ministero, diventando tale quando definitivo, perché non impugnato in cassazione o sopravvissuto al ricorso. Al riguardo, una precisazione è d’obbligo. Secondo un recente orientamento, gli effetti del­l’or­dinanza emessa dal tribunale del riesame a norma dell’art. 322-bis c.p.p., che – accogliendo il gravame del pubblico ministero – abbia annullato la revoca del sequestro preventivo disposta dal giudice per le indagini preliminari, sono sospesi fino a che detta pronuncia sia divenuta definitiva. Nella sostanza, il rinvio operato dall’art. 322-bis c.p.p. includerebbe anche l’operatività del terzo comma dell’art. 310 c.p.p., trattandosi di previsione compatibile con il sistema delle misure cautelari reali. A sostegno di questa tesi si [continua ..]


3. (Segue) Sulla necessità di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 322-bis c.p.p.

Riguardo al profilo sopra evidenziato, l’impostazione condivisa dalla sentenza in commento non presta adeguato rilievo al fatto che la misura cautelare del sequestro preventivo – nelle sue diverse declinazioni e, a fortiori, in quella diretta [12] – è suscettibile, comunque, di incidere su diritti costituzionalmente tutelati, quali il diritto di proprietà e la libertà di iniziativa economica [13]. A tal riguardo, non può non osservarsi come complesso e non sempre lineare sia stato, invero, il percorso di matrice giurisprudenziale che ha consentito di estendere alle misure cautelari reali alcune garanzie proprie di quelle personali. Vero è che l’orientamento da tempo maggiormente accreditato sostiene che il giudice delle impugnazioni, in tema di sequestro preventivo, non può spingersi sino ad analizzare in concreto la fondatezza dell’accusa per tradursi in un’anticipata decisione di merito, ma deve «limitarsi all’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato» [14]. La giurisprudenza più recente, tuttavia, ha innalzato lo standard indiziario ai fini della sussistenza del fumus boni iuris. In tal senso, la “serietà degli indizi” (e l’esistenza di un concreto quadro indiziario) costituisce presupposto del sequestro preventivo [15]. Ancora, meritevoli di richiamo sono quelle pronunce che hanno esteso alle misure coercitive reali i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 c.p.p. per le misure cautelari personali [16]. Plurime sono, infatti, le declinazioni del canone di proporzionalità in materia di sequestro sia preventivo “impeditivo”, sia finalizzato alla confisca obbligatoria o facoltativa [17]. Ebbene, quest’ultima ipotesi, quale fattispecie cautelare autonoma rispetto al sequestro impeditivo, non richiede la sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 321, comma 1, c.p.p. (il pericolo che la libera disponibilità di una res possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di altri reati), ma la sola confiscabilità della cosa [18]. Come si è autorevolmente osservato, la sottrazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 321, comma 2, c.p.p. ai presupposti del fumus e del [continua ..]


4. L’inedito principio di diritto affermato: una singolare decisione de plano

Nel risolvere la questione della mancata sospensione dell’esecuzione del provvedimento, la Suprema Corte ha ritenuto legittima la procedura de plano seguita dal tribunale del riesame, osservando come l’istanza sospensiva proposta dal difensore non fosse «disciplinata dal codice di rito, che non ne contempla l’ammissibilità e/o proponibilità». La soluzione prescelta troverebbe, secondo i giudici di legittimità, un supporto nella disciplina di cui all’art. 600 c.p.p. che fa riferimento all’ipotesi in cui il giudice di primo grado abbia omesso di provvedere sulla richiesta di provvisoria esecuzione o l’abbia respinta, consentendo alla parte civile di impugnare la sentenza davanti al giudice di appello che provvede, a richiesta della parte, con ordinanza in camera di consiglio. Nelle medesime forme, l’imputato o il responsabile civile possono chiedere la revoca o la sospensione della provvisoria esecuzione. Muovendo dalla considerazione che il disposto di cui all’art. 600 c.p.p. «non contiene richiamo esplicito e nemmeno nessun riferimento che per via logico-sistematica consenta di ritenere che il procedimento camerale in questione sia soggetto alla disciplina dettata dall’art. 127 cod. proc. pen.», la Corte di cassazione estende questo modulo senza formalità di rito o, de plano [27], alla materia cautelare reale. Ci troviamo di fronte a un ragionamento di tipo analogico che, per il vulnus prodotto alle garanzie difensive, si traduce in un’estensione del precetto normativo in malam partem. Nella sostanza, se la procedura de plano è stata ritenuta ammissibile rispetto ad una fattispecie espressamente prevista del codice – che impone al giudice di appello soltanto di provvedere «con ordinanza in camera di consiglio» (art. 600, comma 1, c.p.p.) – a maggior ragione ciò dovrebbe valere in relazione ad un’istanza che non è astrattamente proponibile/ammissibile.


5. (Segue) Alcuni rilievi critici

Non vi è dubbio che così ragionando i giudici di legittimità abbiano finito per porre a raffronto – pur con l’evidente finalità di colmare in via interpretativa una lacuna esistente nel nostro ordinamento [28] – situazioni profondamente diverse tra di loro. Anzitutto, è da rilevare come l’appello cautelare, nelle cui maglie si inserisce la possibilità (eventuale) di proporre istanza sospensiva del sequestro preventivo, non possa essere assimilato in toto all’ordinario mezzo di impugnazione [29]. In secondo luogo, la procedura sospensiva prevista dall’art. 600 c.p.p. – protesa ad ottenere la provvisoria esecuzione delle statuizioni civili o, specularmente, la sospensione delle stesse – come da tempo si è sostenuto, involge principi e interessi che risultano estranei al processo penale e alla sua funzione cognitiva [30]. Dalla prospettiva degli interessi coinvolti, lo spettro applicativo del sequestro preventivo è nel concreto più ampio, potendo coinvolgere beni sia materiali che immateriali, e potendo spingersi – a differenza dei provvedimenti del giudice aventi ad oggetto le statuizioni civili, che hanno carattere economico – sino al punto di inibire l’esercizio di attività e diritti meritevoli di tutela costituzionale. E ancora, mentre le condanne civili pronunciate nel processo penale presuppongono e dunque sono, per così dire, “supportate” da una pronuncia di condanna sia pure non definitiva, le misure cautelari sono “strumentali” al processo penale. Infine, l’attivazione della procedura prevista dall’art. 600 c.p.p. risulta doppiamente eventuale: in primo luogo perché la costituzione della parte civile è solo facoltativa; in secondo luogo, perché a differenza che nel processo civile – dove la provvisoria esecutività di tutte le sentenze civili si spiega con l’obiettivo di scoraggiare le impugnazioni dilatorie [31] – in quello penale la condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno (art. 540, comma 1, c.p.p.) è dichiarata immediatamente esecutiva «su richiesta di parte», riproposta in sede di appello nelle ipotesi in cui il giudice di primo grado abbia omesso di pronunciare sulla richiesta di provvisoria esecuzione avanzata in precedenza e, per di più, solo se [continua ..]


6. L’udienza camerale ex art. 127 c.p.p. e l’“impianto normativo di genere”

Premessa la non condivisibilità della soluzione alla quale approda la Corte, si tratta adesso di comprendere quale procedura avrebbe altrimenti potuto applicare l’organo decidente in assenza di un’espressa indicazione da parte del legislatore. In linea generale, i riti camerali conosciuti dal nostro ordinamento, improntati a finalità di economia processuale, derogano al principio del contraddittorio. Alle udienze auditis partibus [33] e a quelle a contraddittorio cartolare [34] si affiancano i procedimenti de plano [35], nonché, quale archetipo camerale, il rito ex art. 127 c.p.p. Quest’ultimo regolamenta il procedimento in «camera di consiglio», espressione che è utilizzata per indicare non il luogo dove il giudice si ritira per formare il proprio convincimento, ma una peculiare modalità di svolgimento dell’attività giurisdizionale [36]. Si tratta di una procedura “semplificata” che, rispondendo al modello liberistico secondo il quale «ognuno agisce come meglio ritiene, correndo i relativi rischi» [37], il codice impone tutte le volte in cui occorra adottare una decisione in tempi rapidi e si debba attivare un contraddittorio di tipo meramente eventuale (le parti sono avvisate del­l’udienza e interloquiscono solo se compaiono). La ratio di tale norma è ispirata, come accennato, a un’esigenza di economia: il legislatore ha voluto stabilire, una volta per tutte, un modello generale di procedimento in camera di consiglio, agevolando il compito dell’interprete, senza la necessità di dovere fissare, di volta in volta, delle previsioni ad hoc [38]. Studi dottrinali sull’argomento [39], nel ripercorrere la voluntas legis, osservano come, a differenza di quanto è accaduto sul versante dell’esperienza processualcivilistica – in cui l’espansione del rito camerale ha inteso sostituire le forme contenziose ordinarie – nel processo penale il ricorso al procedimento camerale è stato incentivato non già per sostituire il rito ordinario ma, al contrario, «nel segno della amplificazione del contributo dialettico delle parti» rispetto al «meno garantito modello cronologicamente antecedente» [40]. Si è affermato efficacemente che nelle due esperienze questo rito ha assunto significati diversi: entrambe subiscono [continua ..]


7. Riflessioni conclusive

La sentenza, nel pervenire alle conclusioni anzidette, si espone a critiche di non poco momento. Essa, infatti, manca di esplicitare le motivazioni che, in assenza di appositi riferimenti normativi ed in presenza di irrisolti contrasti ermeneutici, hanno indotto la Suprema Corte a ritenere preferibile la soluzione maggiormente derogatoria della garanzia del contraddittorio. Al contrario, ha finito per affidare a un ragionamento analogico il delicato compito di determinare contenuto e latitudine applicativa di una “presa di posizione” gravida di implicazioni. Non può non rilevarsi, al riguardo, come sullo sfondo costituito da interpretazioni creative o in malam partem di fattispecie non espressamente disciplinate dal legislatore, si annidino di frequente le maglie subdole di un fenomeno che tende a sfociare in un decremento delle garanzie individuali. Non appare immune da simili devianze neanche il ragionamento esibito nella sentenza in esame: la decisione cui sono pervenuti i giudici di legittimità sembra collocarsi su binari distanti da quelli in cui si pongono i principi costituzionali in materia di contraddittorio e “giusto processo”, nonché di “processo equo”. In tale contesto complessivo, rimane la consapevolezza che l’intenzione originaria del legislatore del 1989 – di potenziare il ricorso ai procedimenti camerali nell’ambito del processo penale al fine di innalzare lo standard di tutela delle garanzie partecipative e del contributo dialettico delle parti – appare ormai contraddetta da interventi, legislativi e giurisprudenziali, i quali negli ultimi anni, in nome dell’efficienza [48], hanno intaccato le caratteristiche essenziali del giusto processo.


NOTE
Fascicolo 1 - 2023