Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Dichiarazioni indizianti, inutilizzabilità ed equo processo: il difficile dialogo tra diritto interno e indirizzi europei (di Francesco Trapella, Ricercatore in Diritto processuale penale – Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara)


Di recente la Corte di Strasburgo ha affermato la violazione dell’art. 6 C.e.d.u. nel caso di un uomo che, pur attinto da indizi di reità, nel corso delle indagini veniva sentito in qualità di teste e, quindi, senza l’assistenza di un difensore e senza potersi astenere dal rispondere. Il caso fornisce l’occasione per riflettere su analoghe pratiche in uso nel nostro Paese e sull’impossibilità di usare le dichiarazioni così raccolte.

Parole chiave: Accusa penale - Diritto di difesa - Procedimento contro ignoti – Inutilizzabilità - Giusto processo.

Incriminating statements, unusability and fair trial: the difficult dialogue between domestic law and European guidelines

Recently the Strasbourg Court affirmed the violation of Art. 6 ECHR in the case of a man drawn from evidence of guilty, who was heard as a witness during the investigation, without the assistance of a lawyer and without the possibility of refraining from responding. The case provides the opportunity to reflect on similar practices applied also in our Country and on the impossibility of using the statement thus collected.

Le garanzie difensive vanno riconosciute al sospettato anche dinanzi ad un’accusa non formalizzata MASSIMA: Viola l’art. 6 C.e.d.u. l’autorità nazionale che senta come testimone una persona che sia attinta da indizi di reato, benché l’accusa non sia stata formalizzata, né ufficialmente comunicata all’interessato: un tale contegno, infatti, lo priva delle garanzie difensive riconosciute a colui al quale sia addebitato un illecito di rilievo criminale. PROVVEDIMENTO: [Omissis] INTRODUZIONE 1. Il caso riguarda la denuncia del ricorrente; in base ad essa la sua incriminazione e la sua conseguente condanna per reati finanziari nell’ambito della crisi del 2008 avrebbero comportato una violazione del diritto ad un equo processo. I FATTI 2. Il ricorrente è nato nel 1968 e vive a Revkjavik. È stato rappresentato davanti alla Corte da Þórir Júlíusson, Avvocato del foro di Revkjavik. 3. Il Governo è stato rappresentato dal suo Agente, Einar Karl Hallvarðsson, Procuratore Generale dello Stato. 4. I fatti, così come rappresentati dalle parti, possono essere sintetizzati come segue. L’ANTEFATTO 5. Nell’autunno del 2008, la crisi di liquidità globale ha colpito il settore bancario islandese. Dal 7 al 9 ottobre 2008 l’Autorità di vigilanza finanziaria (Fjármálaeftirlitið) ha nominato un comitato di risoluzione della crisi per ciascuna delle tre maggiori banche islandesi; la sua funzione era esaminare le modalità operative dell’attività svolta nel periodo dai vari istituti di credito del Paese. Il crollo di queste compagini ha avuto effetti importanti sulle altre banche dell’isola. Tra gli istituti falliti c’era la Kaupþing Bank hf. (di seguito “Kaupþing”), il cui dissesto è datato 9 ottobre 2008. A seguito degli eventi appena ricordati è stato, poi, istituito l’ufficio di un Procuratore Speciale (di seguito “il Procuratore Speciale”). 6. Il ricorrente – che è un avvocato abilitato all’esercizio della professione forense dinanzi alla Corte Suprema d’Islanda – ha ricoperto gli incarichi di direttore della Divisione prestiti ed era membro del Comitato del Credito di Gruppo della Kaupþing, fino al crollo della banca. PROCEDIMENTI PENALI A CARICO DEL RICORRENTE 7. Con una lettera del 1° ottobre 2009, l’Autorità di vigilanza finanziaria ha inviato una denuncia al Procuratore Speciale per la presunta manipolazione del mercato azionario di Kaupþing nel periodo compreso tra il giugno del 2005 e l’ottobre del 2008. Successivamente sono state avviate numerose indagini sulle pratiche commerciali di Kaupþing, durante le quali dodici dei suoi ex dipendenti sono stati indagati per presunte violazioni della legge sulle transazioni in titoli [continua..]

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SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Gli argomenti della Corte europea - 3. Accusa, notizia di reato soggettivizzata, iscrizione tardiva - 4. Qualche esempio: a) indagini su casi di “colpa medica” - 5. … b) indagini sulla criminalità economica - 6. Equità del procedimento e inutilizzabilità della prova - 7. Una battuta conclusiva sull’inutilizzabilità “forte” - NOTE


1. Il caso

Con la sentenza in nota la Corte di Strasburgo affronta un tema di sicuro rilievo anche per lo studioso nostrano: viene esaminato il caso di un soggetto che, pur raggiunto da indizi di reità, era sentito dagli inquirenti come persona informata sui fatti – e, quindi, senza l’assistenza di un difensore e con l’obbligo di rispondere secondo verità – per poi essere indagato solo in un momento successivo. Sarà utile, in prima battuta, ripercorrere i fatti. Nel contesto della crisi economica globale del 2008 aveva luogo il fallimento dei tre principali istituti bancari islandesi: tanto si ripercuoteva sull’intero sistema di credito dell’isola e sui gruppi commerciali minori. Uno di essi – la Kaupþing Bank h.f. – era amministrato dal ricorrente, che vi aveva ricoperto ruoli direttivi fino al definitivo tracollo, occorso nell’ottobre 2009. L’autorità preposta a vigilare sugli effetti della crisi s’accorgeva di alcune irregolarità nella gestione della Kaupþing e, in particolare, di frequenti condotte idonee a manipolare il mercato, serbate dalla dirigenza della banca tra il 2005 e il 2008; ne derivava un’indagine penale, suddivisa in quattro filoni definiti in base ai nomi dei soggetti ingiustamente favoriti: Al Thani, Holt, CLN e Desulo. In quest’ambito alcuni apparecchi telefonici in uso al ricorrente venivano sottoposti ad intercettazione. Ciononostante egli era sentito sui fatti della Al Thani e della Holt senza figurare quale destinatario di un formale addebito: il 14 maggio 2010, addirittura, aveva luogo un’audizione davanti al procuratore e l’interessato si presentava senza il proprio legale, né gli venivano spiegate le conseguenze che sarebbero derivate dalle sue dichiarazioni. Certo, il ricorrente era notiziato dell’esistenza di un’indagine, tuttavia non gli veniva detto che vi era coinvolto. Solo un anno dopo – il 12 novembre 2011 – l’uomo era convocato dagli investigatori come indagato e, in quella sede, gli erano illustrati i suoi diritti: quello di non rispondere alle domande degli interlocutori e quello di farsi affiancare da un difensore fiduciario. Il 15 marzo 2013 il ricorrente veniva rinviato a giudizio per sette episodi fraudolenti commessi con abuso della propria posizione apicale; in tre casi erano stati concessi indebiti prestiti alla Holt Investment Group Ltd; in [continua ..]


2. Gli argomenti della Corte europea

A volere ricavare una massima dalla pronuncia in commento, sia pure con le difficoltà legate all’approccio tipicamente casuistico della Corte di Strasburgo, la si potrebbe riassumere come segue: la mancata comunicazione degli addebiti a carico di taluno e il ritardato accesso alla tutela legale violano l’equità complessiva del procedimento – e, per quella via, l’art. 6, parr. 1 e 3, lett. a) e c), C.e.d.u. – qualora l’interessato venga coinvolto nell’accertamento, inconsapevole del suo reale status di accusato, e se ne raccolgano informazioni da utilizzare, poi, nelle fasi successive del giudizio [2]. L’approdo è raggiunto, muovendo dalla nozione che i giudici europei offrono dell’accusa penale, intesa già in precedenti arresti [3] come l’addebito riferito a taluno che si suppone abbia commesso un reato: perché scatti la tutela prescritta dai referenti convenzionali è necessario che l’indiziato abbia contezza del rimprovero o per la comunicazione dell’autorità procedente [4] o perché coinvolto a qualunque titolo nelle attività degli inquirenti. Ora, adattando l’adagio al caso di specie, durante il colloquio del 14 maggio 2010 il ricorrente non era notiziato delle accuse a carico, sì che spetta alla Corte stabilire se all’epoca operasse a suo vantaggio l’art. 6 C.e.d.u.; l’attenzione dei giudici alsaziani è stimolata da alcuni elementi, inequivocabili nell’attestare come l’uomo fosse sotto la lente degli investigatori ben prima di quando veniva sentito: il suo apparecchio telefonico era tra quelli intercettati, in varie note di polizia lo si definiva “sospetto” e il 9 marzo 2010 il procuratore relazionava sui suoi comportamenti illeciti nei casi d’indagine, tra cui quello sul quale, poi, si concentravano l’esame di maggio, il processo e la condanna. Conclude il Collegio europeo che indubbiamente un’accusa a carico del ricorrente esisteva già quando fu ascoltato dagli inquirenti e proprio per questa ragione il colloquio avrebbe dovuto svolgersi nel rispetto delle tutele previste dall’art. 6, § 3, C.e.d.u. [5]. In quel momento, infatti, egli era stato interessato dall’agire degli indaganti, tanto nelle forme occulte dell’intercettazione, quanto in quelle di maggiore trasparenza [6] come la [continua ..]


3. Accusa, notizia di reato soggettivizzata, iscrizione tardiva

La Corte europea muove dalla nozione di accusa penale e, per quanto il concetto possa apparire persino intuitivo, è stato – ed è tutt’ora – oggetto di continue precisazioni e di costanti letture distorte, spesso per esigenze di (pseudo)efficienza investigativa: la premessa ha indotto la Commissione Lattanzi a ricordare come la giurisprudenza alsaziana esiga la soggettivizzazione dell’indagine per assicurare all’interessato le garanzie dell’art. 6 C.e.d.u. [11], ed è proprio questo il punto focale dell’arresto in commento; tanto impone, poi, di approfondire un attimo, anche in una prospettiva de iure condendo, la distanza tra gli indirizzi strasburghesi e il diritto domestico, scritto o vivente che sia. La l. 27 settembre 2021, n. 134 invita il legislatore delegato ad individuare con precisione i presupposti dell’annotazione prevista dall’art. 335 c.p.p.; l’articolato in attuale fase di vaglio parlamentare sembra rispondere allo stimolo. Due – e solo in apparenza contrapposti – sono i nodi che discendono dalla cattiva applicazione della norma [12] ed entrambi segnano punti di irrimediabile frizione rispetto al riferimento convenzionale. Da un lato, infatti, il codice detta un obbligo di immediatezza [13] la cui inosservanza ridonda sui tempi delle indagini, allungandoli in maniera imprevedibile e nullificando il disposto sanzionatorio dell’art. 407, comma 3, c.p.p. [14]; a ciò s’aggiunga che l’espressione «registro custodito presso l’ufficio» è riempita nel suo significato dalle fonti secondarie o, addirittura, dal soft-law dei singoli uffici quanto alla classificazione dei modelli e all’individuazione dei criteri per l’inserimento della notizia nell’uno o nell’altro elenco: in questo l’art. 335 c.p.p. si svela come norma in bianco [15] e c’è bisogno di un univoco suo completamento che non può derivare se non da una novella legislativa: sul punto si attende di conoscere la prassi che si formerà attorno alle indicazioni della riforma, se divenisse norma vigente. D’altra parte – e veniamo, così, al secondo dei problemi in attesa di rimedio – la vaghezza del lessico normativo potrebbe determinare, com’è accaduto di frequente, un automatismo nell’iscrizione, tale per cui si registra il nome [continua ..]


4. Qualche esempio: a) indagini su casi di “colpa medica”

La c.d. “colpa medica” offre la migliore occasione per sviluppare argomenti sul lavoro in équipe – tema su cui s’intrattengono i compilatori della riforma Cartabia – e per avvalorare l’importanza dei precetti espressi dalla pronuncia in commento in un quadro così distante dalla legalità processuale come è quello delle pre-investigazioni [23]. Si cedono all’attenzione di chi legge due casi, esemplari di altrettante pratiche di potenziale contrasto con gli indirizzi alsaziani. Il primo [24]: colpito da un’infezione alla milza, determinata da un ignoto agente patogeno già responsabile di un’endocardite, un giovane moriva dopo avere accusato, per qualche settimana, lievi malori, poi, acuitisi in poche ore. Nell’immediatezza del decesso gli inquirenti sentivano la madre del ragazzo che, tra le altre cose, forniva i nomi dei quattro medici che, negli ultimi anni, avevano seguito il figlio: i primi due, durante l’infanzia e gli altri, in tempi più ravvicinati. Il pubblico ministero iscriveva la notizia a mod. 44 e procedeva nelle forme dell’art. 360 c.p.p. all’accertamento autoptico finalizzato ad individuare la causa dell’evento nefasto e, quindi, il nesso tra il disturbo cardiaco e la rottura splenica, oltre all’agente responsabile dell’infezione. Sulla scorta dei risultati dell’esame necroscopico e delle dichiarazioni dei congiunti della vittima, tutti sentiti a sommarie informazioni, il procuratore portava la nota a mod. 21, formalmente indagando i due clinici che avevano avuto in cura il giovane prima della sua morte. Il secondo [25]: afflitto da una patologia cerebrale, un uomo veniva ricoverato nel reparto ospedaliero di neurochirurgia, dove spirava dopo tre settimane di cure farmacologiche e di interventi rivelatisi, purtroppo, del tutto inutili. Il pubblico ministero registrava la notizia a mod. 21 a carico dei venticinque tra infermieri, internisti e chirurghi che avevano avuto contatti, sia pure saltuari e sporadici, con il paziente; l’autopsia era compiuta nelle forme dell’incidente probatorio, vista la riserva formulata dagli indagati a fronte dell’avviso di accertamenti tecnici non ripetibili. I due scenari appena descritti sono, in fondo, simili ai tanti che sollecitano l’attenzione quotidiana degli operatori del processo e sono paradigmatici di due diversi [continua ..]


5. … b) indagini sulla criminalità economica

La sentenza in nota tocca un settore – quello della criminalità economica e, in particolare, finanziaria – nel quale frequenti sono gli abusi per quel che riguarda il corredo di garanzie accordato a colui sul quale si concentra l’azione degli inquirenti: può darsi che il contesto si riveli un formidabile terreno di elezione per l’essere, di solito, i protagonisti estranei alle consorterie tipiche dell’ambiente delinquenziale e per l’impatto che su di essi provocano gli strumenti più tipici della repressione penale – “Mani pulite” insegna e, di lì, tutta la svolta inquisitoria [36] del 1992 – o, forse ancora, il proliferare di contegni investigativi non proprio ortodossi è legato all’ingenuità di chi, come il protagonista della vicenda in commento, avverta come estremamente improbabile il proprio coinvolgimento nell’indagine al punto di atteggiarsi ingenuamente come un semplice testimone, di lì abdicando in modo inconsapevole alle proprie tutele. Osservando il diritto domestico vivente è impossibile non accorgersi delle oscillazioni di una giurisprudenza che ora predica, quale principio generale, la necessità di trattare da indagato colui che, già prima del contatto con l’autorità, sia raggiunto da elementi qualificabili come non equivoci indici di responsabilità [37], ora, nelle inchieste per reati fallimentari, accetta che tra l’imprenditore e il curatore vi sia un colloquio non garantito e accoglie come prova documentale la relazione dell’art. 33 L.F. [38] anche nei casi in cui, da essa e per palese ammissione di chi l’ha compilata, emergano profili di interesse penale a carico dell’escusso; passando alle procedure per delitti fiscali, poi, di un atteggiamento analogo si ha prova allorché le note del funzionario dell’Agenzia delle entrate che ha sentito l’interessato, ovviamente senza presidi difensivi, entrino nel fascicolo del pubblico ministero come notizia di reato. Sono situazioni nelle quali si sostanzia una violazione almeno duplice delle prerogative dell’indi­ziato: la prima ha luogo nel contatto con un soggetto estraneo al sistema penale – il curatore fallimentare o l’Agenzia delle entrate – che mira ad accertare quel che appare qualcosa di più di un semplice sospetto, tant’è [continua ..]


6. Equità del procedimento e inutilizzabilità della prova

Si muova dal preambolo che il connotato dell’inutilizzabilità è destinato a trovare applicazione in rapporto a qualsiasi esperimento che entri nel procedimento penale a spregio di un divieto fissato dalla legge o dalle fonti superiori [42], a nulla rilevando il momento in cui occorra l’ingresso, se a dibattimento o in precedenza: è impensabile escludere dalla sfera applicativa del concetto la fase investigativa, pena il sovvertimento dei rapporti di correttezza che, pure, debbono sussistere tra l’inquirente e l’indagato e che si ispirano – è ovvio – ai parametri di giustizia stagliati nella Costituzione [43] e, s’aggiunga, nelle norme europee. Guardando ai temi di attuale interesse, se così non fosse, bisognerebbe circoscrivere il portato dell’art. 63, comma 2, c.p.p. e immaginare che le propalazioni contra se di colui che, sin dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito come accusato, possano essere utilizzate per il prosieguo dell’inchiesta o per sciogliere l’alternativa sull’esercizio dell’azione, ma non nel contraddittorio dibattimentale. L’approdo, inaccettabile, sconfesserebbe l’idea di un’inutilizzabilità intesa come sanzione forte [44] e come presidio dei valori più profondi del rito penale: se si ammette – come, del resto, la Consulta insegna già dal 1973 [45] – che il divieto la cui violazione determini l’impossibilità di impiegare la prova nell’accertamento possa derivare da disposti di rango superiore a quello legislativo [46], allora è chiaro che sia destinato ad essere espunto dal fascicolo quel contributo che sia capace di sovvertire l’equi­librata composizione dei rapporti tra le parti, ponendo la difesa in un ruolo di irrimediabile svantaggio rispetto al proprio antagonista. Ferma la premessa, la si cali tra le riflessioni sull’arresto in nota così da analizzarlo sia sul piano dei precetti interni, sia su quello dei principi europei: sotto il primo profilo, s’è già ricordata la previsione espressa di inutilizzabilità dell’art. 63, comma 2, c.p.p.; per l’altro verso, la sentenza compie costante richiamo all’art. 6 C.e.d.u. L’accostamento di tali frangenti si presta a qualche rilievo sui rapporti tra prova e fair trial e, quindi, tra la legalità [continua ..]


7. Una battuta conclusiva sull’inutilizzabilità “forte”

È nota la ritrosia con cui si parla di inutilizzabilità derivata, un po’ per l’affermarsi indiscusso del male captum bene retentum – sì che, parafrasando Cordero, per stabilire se una cosa sia o meno sequestrabile non importa guardare al modo in cui la si sia cercata, ma rileva che la res possa essere appresa e di sicuro, se è pertinente al reato, può esserlo [55] – un po’ per l’assenza di una norma omologa a quel che è l’art. 185, comma 1, c.p.p. per le nullità [56]. Le argomentazioni sono forti, al punto che nessuno negherebbe alla polizia giudiziaria il potere di sequestrare lo stupefacente, ancorché all’esito di una ricerca condotta fuori dai presupposti di legge; nondimeno è un dato che la diffusione delle invalidità sia regolata dal codice solo per gli atti nulli. Non si vuole, quindi, negare il fondamento dei due asserti iniziali, condividendolo nelle sue linee di fondo e nella sua obiettiva finalità pragmatica, per esempio per quel che concerne l’ablazione di oggetti intrinsecamente illeciti o la cui circolazione rasenta l’illegalità per il suo legame con un contesto criminale. S’intende, piuttosto, recuperare l’idea di “sanzione forte” con cui, poco fa, è stata descritta l’inu­tilizzabilità: se di ciò si tratta – e, quindi, se si è disposti a riconoscerle una finalità terapeutica a salvaguardia dei valori più profondi del procedere – il dibattito sulla derivazione del vizio perde di interesse. Non si sta trattando, com’è per le nullità [57], dell’adesione di un atto ad uno schema normativo, di talché più il primo dista dal secondo, maggiore è l’allontanamento dall’ortodossia processuale che va, così, recuperata ripercorrendo e rinnovando quel segmento del giudizio in diversione rispetto alle indicazioni di forma del legislatore; si sta guardando ad un difetto più profondo, di un’attività che, magari, è perfetta sul piano procedurale [58], ma che è stata gestita in modo da renderla estranea ai principi di correttezza conclamati, di nuovo, dalle fonti superiori: ritornando all’arresto in nota, l’esame/inter­rogatorio del ricorrente era intrinsecamente rispettoso delle disposizioni di [continua ..]


NOTE