Il fragile complesso del giudicato penale irradia di una luce ancora poco nitida la superficie cautelare.
La suprema Corte torna ad affrontare il tema del ne bis in idem nell’ambito del procedimento de libertate, la cui operatività è stata affermata dalla giurisprudenza di legittimità che – seppur con ondivaghi orientamenti − ha cristallizzato il binomio del “giudicato cautelare”.
La sentenza annotata delimita il perimetro applicativo della preclusione cautelare ricorrendo al canone ermeneutico dell’idem factum, così come suggerito dalla giurisprudenza costituzionale, escludendo qualsivoglia violazione del divieto del bis in idem qualora, al di là della medesimezza del titolo di reato contestato, dall’analisi della condotta del soggetto attivo emerga la diversità del fatto storico inteso nella sua accezione storico-naturalistica come triade condotta-causalità-evento.
Parole chiave: misure cautelari – ne bis in idem – fatto storico di reato.
The fragile complex of the penal judgment radiates a still unclear light on the precautionary surface.
The Supreme Court returns to address the issue of ne bis in idem in the context of the de libertate procedure, the effectiveness of which has been affirmed by the jurisprudence of legitimacy which – albeit with vague orientations – has crystallized the binomial of the “judged precautionary”.
The annotated judgment defines the scope of application of the precautionary foreclosure by using the hermeneutic canon of the idem factum, as suggested by constitutional jurisprudence excluding any violation of the bis in idem prohibition, beyond the sameness of the title of the disputed crime, the diversity of the fact emerges from the analysis of the conduct of the active subject historical, understood in its historical-naturalistic meaning as a triad of conduct-causality-event.
1. La fisionomia del principio: matrice giurisprudenziale e funzione del divieto - 2. Il criterio dell’idem nell’approccio costituzionale - 3. Dall’ontologica contraddizione del “giudicato cautelare” alla “preclusione endoprocessuale” - NOTE
Con la sentenza in commento la suprema Corte torna ad esprimersi sul complesso tema dell’operatività del principio del bis in idem in materia cautelare, offrendo lo spunto per analizzare la genesi del binomio “giudicato penale”, costruito dalla giurisprudenza come un fragile prisma che irradia di una luce probabilmente ancora poco nitida la superficie cautelare. L’applicabilità del principio del bis in idem nel procedimento incidentale [1] è stata infatti a gran voce affermata dalla giurisprudenza di legittimità [2] che, da oltre un trentennio, pretende di accostare il giudicato penale al tema dell’annullamento del provvedimento de libertate [3] − fatta salva l’ipotesi di mutamento delle emergenze cautelari − cristallizzando, così, l’irriducibile ossimoro del “giudicato cautelare”. Il concetto di “cosa giudicata” che, per sua natura, dispiega i suoi effetti su provvedimenti conclusivi dell’iter processuale [4] – non su atti lato sensu interlocutori −, costituisce, com’è noto, l’«essenza della decisione terminativa del giudizio, contenuta in un provvedimento giurisdizionale» [5]. Sebbene i suoi tratti caratteristici siano difficilmente importabili nella fase cautelare [6] − che, invece, è ontologicamente ipotetica e instabile [7] − la giurisprudenza ha coniato una versione sui generis di giudicato, la cui ratio risponde, da un lato, all’esigenza di costituire un argine alle rinnovate istanze di modifica del provvedimento genetico, sostanzialmente identiche quanto a petitum e causa petendi, dall’altro, alla necessità di impedire la reiterazione di ordinanze de libertate recanti il medesimo oggetto [8]. Il lungo percorso esegetico compiuto per addivenire alla definizione di siffatta categoria, sollecitato dall’assenza di un dato normativo, è stato costellato da continui up and down: in un primo momento la giurisprudenza, con una forzatura metodologica e senza prestare particolare attenzione al contesto processuale d’origine, ha importato il “giudicato” in un ambito procedimentale inospitale ed essenzialmente precario, costringendo la neo-introdotta regiudicata cautelare in spazi, probabilmente, troppo angusti [9]; in tempi più maturi, spinta dalla necessità di [continua ..]
La sentenza in epigrafe offre una rilettura della nozione di giudicato, consolidatasi già nella vigenza del vecchio codice di rito [25] e successivamente trasferita − seppur impropriamente – ad opera del formante giurisprudenziale dal giudizio di cognizione alla sede cautelare [26], alla luce della giurisprudenza costituzionale [27]. Il giudice delle leggi, elevando il ne bis in idem a fondamentale «principio di civiltà giuridica» [28], ha infatti dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 649 c.p.p., nella parte in cui esclude che si proceda per il medesimo fatto qualora sussista un concorso formale [29] tra res iudicata e res iudicanda. La questione sottoposta all’attenzione della Corte costituzionale è di non secondaria importanza: lo “scontro” tra diritto vivente e diritto vigente [30], alimentato dalle ondivaghe pronunce della Corte di Strasburgo [31], poggia su un unico dato sicuro rappresentato dalla dimensione materiale e non giuridica del reato [32]. La Consulta, preso atto della “torsione curiale” da appetito inquisitorio dell’art. 649 c.p.p. [33] e dell’incompatibilità del diritto vivente rispetto ai vincoli derivanti dal sistema Cedu [34], ha precisato che il criterio dell’”idem legale” [35] dev’essere espunto dalla prassi interpretativa a favore di quello dell’”idem factum” [36], articolato nella triade condotta-causalità-evento, che dev’essere inteso nella sua accezione storico-naturalistica [37]. Pertanto, all’esito dell’indagine empirica condotta sul fatto storico, nell’ipotesi in cui alla unicità della condotta corrisponda la medesimezza del reato [38], seppur diversamente qualificato per titolo, grado e circostanze [39], non permangono dubbi sull’operatività del principio del bis in idem [40], il cui compito è quello di evitare «non il simultaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo» [41]. Ebbene, nel caso che ci occupa, i giudici della suprema Corte di cassazione, aderendo al recente orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, utilizzano proprio il [continua ..]
Definita la sagoma del c.d. double jeopardy cautelare domestico, seguendo la trama offerta dalla sentenza annotata, è opportuno soffermarsi sull’ontologica contraddizione insita nel binomio “giudicato cautelare” e sulla evoluzione di quest’ultimo nella categoria della “preclusione endoprocessuale”. Il principio del bis in idem penetra nei meandri dell’interno ordinamento giuridico, costituendo la massima espressione delle esigenze di razionalità e funzionalità del sistema giustizia [47]. Tuttavia, parlare di “cosa giudicata” – che presuppone l’irrevocabilità del provvedimento ex art. 648 c.p.p. − evoca concetti quali la stabilità, l’intangibilità e l’immutabilità della decisione giurisdizionale, che diviene definitiva, in quanto «la forza del giudicato travalica il contenuto della decisione, rendendola immutabile sul punto» [48]. Tali idee inevitabilmente sfumano al cospetto del provvedimento cautelare [49], per sua natura provvisorio, temporaneo, in continuo divenire, revocabile e modificabile, poiché emesso rebus sic stantibus, in un momento in cui il procedimento penale è ancora agli albori. Pertanto è innegabile l’esistenza di una «contraddizione in termini» [50], sia dal punto di vista logico che semantico, nella formula “giudicato cautelare”, atteso che l’accostamento di tali lemmi, certamente incompatibile con i significati propri dei medesimi, genera una aporia concettuale insuperabile [51]. Ebbene, al fine di riconoscere operatività al ne bis in idem anche in tale momento, si è reso necessario un radicale cambio di prospettiva: urgeva intervenire sulla materia del giudicato, plasmandone i tratti somatici al fine di adattarla alle insolite forme della fase cautelare. Nel silenzio del legislatore [52], l’ardua sfida è spettata alla giurisprudenza, che ha tentato di supplire alle mancanze della legge accostando all’inadeguato binomio de quo il concetto di “preclusione” [53]: matura una preclusione endoprocedimentale nell’ipotesi in cui vi sia stata una valutazione nel merito delle contestazioni articolate dalla difesa, che arresta la possibilità di reiterazione della misura impositiva e ne cristallizza il contenuto [54]. È lo stesso giudice [continua ..]