Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La necessità dei modelli 231: dalla Cassazione nuove precisazioni sulla “colpa d´organizzazione” (di Carlo Longari, Ricercatore in Diritto penale – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una sentenza di condanna alla persona giuridica anche se completamente sprovvista del modello organizzativo richiesto dal d.lgs. n. 231/2001 poiché la sua mancanza non può fondare di per sé un addebito automatico all’ente. L’elaborato ricostruisce la natura dei modelli di organizzazione e gestione all’interno del sistema della responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche e mira a commentare la portata innovativa della pronuncia.

Parole chiave: Responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche – Modello organizzativo – Colpa d’organizzazione.

The necessity of the model 231: from the Court of Cassation new clarifications about the “organizational liability”

The Court of Cassation overruled the Court of Appeal decision that condemned a company for not having implemented the organizational model required by the d.lgs. n. 231/2001, since the absence of such model cannot alone justify a guilty verdict. The essay gives an overview about the role of the organization models within the system of corporate liability and aims at commenting the innovative contribution of the decision.

La Cassazione precisa l’efficacia dei modelli 231 MASSIMA: Nell’indagine riguardante la configurabilità dell’illecito imputabile all’ente, le condotte colpose dei soggetti responsabili della fattispecie criminosa (presupposto dell’illecito amministrativo) rilevano se riscontrabile la mancanza o l’inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti dal d.lgs. n. 231/2001. L’assenza del modello organizzativo non è di per sé idonea a fondare la colpa d’organizzazione. PROVVEDIMENTO: (Omissis) RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 11.1.2021, la Corte di appello di Venezia ha confermato la decisione del Tribunale di Vicenza che aveva ritenuto la S.r.l. (Omissis) (d’ora in poi, (Omissis)) responsabile dell’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25-septies, comma 3, per avere – come ente alle cui dipendenze lavorava la persona offesa R.I., rimasta ferita alla mano sinistra durante una operazione di raddrizzamento di un cartone che non scorreva correttamente nella macchina piegatrice e incollatrice in uso – consentito il verificarsi del reato di lesioni personali, aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica; reato contestato al legale rappresentante della società, commesso – secondo l’accusa – nell’interesse dell’ente, in ragione dell’assenza di un modello organizzativo avente ad oggetto la sicurezza sul lavoro, e in particolare di un organo di vigilanza che verificasse con sistematicità e organicità la rispondenza delle macchine operatrici, acquistate e messe in linea, alle normative comunitarie in tema di sicurezza, nonché l’adeguatezza dei sistemi di sicurezza installati sulle stesse (incidente avvenuto il (Omissis)). La Corte di appello, nel confermare la responsabilità dell’ente, ha dato atto della mancanza – nel macchinario e all’epoca dei fatti – di un dispositivo di spegnimento automatico in caso di toccamento delle lamiere, solo successivamente integrato nel dispositivo; ha, quindi, individuato l’interesse della società, idoneo a configurare la responsabilità della (Omissis), nella mancata rivalutazione e monitoraggio dell’adeguatezza del macchinario, risalente al 2001, in quanto privo dei dispositivi di blocco necessari ad evitare infortuni come quello in esame, avvenuto nel 2011, nonché la mancanza di un modello organizzativo in materia prevenzionistica. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della (Omissis), lamentando quanto segue. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere, da una parte, riconosciuto come la lavoratrice fosse esperta e istruita adeguatamente quanto a conoscenza delle procedure e dei rischi, e ciononostante avesse, in occasione dell’infortunio, agito [continua..]

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SOMMARIO:

1. Il caso concreto - 2. I precedenti giudiziari e le variazioni dottrinali sull’efficacia dei modelli - 3. La decisione della Corte di cassazione - 4. Le ricadute applicative - NOTE


1. Il caso concreto

La sentenza in commento si distingue per una singolare lettura dell’efficacia dei modelli organizzativi nell’ambito del “sistema 231”, ritenendo, contrariamente a numerose pronunce precedenti, che l’assenza del modello non possa comportare automaticamente la responsabilità dell’ente. Il caso trae origine da una vicenda avente ad oggetto un infortunio sul lavoro. Più nel dettaglio, il lavoratore dipendente della società sottoposta al procedimento 231 è rimasto ferito alla mano sinistra utilizzando la macchina piegatrice e incollatrice cui era addetto, riportando così lesioni personali gravi. Di conseguenza, all’ente è stato contestato l’illecito amministrativo previsto dall’art. 25-septies, comma 3, d.lgs. n. 231/2001, per aver agevolato, tramite l’assenza di un modello organizzativo, il verificarsi del reato presupposto, ossia lesioni personali aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica, per il quale è stato condannato un dirigente della società. Difatti, secondo la ricostruzione operata nei gradi di merito, nel suddetto macchinario mancava un dispositivo di sicurezza che avrebbe comportato lo spegnimento automatico in caso di contatto con le lamiere. Da tale assenza, i giudici di merito hanno dedotto la sussistenza dell’interesse della persona giuridica, inteso come risparmio di spesa derivante dal mancato aggiornamento del macchinario. Individuato così l’interesse della società e stante la totale assenza del modello organizzativo, l’ente è stato ritenuto responsabile dell’illecito amministrativo contestatogli in entrambi i gradi di merito. Nondimeno, la società, per mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione lamentando il fatto che la mancanza del modello organizzativo non potesse, da sola, fondare la cd. “colpa d’or­ganizzazione”. Difatti, nonostante tale mancanza, la macchina con cui si è ferito il lavoratore era stata più volte controllata negli anni immediatamente precedenti all’infortunio, prima da un Organismo Notificato CE [1] e, in seguito, da un tecnico addetto allo scopo. La questione sulla quale i giudici di legittimità sono stati chiamati a pronunciarsi è dunque la seguente: pur a fronte dell’adozione di alcune cautele organizzative astrattamente idonee a evitare [continua ..]


2. I precedenti giudiziari e le variazioni dottrinali sull’efficacia dei modelli

Il tema si inserisce in un più ampio dibattito che ha accompagnato la responsabilità delle persone giuridiche fin dal suo nascere, ossia la natura dei modelli di organizzazione e gestione (di seguito, MOG) e il loro ruolo nel definire la “colpevolezza” dell’ente [2]. Come noto, la responsabilità degli enti nel nostro ordinamento è modellata sulla falsariga della responsabilità penale della persona fisica: vi è un elemento oggettivo, la commissione del reato presupposto da parte di un soggetto apicale o sottoposto nell’interesse o vantaggio della persona giuridica, e un elemento soggettivo, ravvisabile nella mancata adozione da parte dell’ente di quelle cautele organizzative che, se adottate, avrebbero impedito il verificarsi del reato salvo il comportamento fraudolento del soggetto agente. Tale carenza organizzativa è il fondamento della responsabilità della persona giuridica: è infatti ciò che consente di ritenere il fatto “rimproverabile” direttamente l’ente, giustificando la sua punizione con una sanzione sostanzialmente penale tramite un coefficiente di colpevolezza da ricercare nella mancata osservanza di quelle regole cautelari che gli imponevano di organizzarsi per evitare la commissione del reato presupposto [3]. Se ciò è assolutamente pacifico, maggiori problemi sorgono allorché si tratta di determinare con maggiore precisione in che cosa consista la “colpa d’organizzazione”, ossia quali sono quelle regole cautelari che l’ente avrebbe dovuto osservare. Dalla trama della disciplina positiva, il criterio soggettivo d’imputazione in caso di commissione del fatto da parte di un soggetto apicale sembrerebbe non poter fare a meno dell’adozione ed efficace attuazione del MOG. Difatti, l’art. 6 del d.lgs. n. 231/2001 dispone che l’ente non risponde dell’illecito commesso nel suo interesse o vantaggio se prova, tra le altre cose, di aver adottato il modello di organizzazione e gestione. Dalla littera legis sembrerebbe dunque che l’unica cautela organizzativa idonea a evitare l’addebito all’ente sia l’adozione del MOG [4]. Peraltro, tale paradigma ascrittivo, più che un elemento costitutivo della responsabilità dell’ente come lo è la colpevolezza per le persone fisiche, è stato costruito [continua ..]


3. La decisione della Corte di cassazione

Infatti, la Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dalla società, precisando che l’adozione ed efficace attuazione del modello organizzativo consente sì all’ente di non rispondere dell’illecito, ma la sua mancanza non può implicare un automatico addebito di responsabilità [19]. La sentenza ricostruisce brevemente il ruolo della colpa d’organizzazione nel sistema della responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche. In particolare, viene osservato come questa svolga lo stesso ruolo svolto dalla colpevolezza con riferimento alla responsabilità penale delle persone fisiche, ossia vero e proprio elemento costitutivo dell’illecito dell’ente, in quanto il fatto addebitato alla società sarà “colpevole” (e quindi, rimproverabile) solo in presenza di un deficit organizzativo che abbia almeno agevolato la commissione del reato. In quest’ottica, assume particolare rilievo il ruolo del MOG. Se la colpa d’organizzazione è da intendersi quale elemento costitutivo dell’illecito, questa non coincide con la mancata adozione o inefficace attuazione del modello [20]: tali situazioni integrano unicamente circostanze atte a provare che la colpa d’organizzazione sussiste, e hanno dunque valore indiziario ma non dirimente ai fini della prova della disorganizzazione dell’ente. Ne consegue logicamente che l’accusa non può limitarsi ad addebitare all’ente la mera assenza, in negativo, del modello organizzativo ma deve invece specificare, in positivo, in cosa consiste la colpa d’organizzazione, cioè quali regole cautelari non sono state osservate dalla persona giuridica che, se fossero state osservate, avrebbero impedito il verificarsi del reato presupposto. Nel caso in esame, la società imputata era sì priva del MOG, ma aveva comunque adottato numerose altre cautele organizzative. Più in particolare, oltre a destinare una parte rilevante dei fondi del­l’impresa alla spesa in materia di sicurezza sul lavoro, l’ente aveva altresì adottato una procedura di revisione periodica dei macchinari ai quali erano addetti i lavoratori. Più in particolare, con riferimento all’infortunio verificatosi, il macchinario era stato controllato, come già ricordato, negli anni immediatamente precedenti da un esperto di settore e da [continua ..]


4. Le ricadute applicative

Tale decisione risulta coerente con il ruolo svolto dal modello di organizzazione e gestione nel settore della sicurezza sul lavoro, ove le specifiche regole prevenzionistiche dettate dal TUSL sono integrate dalle disposizioni del d.lgs. n. 231/2001 [22]. Con riferimento a tale contesto, il modello organizzativo è infatti ritenuto una “cautela di secondo livello” [23]: è uno strumento rafforzativo dell’obbligo fondamentale del datore di lavoro e degli altri garanti di rispettare la fitta trama di regole prevenzionistiche poste dal d.lgs. n. 81/2008. Tale ruolo ancillare del MOG con riferimento alla normativa prevenzionistica si spiega proprio col fatto che l’ente, al fine di andare esente da responsabilità, dovrebbe in primo luogo osservare le regole cautelari imposte dal TUSL [24]: il modello organizzativo può, al più, essere un rafforzativo di tali cautele. Di conseguenza, laddove la società si sia comunque dimostrata compliant al suo obbligo di sicurezza verso i lavoratori proprio perché ha osservato le regole cautelari positivizzate nel testo unico citato e, come nel caso in esame, abbia adottato anche cautele ulteriori volte a garantire la sicurezza dei lavoratori, nessun rimprovero può allora muoversi all’ente pur sprovvisto del modello organizzativo. Tale lettura adottata dalla sentenza in commento si dimostra poi in linea anche con il carattere di facoltatività del MOG, riconosciuto da più parti in dottrina e che si ritiene pacificamente sia più un onere per le imprese che un vero e proprio obbligo [25]. Infine, si può osservare come tale decisione sia anche rispettosa dei principi di garanzia che informano la materia punitiva cui la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche sicuramente appartiene [26]. Infatti, nonostante la mancata adozione del modello, non si potrebbe punire una società che ha posto in essere una cautela idonea a governare il rischio del verificarsi del reato presupposto proprio perché non si potrebbe muoverle nessun rimprovero in termini di colpevolezza. Nel caso in cui si ritenesse responsabile l’ente, si tratterebbe infatti non di responsabilità per non aver impedito il verificarsi del reato presupposto ma piuttosto di un rimprovero che si fonda unicamente sulla mancata adozione del modello, ignorando le diverse regole cautelari [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2022