Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Corte costituzionale (di Chiara Rosa Blefari)


Sulla legittimità costituzionale dell’art. 517 c.p.p., in relazione ai reati connessi a norma dell’art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p.

(C. cost., sent. 14 giugno 2022, n. 146)

Con la sentenza in esame, la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 517 c.p.p., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova, relativamente al reato concorrente oggetto di nuova contestazione.

Nello specifico, il Tribunale ordinario di Palermo, in qualità di giudice rimettente, ha in primo luogo censurato la violazione dell’art. 24 Cost.: la richiesta di riti alternativi, tra cui va annoverata anche la sospensione del procedimento con messa alla prova, costituisce infatti una tra le più qualificanti modalità attraverso le quali si esplica il diritto alla difesa.

segue

Quanto al secondo parametro evocato, la disciplina contenuta nella norma in esame sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., laddove non garantisce il principio di parità di trattamento ai fini dell’accesso ai procedimenti speciali. Investita di tali censure, la Corte costituzionale ne ha dichiarato la fondatezza. Queste, in sintesi, le ragioni addotte. La Consulta, richiamando taluni suoi precedenti, ha sottolineato l’esigenza di salvaguardare la pienezza del diritto di difesa dell’imputato, che comprende anche il diritto di optare per il rito alternativo, a fronte di un mutamento dell’imputazione (ex plurimis, sentenze n. 265/1994, n. 333/2009, n. 14/2020 e n. 141/2018). Ad avviso del Giudice delle leggi, il principio espresso nelle pronunce menzionate deve parimenti valere anche nell’ipotesi oggetto delle odierne censure, e cioè in relazione alle nuove contestazioni in dibattimento di reati connessi ex art. 517 c.p.p. Invero, fatto diverso e reato connesso, entrambi emersi per la prima volta in dibattimento, integrano evenienze processuali che, sul versante dell’accesso ai riti alternativi, non possono non rappresentare situazioni fra loro del tutto analoghe; di talché nel caso di nuove contestazioni di reati connessi ex art. 517 c.p.p., dovrà riconoscersi all’imputato la facoltà di chiedere la messa alla prova, senza che risulti ostativa la circostanza che la stessa verrebbe ad essere concessa non in relazione a un unico reato, bensì a più reati in concorso fra loro. La previsione di cui all’art. 168-bis, comma 4, c.p.p., secondo cui la sospensione del procedimento non può essere concessa più di una volta, non esclude infatti la concedibilità della stessa ogniqualvolta venga contestato più di un reato, quando – come nella fattispecie del giudizio a quo – per ciascuno dei reati in concorso sia astrattamente applicabile l’istituto della messa alla prova. La Corte costituzionale ha, poi, evidenziato come l’istituto della sospensione con messa alla prova si inquadri tra i riti alternativi e, al contempo, delinea un percorso rieducativo e riparativo, alternativo al processo e alla pena, pur avendo indubbie connotazioni sanzionatorie. In virtù di detta funzione risocializzante, deve essere, quindi, esclusa la possibilità di una messa alla prova “parziale”, ossia relativa ad alcuni soltanto dei reati contestati; piuttosto, l’imputato dovrà essere rimesso in condizione di optare per il rito in questione anche con riferimento alle imputazioni originarie, intraprendendo, così, quel percorso che avrebbe potuto scegliere sin dall’inizio, ove si fosse confrontato con la totalità dei fatti contestatigli dal Pubblico ministero. Diritto al silenzio e procedimento per l’illecito amministrativo di cui all’art. 75, comma 1, d.p.r. 9 [continua..]

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