Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La regola di giudizio nel patteggiamento tra cursus ordinario e revisione (di Francesco Callari, Professore di Ordinamento giudiziario – Università degli Studi di Palermo)


L’articolo mira ad approfondire un profilo fondamentale e assai dibattuto in ordine al rito speciale del patteggiamento. In particolare, l’Autore, alla luce di una specifica analisi delle indubbie particolarità del meccanismo giurisdizionale di applicazione della pena su richiesta delle parti, intende focalizzare l’essenza e l’operatività che la regola di giudizio assume, rispettivamente, nel cursus ordinario del procedimento penale e nella fase dell’im­pu­gna­zione straordinaria della revisione, cercando di offrire una ricostruzione interpretativa che riesca a conciliare le esigenze (sostanziali) di giustizia e le ragioni (formali) di coerenza sistematica.

Parole chiave: patteggiamento – regola di giudizio – revisione.

The Judgment Rule in the Italian Patteggiamento between the Ordinary Cursus and the Revision

The article aims to deepen a fundamental and much debated profile in relation to the special rite of the Italian patteggiamento. In particular, the Author, in the light of an analysis of the undoubted particularities of the judicial mechanism of application of penalty upon request of the parties, intends to focus on the essence and the operation that the judgment rule assumes, respectively, in the ordinary cursus of criminal proceeding and in therevision, trying to offer an interpretative reconstruction that is able to reconcile the (substantial) needs of justice and the (formal) reasons for systematic coherence.

SOMMARIO:

1. La regola di giudizio nel rito negoziale di applicazione della pena su richiesta delle parti - 2. La revisione della sentenza di patteggiamento - 3. …e la relativa regola di giudizio - 4. Conclusioni - NOTE


1. La regola di giudizio nel rito negoziale di applicazione della pena su richiesta delle parti

L’istituto del patteggiamento, in cui il reo contribuisce in modo fattivo e diretto all’applicazione del diritto nel caso di specie, appare tendenzialmente riconducibile nell’ambito di un paradigma di giurisdizione penale capace di strutturarsi in posizione marcatamente “dialogica” – rectius: negoziale – nei confronti delle parti processuali. In particolare, la richiesta di applicazione della pena costituisce l’estrinsecazione del consenso come strumento – elevato a dignità costituzionale dall’art. 111, comma 5, Cost. [1] – di rinuncia al principio epistemologico del contraddittorio (con correlativa metamorfosi delle risultanze d’indagine in materiale probatorio tout court), ma non implica alcun totale abbandono dell’accertamento del fatto [2]; questo, infatti, rimane prerogativa esclusiva ed irrinunciabile del giudice, in modo da non far trasfigurare l’opera giurisdizionale in una mera forma di acquiescenza giudiziale alle scelte delle parti [3], cui sarebbe altrimenti riconosciuto un potere di transazione della colpevolezza al di fuori di ogni dettato costituzionale [4]. In tale prospettiva, tuttavia, nel corso dell’esperienza del vigente codice di rito, l’individuazione dell’ampiezza dei confini effettivi entro i quali possa esplicarsi la regola di giudizio appositamente prevista per il patteggiamento non ha trovato unanimi consensi all’interno della giurisprudenza e, soprattutto, della dottrina. Invero, secondo un consolidato orientamento, in ragione del fatto che l’art. 444, comma 2, c.p.p. richiama espressamente l’art. 129 c.p.p., non troverebbe applicazione nell’ambito del rito alternativo in esame il principio in dubio pro reo, accolto appieno, invece, già nella trama normativa dell’art. 530, comma 2, c.p.p., e poi implementato specificatamente nell’art. 533 c.p.p. Di conseguenza, in presenza di un complessivo quadro probatorio mancante, insufficiente o contraddittorio, il giudice non potrebbe prosciogliere l’imputato che sceglie il patteggiamento [5]. Anche di recente, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in sede di patteggiamento, il giudice non può pronunciare sentenza di proscioglimento per mancanza, insufficienza o contraddittorietà delle prove desumibili dagli atti, perché tale possibilità non rientra tra quelle esplicitamente [continua ..]


2. La revisione della sentenza di patteggiamento

La questione relativa alla possibilità di assoggettare a revisione il provvedimento con cui viene applicata la pena su richiesta delle parti costituisce un tema che suscita, da sempre, orientamenti diversi e talvolta contrastanti nella giurisprudenza e in dottrina, in quanto coinvolge direttamente l’annosa querelle in ordine alla natura di tale pronuncia giurisdizionale. Storicamente, proprio a tal riguardo, in un primo tempo, i giudici di legittimità si sono orientati decisamente verso una soluzione positiva della questione, affermando che il procedimento di revisione del giudicato penale è ammissibile anche nei confronti della sentenza pronunciata a seguito di patteggiamento, in quanto «la stessa non difetta di caratteristiche tali da farla ritenere sentenza di condanna» [36]. A favore di siffatta posizione interpretativa sono state addotte alcune pregnanti ragioni logico-giuridiche. In primo luogo, si è sostenuto che la sentenza di patteggiamento è una pronuncia di condanna perché, comportando la sottoposizione ad una pena dell’imputato, produce degli effetti che «non sono semplicemente alcuni tra i tanti ma, al contrario, costituiscono l’hard core “classico”, “naturale” di una sentenza di condanna» [37]. Inoltre, si è osservato che disarticolare la pena dal giudizio di responsabilità equivale a sottrarle la sua giustificazione, a privarla dei punti essenziali di riferimento per la sua irrogazione e determinazione nell’ambito della stessa architettura costituzionale [38]. Secondo tale tesi, accogliendo questa prospettiva, la sanzione penale finirebbe per essere ricollegata ad un’astratta ed esangue fattispecie legale, con conseguente frustrazione dei canoni costituzionali per la sua commisurazione e funzione di cui al combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 27 Cost., atteso che «non si vede […] come la modulazione della pena in termini di risocializzazione (o, a seconda dei casi, più realisticamente, non desocializzazione) e di rimproverabilità del fatto addebitato, possa prescindere da una attività di accertamento da parte del giudice chiamato ad irrogare la sanzione» [39]. Per di più, si è rappresentato come non valga appellarsi alla specialità del procedimento e, tanto meno, alla mancanza di un compiuto accertamento [continua ..]


3. …e la relativa regola di giudizio

Nel disciplinare il profilo teleologico della rivisitazione straordinaria del dictum penale, l’art. 631 c.p.p. richiama genericamente le disposizioni degli artt. 529, 530 e 531 del vigente codice di rito. Pertanto, si deve ammettere che, di regola, anche in sede di revisione del giudicato penale operino le ordinarie formule dubitative di proscioglimento dibattimentale. Si pone, però, un problema di interpretazione e ricostruzione sistemica del dato positivo sull’impugnazione straordinaria de qua in ordine alla determinazione dell’attitudine dimostrativa del novum rispetto a quei riti speciali, come il patteggiamento, che sono governati da differenti regole di giudizio nell’ambito del cursus ordinario del procedimento. Sorge, invero, la questione relativa alla valenza del profilo teleologico della revisione di un provvedimento penale derivante da un rito speciale che, in sede di cognizione ordinaria, mantiene quale regola di giudizio, ai fini del proscioglimento, la disposizione di cui all’art. 129 c.p.p. Al riguardo, un orientamento interpretativo sostiene che l’impugnazione straordinaria delle sentenze di patteggiamento è consentita con gli stessi limiti teleologici della disciplina generale sulla revisione, ossia anche qualora i nuovi elementi fattuali dimostrino che è insufficiente o contraddittoria la prova della colpevolezza [64]. In proposito, si osserva, anzitutto, che l’esigenza di recuperare un’adeguata corrispondenza logica e sistematica tra i due riti in materia di regola decisoria, più che in un’armonizzazione dei due giudizi, si risolverebbe nella riedizione del requisito dell’“evidenza”, ai fini del proscioglimento in sede di impugnazione straordinaria, che già il codice abrogato richiedeva ai nuovi elementi di prova posti a fondamento della domanda di revisione, determinando così un contrasto difficilmente sanabile con la disciplina attuale della verifica giudiziale post rem iudicatam. In secondo luogo, si obietta che, vincolando il giudizio di revisione della sentenza di patteggiamento al più restrittivo paradigma gnoseologico del giudizio “ordinario” del rito speciale previsto dall’art. 129 c.p.p., si finirebbe inevitabilmente per ricondurre all’accordo delle parti una vera e propria “presunzione di colpevolezza” dell’imputato patteggiante, «una presunzione che il [continua ..]


4. Conclusioni

Alla luce delle riflessioni svolte, soprattutto in ordine all’effettiva portata della regola di giudizio nel patteggiamento, nonché rispetto alla possibilità di impugnare in via straordinaria la sentenza che accolga l’accordo delle parti, è possibile concludere che il problema in subiecta materia non è tanto l’irre­vocabilità assoluta o relativa della scelta negoziale compiuta, quanto il fatto ‒ difficilmente confutabile ‒ che, se la revisione della sentenza ex art. 444 c.p.p. fosse in grado di dissolvere il giudicato di colpevolezza in forza di regole sconosciute alla cognizione di prime cure, tale impugnazione straordinaria finirebbe fatalmente per divenire una sorta di autonomo giudizio di primo accertamento. In proposito, un indirizzo dottrinale, per confutare la linea interpretativa che ritiene operante nel giudizio di revisione la regola di giudizio applicabile al patteggiamento in sede di cognizione ordinaria, esclude proprio qualsiasi rapporto di continuità tra l’iter sfociato nella sentenza definitiva e il rimedio straordinario. A ben vedere, però, l’istituto delineato dagli artt. 629 e ss. c.p.p. non rappresenta un giudizio autonomo, se con ciò si intende che non ha alle sue spalle null’altro che la domanda di revisione, giacché quest’ultima apre, piuttosto, una nuova fase giurisdizionale ‒ post rem iudicatam ‒ del medesimo procedimento penale, la quale si ricollega ad una determinata situazione giuridica sostanziale, definita irrevocabilmente da una pronuncia precedente, e destinata a restare irrefragabile nel caso di mancato accoglimento dell’impugnazione straordinaria. La revisione rappresenta sì un fenomeno “esoprocessuale”, dato che non consuma parzialmente la vicenda giudiziaria, bensì mira a rimuovere quelle decisioni penali irrevocabili che, alla luce d’emergenze conosciute in seguito alla formazione del giudicato, si dimostrano frutto d’ingiustizia; ciò non significa, però, che l’esperimento dell’impugnazione straordinaria realizzi una netta soluzione di continuità con il procedimento ordinario svolto, dal momento che il thema decidendum ‒ sia pure sotto una diversa prospettiva ‒ rimane comunque lo stesso, ossia il corretto accertamento della fondatezza dell’accusa. Il giudicato, invero, non annichilisce o [continua ..]


NOTE