Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La Corte costituzionale apre la via per l´estensione del ne bis in idem fuori della materia “formalmente” penale (di Barbara Lavarini, Professoressa ordinaria di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Torino)


In adeguamento all’art. 4, Prot. 7, Cedu, la Corte costituzionale ha per la prima volta esteso l’ambito applicativo dell’art. 649 c.p.p. al di fuori della materia “formalmente” penale, sia pure limitatamente al “doppio binario” punitivo posto a tutela del diritto d’autore. Dalla sentenza, che restituisce al ne bis in idem una portata eminentemente processuale, possono trarsi indicazioni importanti, nell’immediato, per i giudici comuni, e più a lungo termine per il legislatore, al quale soltanto, secondo la Corte, può essere demandata una razionalizzazione complessiva dei molteplici meccanismi di “doppio binario”.

Parole chiave: ne bis in idem – sentenza di proscioglimento – sentenza di non luogo a procedere – illegittimità costituzionale.

The Constitutional Court opens the way to the extension of the ne bis in idem principle outside the “formally” criminal matter

In compliance with art. 4, Prot. 7, ECHR, the Constitutional Court extended for the first time the scope of art. 649 of italian criminal procedure code outside the “formally” criminal matter, albeit only with regard to the “double track” of sanctions set up to protect copyright. The judgement, which restores an eminently procedural significance to the ne bis in idem principle, offers important indications for the judges (in a short-term perspective), and for the legislator (in a long term perspective), being the only who, according to the Court, may conduct an overall rationalization of the “double track” mechanisms.

Nuova censura costituzionale per l’art. 649 c.p.p. MASSIMA: È dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis della medesima legge. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 17 giugno 2021, il Tribunale ordinario di Verona, sezione penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale, censurandolo “nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato, al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dei relativi protocolli”, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU). 1.1. Il rimettente, investito dell’opposizione a un decreto penale di condanna alla pena della multa pari a 8.100 Euro, deve giudicare della responsabilità di P. O., imputato del reato previsto dall’art. 171-ter, primo comma, lettera b), della L. 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), per avere, a fini di lucro, detenuto per la vendita e riprodotto abusivamente, presso la copisteria di cui è titolare, opere letterarie fotocopiate oltre il limite consentito, in numero pari a quarantanove testi. Per la medesima condotta, l’imputato, in solido con la società gestrice della copisteria, è già stato colpito, ai sensi dell’art. 174-bis della L. n. 633 del 1941, da sanzione amministrativa ormai definitiva, per l’importo di 5.974 Euro, pari al doppio della sanzione minima (103 Euro) moltiplicato per venticinque libri di testo, dei quarantanove totali, dal prezzo non determinabile, oltre a “un terzo dell’importo massimo previsto per le opere il cui prezzo di vendita era conosciuto”. 1.2. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione sollevata, il rimettente rileva che, in base alle sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande [continua..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login

inizio


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il quadro europeo di riferimento e le “tappe di avvicinamento” della Corte costituzionale. - 3. La questione di costituzionalità e il relativo vaglio preliminare: il rigetto delle eccezioni di inammissibilità e il ridimensionamento del quesito - 4. Gli argomenti a sostegno della dichiarazione di incostituzionalità - 5. Il messaggio della Corte e i possibili sviluppi - NOTE


1. Premessa

A distanza di anni da che il problema, dell’estensione del ne bis in idem fuori della materia penale formalmente intesa, è deflagrato in Italia con la sentenza Grande Stevens della Corte di Strasburgo [1] – con conseguente crisi dei sistemi di “doppio binario” punitivo, poi mitigata, ma non sopita, dai successivi sviluppi della giurisprudenza europea [2] –, il Giudice delle leggi ha per la prima volta affrontato nel merito la questione della compatibilità convenzionale dell’art. 649 c.p.p. nella parte in cui – alla luce di un insuperabile dato testuale [3] – circoscrive il divieto di un secondo giudizio de eadem re ai soli destinatari di un giudicato “propriamente” penale. Chiamata a decidere in ordine a una fattispecie di “doppio binario” posta a tutela del diritto d’au­tore [4], la Corte costituzionale ha infatti abbandonato la posizione attendista che – complici ordinanze di rimessione non sempre ineccepibili – ne aveva contraddistinto i plurimi interventi già succedutisi in parallelo all’evoluzione della giurisprudenza europea [5], e ha dichiarato illegittimo l’art. 649 c.p.p., per contrasto con gli artt. 117 Cost. e 4, Prot. 7, Cedu, «nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171-ter della l. 22 aprile 1941, n. 633…, che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis della medesima legge». Per quanto “chirurgico” – in ragione del ridimensionamento, su cui avremo modo di tornare, di un quesito di costituzionalità ben più ampio –, e «inidoneo», a detta della stessa Corte, «a conferire razionalità complessiva al sistema», l’intervento del Giudice delle leggi offre indicazioni importanti per la verifica di compatibilità col ne bis in idem europeo di tutti i meccanismi interni di “doppio binario” sanzionatorio, delle quali dovranno tener conto, nell’immediato, i giudici comuni, e più a lungo termine il legislatore, al quale soltanto – sono ancora le parole della Corte – può essere demandata una [continua ..]


2. Il quadro europeo di riferimento e le “tappe di avvicinamento” della Corte costituzionale.

Prima di scendere nel dettaglio della decisione annotata, è opportuno un sintetico richiamo all’e­voluzione della giurisprudenza sovranazionale sull’ambito applicativo del ne bis in idem [6], nonché alle numerose sentenze costituzionali che, negli scorsi anni, hanno accompagnato tale evoluzione: da queste ultime – che pure, come accennato, non hanno mai affrontato il merito della questione – può infatti cogliersi un percorso di “avvicinamento” utile, oggi, per comprendere meglio il significato, e i potenziali sviluppi, del più recente arresto. Come è noto la Corte di Strasburgo, ferma da tempo nell’estendere la garanzia ex art. 4, Prot. 7, Cedu alla luce della propria autonoma nozione di matière pénale – comprensiva di quegli illeciti, sanzioni e procedimenti che, sebbene qualificati amministrativi o civili nel diritto interno, rispondano positivamente ai c.d. criteri Engels [7] –, con la sentenza A. e B. c. Norvegia della Grande Camera ha operato un netto revirement – rispetto alla posizione già adottata dalla stessa Camera nella sentenza Zolotukhin c. Russia e confermata, con specifico riguardo all’Italia, nel menzionato precedente Grande Stevens – in ordine a cosa debba intendersi per duplicazione, convenzionalmente illegittima, di procedimenti de eadem re: mentre, sino ad allora, il giudice europeo aveva per lo più ravvisato il bis nella mera circostanza dell’instaurazione o prosecuzione di un procedimento, penale o amministrativo-punitivo, dopo la formazione del giudicato in un altro procedimento, amministrativo-punitivo o penale, per lo stesso fatto [8], la sentenza A. e B. ha escluso la violazione della garanzia convenzionale allorché i procedimenti formalmente e (solo) sostanzialmente penali siano avvinti da una connessione sostanziale e cronologica sufficientemente stretta, tale che li si possa considerare come un’unica procedura integrata [9]. Il c.d. close connection test va svolto caso per caso, alla luce – sul piano sostanziale – di una serie di indicatori delineati dallo stesso giudice europeo, e che devono tendenzialmente concorrere [10]: a) i diversi procedimenti devono perseguire scopi diversi e rivolgersi, in concreto, a diversi aspetti della medesima condotta; b) la duplicazione processuale deve rappresentare una conseguenza prevedibile di [continua ..]


3. La questione di costituzionalità e il relativo vaglio preliminare: il rigetto delle eccezioni di inammissibilità e il ridimensionamento del quesito

Il giudice rimettente doveva decidere dell’opposizione a un decreto penale di condanna per il reato ex art. 171-ter, comma 1, lett. b), l. n. 633/1941 [33], emesso nei confronti di un imputato già attinto in via definitiva, in relazione alla stessa condotta – nella specie, l’avere detenuto per la vendita e riprodotto abusivamente, presso la sua copisteria, opere letterarie fotocopiate oltre il limite consentito –, dalla sanzione amministrativa di cui all’art. 174-bis l. cit., nella misura di 5974 euro [34]. Riscontrata l’identità del fatto oggetto, rispettivamente, del procedimento penale e di quello amministrativo, e ritenuta la natura “sostanzialmente penale” della sanzione amministrativa definitivamente irrogata, l’ordinanza di rimessione si confrontava a fondo coi diversi parametri del close connection test, concludendo per l’assenza di un adeguato legame fra i procedimenti, sul piano tanto sostanziale, quanto cronologico: ciò premesso, e ravvisata nell’art. 649 c.p.p. «l’unica norma astrattamente in grado di “neutralizzare” la duplicazione dei giudizi» – peraltro insuscettibile d’interpretazione conforme –, il giudice a quo ne lamentava il contrasto con gli artt. 117 Cost. e 4, Prot. 7, Cedu, nella parte in cui «non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea e dei relativi protocolli» [35]. La Corte costituzionale, pur respingendo la richiesta di dichiarare la questione inammissibile perché tendente ad «una pronuncia manipolativa con effetti generali di sistema ed esorbitanti il caso in esame», ha significativamente ridimensionato il quesito: ciò sul presupposto che, al di là dell’amplissimo dispositivo, dalla motivazione dell’ordinanza di rimessione emergesse l’intento di censurare lo specifico regime di “doppio binario” previsto a tutela del diritto d’autore, dato che le ragioni, addotte per escludere la connessione sostanziale e [continua ..]


4. Gli argomenti a sostegno della dichiarazione di incostituzionalità

Nell’affrontare il merito della questione la Corte, meglio esplicitando quanto già traspariva dalla sentenza n. 145/2020, afferma a chiare lettere che il ne bis in idem, tanto nell’accezione costituzionale, quanto in quella “europea”, è volto a tutelare l’imputato non solo dal rischio di inflizione di una seconda pena, «ma ancor prima contro la prospettiva di subire un secondo processo per il medesimo fatto», e ciò «a prescindere dall’esito del primo…, che potrebbe anche essersi concluso con un’assoluzione». Della valenza processuale della garanzia è riprova il fatto che la stessa non si opponga, invece, ad una duplicazione di sanzioni de eadem re qualora inflitte «in esito a un medesimo procedimento», a condizione che queste ultime rispettino il precetto di proporzionalità della pena, i cui fondamenti costituzionali e sovranazionali sono peraltro diversi da quelli su cui poggia il ne bis in idem (e ravvisabili, in particolare, negli artt. 3 e 27 Cost. sul piano interno, e nell’art. 49 Cdfue sul piano unionale) [40]. Poste tali fondamentali premesse, e ricordati i presupposti del ne bis in idem convenzionale e i criteri per accertarne la violazione – a partire dal close connection test –, la Corte sottolinea l’esigenza di declinarli secondo le logiche del giudizio di costituzionalità, il cui scopo non è verificare se nel caso concreto si sia registrata la violazione di un diritto fondamentale, ma stabilire se «il meccanismo normativo disegnato dal legislatore» sia tale da determinare violazioni di quel diritto «in un numero indeterminato di casi». In questa prospettiva, rileva anzitutto il fatto che le due disposizioni coinvolte – gli artt. 171-ter e 174-bis l. n. 633/1941 – sanzionino, rispettivamente in via penale e amministrativa, «esattamente le medesime condotte materiali», dimostrando peraltro inequivocabilmente – giusta la clausola «ferme le sanzioni penali» in apertura dell’art. 174-bis – l’intento legislativo di cumulare le sanzioni in capo al medesimo trasgressore. Siffatta disciplina crea quindi «strutturalmente» le condizioni perché un medesimo soggetto possa incorrere in una doppia punizione per il medesimo fatto, e, di riflesso, per l’apertura «di più [continua ..]


5. Il messaggio della Corte e i possibili sviluppi

Al di là della soluzione del caso concreto, la sentenza annotata – come in parte già emerso – offre due fondamentali indicazioni rispetto alla portata e all’ambito applicativo del ne bis in idem “esteso”, che in qualche modo segnano una via tanto per il giudice comune che si trovi ad affrontare altre fattispecie di “doppio binario”, quanto per il futuro legislatore: ci riferiamo, da un lato, al forte recupero della dimensione processuale della garanzia, che non può dirsi rispettata per il solo fatto che, all’esito di un duplice procedimento de eadem re – penale e amministrativo-punitivo –, il trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato non risulti eccessivo; dall’altro, alla riduzione dei margini di discrezionalità del giudice comune, in particolare rispetto alla conduzione del close connection test di matrice europea. Sotto il primo profilo, la Corte sgombra definitivamente il campo dall’ambiguità generata non tanto dalla Corte di Strasburgo – che dopo l’arresto A e B c. Norvegia, in effetti suscettibile di fraintendimenti, sembra aver rimesso in discussione la preminenza della proporzionalità sanzionatoria fra i criteri atti ad escludere il bis  [45] –, quanto dal Giudice di Lussemburgo, che, nei ricordati casi “italiani”, non ha fatto mistero di collegare il divieto, di proseguire il secondo giudizio dopo il primo giudicato, precipuamente al fatto che questo risulti sufficientemente punitivo [46]. Ed ancora, il Giudice delle leggi lancia un chiarissimo messaggio alla giurisprudenza ordinaria, che, come già ricordato, si è da tempo adagiata, complice anche la “prima” giurisprudenza costituzionale, proprio sull’evoluzione in senso sostanziale della garanzia in esame [47]. Nella seconda prospettiva, le indicazioni ricavabili dalla decisione in commento richiedono qualche ulteriore riflessione, anche allo scopo di valutare le sorti dei diversi sistemi di doppio binario sanzionatorio presenti nel nostro ordinamento. Va innanzitutto salutato con estremo favore, per quanto possa apparire “antieconomico”, il fatto che la Corte, riformulando il quesito di costituzionalità, non abbia inciso sull’art. 649 c.p.p. nei termini generalisti sollecitati dal rimettente [48]: una più ampia operazione additiva, demandando in via [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2022