Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Pecunia (non) olet? Le sezioni unite sull´applicabilità dell´art. 545 c.p.c. al sequestro per equivalente finalizzato alla confisca (di Fabrizio Botti, Cultore di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Napoli “Parthenope”)


Le sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno stabilito che i limiti alla pignorabilità dei crediti vantati dal debitore verso terzi menzionati nell’art. 545 c.p.c. debbano trovare applicazione anche relativamente alle somme soggette a sequestro per equivalente finalizzato alla confisca ex art. 321, comma 2, c.p.p.; ciò in considerazione della peculiare natura della prima disposizione che, costituendo espressione diretta del più ampio diritto fondamentale del cittadino di poter fruire delle retribuzioni ivi menzionate nella porzione indispensabile al soddisfacimento delle più elementari esigenze di vita, si pone quale limite alla stessa pretesa punitiva statale esercitata mediante il sequestro e la relativa confisca di valore.

Parole chiave: sequestro per equivalente finalizzato alla confisca – pignorabilità dei crediti – limiti – principio del cd. ‘minimo vitale’.

Pecunia (non) olet? The United Criminal Sections of the Court of Cassation with regard to the application of article 545 code of civil procedure to the value seizure aimed at confiscation

The United Criminal Sections of the Italian Court of Cassation stated that the limits to the attachment of credits claimed by the debtor from third parties, as mentioned in art. 545 code of civil procedure, shall also be applied with regards to the goods subjected to value seizure aimed at confiscation pursuant to art. 321 paragraph 2 of the criminal code. This is due to the peculiar nature of the first provision which enshrines the fundamental right of the citizen to be able to benefit from the salaries mentioned therein, although limited to the portion indispensable to satisfy his/her basical needs of life, so as to set a limit to the State punitive claim itself exercised through the seizure.

Limiti all’applicazione del sequestro per equivalente MASSIMA: I limiti di impignorabilità delle somme spettanti a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a titolo di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengano luogo di pensione o di assegno di quiescenza, previsti dall’art. 545 c.p.c., si applicano anche alla confisca per equivalente ed al sequestro ad essa finalizzato. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. (Omissis) e (Omissis) hanno proposto, a mezzo dei propri difensori di fiducia, distinti ricorsi, di eguale contenuto, avverso l’ordinanza del 3 maggio 2021 con la quale il Tribunale di Ascoli Piceno aveva rigettato l’appello cautelare presentato nei confronti del provvedimento, in data 2 aprile 2021 del Giudice per le indagini preliminari di detto Tribunale, di reiezione della richiesta di restituzione della somma di denaro di Euro 35.983,64 ciascuno, pari al triplo della pensione sociale, già oggetto di sequestro preventivo per il reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. 10/03/2000, n. 74. Tale reato era stato loro contestato per avere gli stessi, nella qualità di co-amministratori della (Omissis) s.r.l., al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto, utilizzato fatture per operazioni “soggettivamente” inesistenti nelle dichiarazioni relative ai periodi di imposta dal 2014 al 2019. 1.1. Il sequestro preventivo era relativo alle somme di denaro nella disponibilità di (Omissis) e (Omissis) e alle rispettive quote societarie detenute all’interno della società (Omissis) s.r.l. fino alla concorrenza di Euro 20.123.768,61, nonché, in via sussidiaria, alle somme di denaro, ai beni mobili ed immobili di valore equivalente al profitto individuato fino alla concorrenza, sempre, del suddetto importo. 1.2. Confermato il provvedimento cautelare con ordinanza del 26 febbraio 2021 del Tribunale del riesame di Ascoli Piceno, e dichiarato inammissibile, con sentenza in data 13 luglio 2021, il ricorso per cassazione presentato contro di essa, gli indagati avevano poi presentato istanza di restituzione della suddetta somma di Euro 35.983,64, pari al triplo della pensione sociale per gli anni dal 2014 al 2019 (l’importo veniva determinato calcolando tredici mensilità annue dell’assegno sociale pari ad Euro 460,28) deducendo anche che, in sede di esecuzione del sequestro, erano state vincolate le giacenze sui conti correnti loro intestati sui quali venivano accreditati gli emolumenti per l’attività di amministratori della (Omissis) s.r.l., le retribuzioni per l’attività di agenti della Agenzia di assicurazioni (Omissis) s.r.l., di cui gli stessi (Omissis) erano soci unitamente a terzi estranei al procedimento, nonché gli utili distribuiti da dette società. 1.3. [continua..]

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SOMMARIO:

1. Rilievi introduttivi - 2. Il ‘sequestro per equivalente’: panoramica dell’istituto - 3. Profili applicativi ed esecuzione della misura: i limiti ‘esterni’ - 4. I limiti ‘interni’: l’art. 545 c.p.c. ed il principio del cd. ‘minimo vitale’ - 5. La pronuncia delle sezioni unite - 6. Riflessioni conclusive: Pecunia… olet? - NOTE


1. Rilievi introduttivi

Con la sentenza in rassegna la Corte di cassazione penale, nel suo più prestigioso consesso, ha risolto una vexata quaestio concernente il rapporto fra l’art. 321, comma 2, c.p.p., nella parte in cui consente al giudice di disporre il sequestro per equivalente dei beni costituenti il controvalore economico del provento di reato contestato all’indagato, e l’art. 545 c.p.c. che, per altro verso, stabilisce dei limiti ben precisi alla pignorabilità dei beni del debitore nell’ambito di una procedura esecutiva avviata dal creditore, non vincolabili, in senso assoluto o relativo, a seconda del credito di volta in volta preso di mira. Dal punto di vista sistematico, la disposizione processualcivilistica avrebbe trovato ingresso nel processo penale (più nello specifico, nella fase cautelare reale) in virtù del richiamo contenuto nell’art. 104 disp. att. c.p.p., come novellato ad opera dell’art. 2, comma 9, lett. a), l. 15 luglio 2009, n. 94, che dispone le modalità di esecuzione del ‘sequestro preventivo’ parametrate sulle singole tipologie di beni, siano essi mobili, immobili, aziendali e così via dicendo. Nello specifico, la questione è sorta poiché il comma 1, lett. a), del formulato stabilisce che, laddove disposto sui beni mobili e sui crediti vantati dal preposto, il sequestro preventivo debba eseguirsi ‘nelle forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili’, ivi compreso l’art. 545 c.p.c.; di lì, parte della giurisprudenza ha ritenuto che le restrizioni sopra richiamate non potessero trovare – o, al limite, potessero trovare parziale – applicazione al sequestro strumentale alla confisca per equivalente, argomentando talora sul diverso assetto d’interessi sotteso alla pretesa sanzionatoria pubblica ed alla pretesa creditizia di stampo privatistico, talora sul criterio temporale dell’acquisizione del credito vantato nei confronti del debitor debitoris. Altre pronunce, di contro, hanno concluso per l’applicabilità dell’art. 545 c.p.c. financo al sequestro per equivalente, facendo leva sulla derivazione costituzionale della norma in questione, circostanza che non consentirebbe di differenziare l’intervento pubblico da quello privato in virtù del valore fondamentale cui la stessa disposizione è [continua ..]


2. Il ‘sequestro per equivalente’: panoramica dell’istituto

Per ‘sequestro per equivalente’ s’intende il vincolo reale disposto su taluni beni nella disponibilità della persona sottoposta alle indagini costituenti il controvalore economico del prezzo, profitto o prodotto derivante dal reato. Il codice di procedura penale non contempla, nello specifico, la figura del sequestro per equivalente: tale dicitura, ancorché comunemente in uso, si ricava dalla disciplina generale dettata dall’art. 321, comma 2, c.p.p. in combinato disposto con le singole ipotesi di confisca per equivalente previste dalla normativa ordinaria e speciale. [1] Trattasi, invero, di una figura giuridica non conosciuta né, verosimilmente, conoscibile ai redattori del nuovo codice di procedura penale; del resto, lo stesso istituto del sequestro strumentale alla confisca, confluito nell’art. 321, comma 2, c.p.p., fu costruito su di una concezione del provvedimento espropriativo – ormai obsoleta se non del tutto inconferente – come misura di sicurezza [2], che disconosceva del tutto la natura afflittiva della stessa. A riprova, non può che destare una certa nostalgia il formulato della relazione di accompagnamento al Codice di rito sul sequestro preventivo [3], laddove è menzionato come il proposito “[fosse] quello di delimitare, mediante un rinvio alla nozione di “cose di cui è consentita la confisca”, l’area di operatività del sequestro preventivo, così da escludere che esso potesse trovare attuazione fuori dei confini segnati dall’art. 240 c.p. e dalle leggi speciali in cui è espressamente riconosciuto al giudice il potere di confisca”. Qualche tempo dopo, l’ordinamento giuridico vide affacciarsi la prima forma di confisca di valore in occasione della riforma del delitto di usura di cui all’art. 644 c.p., modificato dall’art. 1, comma 1, l. 7 marzo 1996, n. 108 [4] mediante l’introduzione del comma 7; di lì, il dictum ‘è sempre ordinata la confisca (…) di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore (…)’ ha costituito e, tutt’ora, costituisce il formulato basilare di ogni fattispecie incriminatrice che preveda, quale sua sanzione accessoria, la confisca di valore. La ratio sottesa allo strumento normativo in questione [continua ..]


3. Profili applicativi ed esecuzione della misura: i limiti ‘esterni’

La (sempre crescente) latitudine applicativa della misura in esame è, se così può dirsi, il frutto di un’emorragia normativa inarrestabile che ha fatto perno sull’elemento in assoluto più innovativo e, riprendendo quanto sopra, più utile dell’ablazione in commento: la recisione del (fisiologico) legame fra il reato ed il relativo risultato economico, massimamente rappresentativo del celebre detto latino ‘pecunia non olet’. Ed è appena il caso di menzionare che, com’è noto, la natura sanzionatoria della misura ablativa finale costituisce, ormai, ius receptum [15] con isolate deviazioni giurisprudenziali in senso contrario [16]. Invero, poiché il superamento del rapporto pertinenziale tra bene e reato costituisce il connotato fondamentale e caratterizzante la misura, questa viene sovente qualificata come una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti [17], circostanza valevole a conferirle un carattere eminentemente sanzionatorio [18] che avvicina la stessa al prisma concettuale della pena e non anche della misura di sicurezza. Non a caso, la giurisprudenza dominante esclude che la misura possa trovare applicazione in relazione a fatti di reato commessi prima dell’entrata in vigore della disposizione introduttiva della singola confisca di valore [19], come anche, a titolo meramente esemplificativo, nei confronti degli eredi per l’ille­cito commesso dal defunto de cuius [20]. Sicché, se è vero che l’oggetto della confisca ‘tradizionale’ è il prezzo, prodotto o profitto del reato contestato, la circostanza che l’oggetto della confisca ‘per equivalente’ sia il controvalore economico di detti elementi pone, com’è evidente, talune questioni non da poco circa i beni attinti dalla misura cautelare che, in genere, sono entrati in modo lecito nel patrimonio del soggetto che ne è colpito. In altri termini, trattasi di stabilire l’esatta delimitazione applicativa del ‘pecunia non olet’, ossia, da un lato di verificare in che termini operi la misura in rassegna rispetto a taluni beni e talune situazioni giuridiche peculiari (limite che, per comodità, definiremo ‘esterno’) e, dall’altro, di individuare, se esistenti, delle colonne d’Ercole oltre le quali il sequestro per equivalente, in [continua ..]


4. I limiti ‘interni’: l’art. 545 c.p.c. ed il principio del cd. ‘minimo vitale’

Quanto all’oggetto del sequestro – id est i beni oggetto di materiale apprensione – la disposizione di riferimento, come già indicato in premessa, si rinviene nell’art. 104 disp. att. c.p.p., rubricato “esecuzione del sequestro preventivo”, ove sono indicati quali beni, al netto della provenienza degli stessi, possano essere sottoposti al vincolo cautelare e a quali condizioni. L’articolo in questione, rispetto alla formulazione originaria, è stato completamente sostituito per effetto dell’art. 2, comma 9, lett. a), l. 15 luglio 2009, n. 94, introducendo una disposizione – in particolare, il comma 1 lett. a) – che, per quanto è d’interesse alla trattazione, dispone che la misura, se disposta sui beni mobili e sui crediti, vada eseguita “secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili”, incluso, dunque, l’art. 545 c.p.c. L’art. 545 c.p.c. [31] ha il fine precipuo di delimitare l’area dei crediti pignorabili, vantati dal debitore nei confronti di terzi, nell’ambito di una procedura esecutiva avviata dal creditore nei suoi confronti [32]. La disposizione, sotto il profilo sistematico, stabilisce un regime differenziato di impignorabilità, assoluta e relativa, a seconda della natura del credito: alla prima categoria fa riferimento il solo comma 2, mentre il resto del formulato, ad eccezione dei commi 6 e 9, pertiene alla seconda categoria. Talché, sono crediti assolutamente impignorabili quelli ‘aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie e funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza’ (comma 2). Per contro, sono pignorabili, anzitutto, i crediti alimentari, seppur nell’ambito delle sole cause di alimenti e su autorizzazione dell’autorità giudiziaria, che ne stabilisce la misura (comma 1). In senso speculare, è altresì indispensabile l’autorizzazione di cui sopra perché possano pignorarsi, per crediti alimentari, ‘le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento’ (comma [continua ..]


5. La pronuncia delle sezioni unite

Il ricorso giunge all’attenzione delle sezioni unite della Cassazione giusta ordinanza di rimessione emessa, in data 7 settembre 2021, dalla III sezione penale della stessa Corte, a sua volta chiamata a pronunciarsi su di una vicenda, invero piuttosto delicata, concernente un sequestro per equivalente di notevolissimo importo disposto dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ascoli Piceno nei confronti dei ricorrenti; in breve, costoro vengono colpiti dal vincolo cautelare in oggetto in quanto indagati del delitto previsto dall’art. 2 del d.lgs. n. 74/2000 poiché, stando alla ricostruzione fornita dal giudicante, in qualità di co-amministratori di una società di distribuzione carburanti avrebbero utilizzato fatture per operazioni ‘soggettivamente’ inesistenti nelle dichiarazioni reddituali di più periodi d’imposta, per un importo pari ad € 20.123.768,61. Il germe della vexata quaestio risolta dalla Corte si è posto, nel corso di un impervio ‘percorso cautelare’, per la prima volta, quando gli indagati hanno depositato un’istanza di parziale revoca del sequestro così descritta: si richiedeva la restituzione della somma di € 35.983,64 ciascuno, pari al triplo della pensione sociale calcolata nell’arco temporale che va dal 2014 al 2019, in ossequio al combinato disposto degli artt. 321, comma 2, c.p.p., 104 disp. att. e 545 c.p.c. Il giudice per le indagini preliminari rigetta l’istanza per varie ragioni – principalmente di merito –, pur ritenendo, per quanto è di nostro interesse, in astratto applicabili al sequestro di valore i limiti di pignorabilità e sequestrabilità ex art. 545 c.p.c.; il provvedimento viene impugnato innanzi al Tribunale che, di contro, rigetta l’appello cautelare interposto ritenendo, a monte, non applicabile l’art. 545 c.p.c. al sequestro di valore ex art. 321, comma 2, c.p.p. Gli indagati propongono ricorso per cassazione deducendo, quale secondo motivo d’impugnazione, la violazione dell’art. 545 c.p.c. per aver il Tribunale escluso l’operatività della norma in relazione al sequestro per equivalente, essendo la disposizione diretta a tutelare “i diritti inalienabili della persona ed il c.d. ‘minimo vitale’ quale regola generale dell’ordinamento processuale”. Di lì, il ricorso perviene alle sezioni [continua ..]


6. Riflessioni conclusive: Pecunia… olet?

La pronuncia in oggetto costituisce un’encomiabile opera di reductio ad unum di un panorama giurisprudenziale piuttosto ingarbugliato, risultato cui la Corte perviene maneggiando, se così può dirsi, due criteri di risoluzione delle antinomie (cronologico e gerarchico). Invero, dapprima sgombera il campo da qualsiasi equivoco circa il valore dirimente che l’orien­tamento ‘intermedio’ conferiva al momento storico in cui le retribuzioni venivano versate sul conto corrente intestato al preposto: in effetti, evidenziando come il legislatore avesse già provveduto a disciplinare la questione recependo l’insegnamento della Corte costituzionale espresso nella sent. 85/2015, ha offerto una soluzione, per così dire, ‘a rime obbligate’ di stampo cronologico, atteso che qualsiasi altra interpretazione di senso contrario avrebbe ingenerato un’irriducibile aporia sistematica, non tenendo in debito conto una novella introdotta col fine specifico di risolvere quella stessa vexata quaestio. Così come il Consesso, giusto riconoscimento del significato e del valore sistematico dell’art. 545 c.p.c., scarnifica l’orientamento minoritario che concludeva per l’inapplicabilità tout court della disposizione al sequestro ex art. 321, comma 2, c.p.p. in virtù della diversità ontologica della pretesa creditizia privata dell’uno rispetto alla pretesa punitiva statale dell’altro. Al termine un ragionamento assai più articolato, si afferma come la derivazione costituzionale dell’art. 545 c.p.c., ‘gerarchicamente’ debba prevalere sulla stessa volontà pubblica di ripristino dello status quo ante, la quale non può travalicare quei limiti imposti dalla normativa a tutela del diritto fondamentale dell’individuo a non vedersi privato di quel minimum economico indispensabile perché possa condurre un’esistenza libera e dignitosa. Sotto altro profilo, non può sottacersi come, anche in questo caso, la Corte abbia assegnato un valore dirimente ai ben noti principi di necessità e proporzionalità nell’applicazione del vincolo cautelare: del resto, questi stessi principi hanno costituito le colonne portanti del ragionamento elaborato dalle stesse sezioni unite della Cassazione ‘Ellade’ [48], laddove, qualche tempo prima, hanno sradicato l’orienta­mento [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2022