Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Aumenti di pena per la continuazione e obblighi motivazionali: le Sezioni unite tra novità e conservazione (di Bartolomeo Romanelli, Assegnista di ricerca in Diritto processuale penale – Università degli Studi di Milano Bicocca)


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Le Sezioni unite, componendo un contrasto giurisprudenziale in materia di reato continuato, sanciscono l’obbligo di autonoma determinazione degli aumenti per ciascun reato satellite, con correlativo obbligo di autonoma motivazione, sia pure diversamente declinato a seconda della misura di pena irrogata. L’Autore illustra le ragioni a sostegno di una scomposizione dell’aumento per la continuazione, che conferma l’attenzione garantistica delle Sezioni unite, ritenendo, peraltro, preferibile superare il modello di motivazione a geometrie variabili proposto. Si evidenziano, altresì, le implicazioni inespresse nella sentenza in materia di individuazione della pena base e delle tecniche di aumento sanzionatorio.

Parole chiave: reato continuato – pena complessiva -  reato più grave – reato satellite – motivazione.

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Penalty increases for continued offences and duty to state reasons: the Joint Sections between innovation and traditionalism

The Joint Sections, composing a conflict in the case-law about continued offences, establish the obligation of autonomous determination of the increases for each satellite offense, with a correlative obligation of autonomous judgement’s reasoning, albeit differently declined depending on the measure of the penalty imposed. The Author illustrates the arguments supporting a separate identification of the increases, showing instead perplexities about the variable-geometry judgement’s reasoning proposed by the Joint Sections. Furthermore, the ruling does not analyze the possible consequences of the principles stated on the traditional jurisprudential assumptions about identification and increase of the the basic penalty.

Reato continuato e criteri per la determinazione della pena MASSIMA: In tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite. (La Corte ha precisato che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 c.p. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene). PROVVEDIMENTO: [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 25 maggio 2020, la Corte di Appello di Roma ha parzialmente riformato la pronuncia emessa all’esito di giudizio abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma nei confronti di (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis) e (Omissis), i quali erano stati ritenuti tutti responsabili di reati in materia di sostanze stupefacenti e (Omissis) anche di reati in materia di armi. In particolare, per quel che qui rileva, (Omissis) era stato giudicato responsabile della cessione illecita di alcune dosi di sostanza stupefacente a (Omissis), per un valore di 450 Euro, ritenuta integrare il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, (capo 2), di tre cessioni di sostanza stupefacente del tipo cocaina a L.N., qualificate alla stregua del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, (capo 3), del concorso nella illecita detenzione di 1,335 chilogrammi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, qualificata alla stregua dell’art. 110 c.p., e art. 73, commi 1 e 6, T.U. Stup. (capo 7), del concorso nella cessione di alcune dosi di sostanza stupefacente del tipo cocaina a (Omissis), qualificata alla stregua dell’art. 110 c.p., e art. 73, comma 5, T.U. Stup. (capo 12) e del reato di cui all’art. 110 c.p., L. n. 895 del 1967, artt. 2,4 e 7, in relazione al concorso nella detenzione e nel porto illegali di una pistola (capo 5), per i quali era stato condannato alla pena complessiva di cinque anni e quattro mesi di reclusione e 30.000,00 Euro di multa, determinata riconoscendo il vincolo della continuazione tra tutti i reati. (Omissis) era stato ritenuto responsabile di concorso nella cessione illecita di sostanza stupefacente del tipo cocaina (art. 110 c.p., e art. 73, comma 1, T.U. Stup.) ed era stato condannato alla pena di quattro anni di reclusione e 20.000,00 Euro di multa. La Corte di appello ha confermato integralmente l’affermazione di responsabilità penale dei predetti imputati ed ha rideterminato la pena inflitta a (Omissis) e a (Omissis), avendo riconosciuto al primo la continuazione tra i delitti oggetto del presente procedimento e quelli [continua..]

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SOMMARIO:

1. Considerazioni introduttive - 2. Il caso concreto e la riformulazione del quesito devoluto - 3. L’indicazione separata degli aumenti per la continuazione: il dato normativo e gli insegnamenti nomofilattici - 4. la visione multifocale del reato continuato: risultati acquisiti e profili in ombra - 5. Le conseguenze della violazione dell’art. 533, comma 2, c.p.p. - 6. L’obbligo di specifica motivazione sugli aumenti in continuazione fra diritto penale e processo - 7. Obblighi motivazionali a geometria variabile? - 8. Mancata specificazione degli aumenti per la continuazione e interesse al ricorso - 9. Continuazione fra reati sub iudice e reati definitivamente giudicati: individuazione della fattispecie più grave - 10. Conclusioni - NOTE


1. Considerazioni introduttive

Le Sezioni Unite intervengono nuovamente sulla disciplina «senza pace» della continuazione [1], soffermandosi sulle modalità di indicazione (unitaria o separata) degli aumenti di pena in caso di pluralità dei reati satellite, nonché sui correlativi oneri motivazionali [2]. La tematica è affrontata mediante ampi richiami a principi già desumibili dai precedenti delle Sezioni Unite, ora elevati a principio di diritto [3]. Il che testimonia le pregresse difficoltà nell’orientare la prassi giurisprudenziale, anche delle sezioni semplici della Cassazione. La pronuncia addiviene a soluzioni condivisibili, di cui merita approfondire i riflessi (rimasti in ombra) su di ulteriori assunti tralatici della giurisprudenza di legittimità. Ne risulta un rafforzamento dei doveri motivazionali in punto pena [4], che tuttavia il Supremo Collegio non porta a pieno compimento, circoscrivendo la portata dei propri dicta.


2. Il caso concreto e la riformulazione del quesito devoluto

L’occasione per l’intervento delle Sezioni Unite è stata offerta da un procedimento per plurime cessioni di stupefacenti e un reato in materia di armi, in cui il giudice di appello riconosceva a due imputati la continuazione con altri delitti già irrevocabilmente giudicati. Per l’effetto, assunta a base la pena inflitta con la sentenza definitiva, la Corte d’appello irrogava un unitario aumento per i reati sub iudice. Investita del ricorso, la seconda sezione della Cassazione ha sollecitato le Sezioni unite a chiarire «[s]e, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base per tale reato, debba anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite o possa determinarlo unitariamente» [5]. Il Supremo Collegio, nella sua più autorevole composizione, ha ridefinito in limine il quesito sottopostogli, scindendolo in due distinti profili «non coincidenti» ancorché «connessi». In particolare, ci si chiede «a) se in caso di reato continuato il giudice debba stabilire (e quindi evidenziare), oltre che la pena per il reato più grave, quelle relative ai singoli reati-satellite o se possa stabilire ed indicare un unitario [aumento]; b) se, nel primo caso, l’obbligo di motivazione richieda di giustificare l’entità di ciascun aumento». La scomposizione del problema non è casuale nell’economia della decisione, mirando piuttosto a consentire un diverso spessore motivazionale a seconda dell’entità della pena irrogata [6].


3. L’indicazione separata degli aumenti per la continuazione: il dato normativo e gli insegnamenti nomofilattici

Quanto al primo profilo, la Corte individua due orientamenti in conflitto nella giurisprudenza delle sezioni semplici. Per un indirizzo maturato sotto il vigore del codice abrogato [7], e riproposto anche di recente [8], il giudice non ha l’obbligo – ma al più la facoltà [9] – di determinare i singoli aumenti di pena, essendo sufficiente un aumento forfettario della pena base. A sostegno, si adduce da un lato la mancanza di un espressa previsione di legge in senso diverso, e dall’altro l’unitarietà del reato continuato, con conseguente irrogazione di una pena unica. Per un’opposta tesi, l’applicazione della continuazione nel giudizio di cognizione [10] e in fase esecutiva [11] impone la separata indicazione dell’aumento di pena per ciascun reato satellite. Quest’ultima è la soluzione accolta dalle Sezioni unite, che vi rinvengono anzitutto conferma nella disciplina processuale. A supporto, in una prospettiva storica, si invoca l’art. 483, comma 2, c.p.p. 1930, secondo cui «[i]l giudice, quando con la stessa sentenza pronuncia condanna per più reati, stabilisce la pena incorsa per ciascuno di essi, e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene». L’argomento trova solo parziale conforto nella dottrina coeva [12], fra cui non mancavano autorevoli opinioni inclini a ritenere superflua financo l’individuazione esatta del numero dei reati in continuazione [13]. A sostegno, la sentenza in commento richiama due arresti delle sezioni unite [14]. Entrambi prescrivevano l’indicazione in sentenza – a pena di nullità per mancanza di motivazione (art. 475, comma 1, n. 3 c.p.p. 1930) – delle pene che si sarebbero applicate in difetto di continuazione [15]: regola volta a consentire il controllo del non superamento del cumulo materiale (art. 81, comma 3, c.p.) nonché, secondo autorevole dottrina, a determinare la stessa pena base per l’aumento [16]. Mutata la disciplina processuale, la soluzione troverebbe conforto nell’art. 533, comma 2, c.p.p., norma «di piana lettura» che impone al giudice di «individuare in modo distinto e specifico le pene che ritiene congrue per ciascuno dei reati avvinti dal nesso di continuazione» [17]. Su queste basi, le sezioni unite [continua ..]


4. la visione multifocale del reato continuato: risultati acquisiti e profili in ombra

A supporto della indicazione separata degli aumenti, la sentenza in commento evoca poi un argomento di diritto sostanziale, strettamente correlato alla scindibilità del cumulo giuridico. La determinazione forfettaria della pena non potrebbe fondarsi sulla «interpretazione del reato continuato come ente unitario», ormai «affermata in modo tralaticio», senza un adeguato confronto con il dato normativo e giurisprudenziale [44]. La tesi della continuazione come unità reale [45] o unità legale inscindibile [46] – già in passato criticata in favore di un’unità fittizia a limitati fini [47] – è stata infatti definitivamente superata all’esito del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, conv. in l. 7 giugno 1974, n. 220. In questo senso, la pronuncia – richiamando le motivazioni delle sezioni unite Chiodi [48] – valorizza fra l’altro la soppressione all’art. 81, comma 3, c.p. dell’inciso per cui «le diverse violazioni si considerano come un solo reato». Di qui il superamento, nell’evoluzione dottrinale [49] e pretoria [50], della contrapposizione fra unità reale o fittizia, in favore di una visione pluralistica o multifocale del reato continuato. In altri termini, la sua considerazione unitaria può essere sancita da apposita norma di legge [51] o, in difetto, essere desunta da ragioni di favor rei [52]: altrimenti, «vige e opera la considerazione della pluralità dei reati nella loro autonomia e distinzione, che, pertanto, costituisce la regola» [53]. Da queste coordinate teoriche, la pronuncia in commento ricava l’impossibilità di estendere gli effetti dell’unitarietà del reato continuato oltre le «modalità di calcolo della pena per il reato continuato (ovvero il metodo della progressione per moltiplicazione della pena base)». Richiamando le sezioni unite Sebbar e Giglia [54], si afferma cioè che l’unificazione delle pene non può importare la perdita di autonomia del reato satellite in punto di incidenza ponderale sull’aumento, che va quindi specificata in sentenza. L’intento di evitare rotture traumatiche con la propria giurisprudenza porta peraltro le sezioni unite a trascurare la difficile compatibilità dell’indicazione separata delle pene per ciascun [continua ..]


5. Le conseguenze della violazione dell’art. 533, comma 2, c.p.p.

Ricostruita la portata dell’art. 533, comma 2, c.p.p., la sentenza in commento non approfondisce le conseguenze della sua eventuale violazione. Con un cursorio rinvio a precedenti obiter delle Sezioni unite [60], ci si limita a escludere che la disposizione sia «sorvegliata da una qualche sanzione processuale» [61]: pertanto, il suo mancato rispetto può al più assurgere a indice sintomatico di un vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. [62]. Con maggiore sviluppo argomentativo, la giurisprudenza delle sezioni semplici esclude del resto l’operatività di una nullità speciale o la riconducibilità dell’ipotesi in esame all’art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. [63]. Si trascurano così le potenzialità dell’art. 125, comma 3, c.p.p. in combinato disposto con gli artt. 533 c.p.p., 546, comma 1, lett. e), c.p.p. e 132 c.p. [64]. In questa prospettiva, dovrebbe ravvisarsi la nullità della sentenza per assenza di motivazione [65], nel caso in cui le porzioni riferite a ciascun satellite non siano individuabili nemmeno a ritroso, essendo mancata anche la determinazione della pena ipoteticamente applicabile in difetto di continuazione. In questa ipotesi – seppure la distinzione non incida sulla deducibilità in cassazione della censura [66] – si produce cioè a valle una radicale «mancanza di giustificazione decisoria» in punto pena, da tenere distinta dal «deficit … di natura logica» [67] dell’apparato argomentativo a sostegno di un’indicazione effettivamente avvenuta, riconducibile invece all’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. Ove poi la determinazione forfettaria dell’aumento abbia comportato l’inosservanza della regola dettata dalle Sezioni unite Giglia in materia di pene eterogenee, la censura è deducibile anche ex art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p.


6. L’obbligo di specifica motivazione sugli aumenti in continuazione fra diritto penale e processo

Nel definire lo spessore motivazionale sugli aumenti richiesto al giudice di merito – oggetto della seconda parte del quesito – le Sezioni unite individuano nella giurisprudenza di legittimità tre orientamenti in contrasto. Per il primo, una congrua motivazione sulla pena base esenta da uno specifico sforzo argomentativo sulla misura dell’aumento, da ritenersi fondata sugli stessi criteri [68], e dunque sorretta da una motivazione implicita. Per il secondo, è richiesta invece un’autonoma motivazione per ciascun aumento [69]. Una tesi intermedia si accontenta, per il solo caso di aumenti contenuti, della motivazione sulla pena base [70] o di un generico richiamo ai criteri ex art. 133 c.p. [71]. La sentenza in commento afferma condivisibilmente che «il primo orientamento non trova adeguata giustificazione giuridica», sancendo in linea di principio l’autonomia della motivazione per ogni aumento [72]. A sostegno, basterebbe rilevare che l’art. 546, comma 1, lett. e), c.p.p. impone di motivare sulla determinazione della pena secondo le modalità stabilite dall’art. 533, comma 2, c.p.p. Avendo le Sezioni unite ricavato da quest’ultima disposizione l’obbligo di separata determinazione degli aumenti, ne discende anche un obbligo di separata motivazione. Il «principio di completezza» di quest’ultima [73] impone cioè a rigore una giustificazione delle scansioni prescritte nell’irrogazione della pena, anche mediante rinvio esplicito o implicito alle valutazioni sulla gravità del reato e la capacità a delinquere svolte nell’affermazione di responsabilità [74] per il singolo satellite. Un’implicita giustificazione del quantum di aumento non è invece ricavabile dagli argomenti a sostegno della determinazione della pena base [75]. Invero, nell’elaborazione dottrinale [76] e pretoria [77], si ha motivazione implicita allorché le ragioni per la soluzione di una questione siano logicamente contenute negli argomenti impiegati per un’altra questione avente natura pregiudiziale. Se così è, le valutazioni sulla gravità oggettiva e soggettiva di un reato (art. 133, comma 1, c.p.) – nonché quantomeno sui profili della capacità a delinquere inerenti alla condotta post factum (art. 133, comma 2, n. 3, c.p.) [continua ..]


7. Obblighi motivazionali a geometria variabile?

La chiarezza delle conclusioni è indebolita dalla successiva precisazione per cui «l’obbligo motivazionale richiede modalità di adempimento diverse a seconda dei casi», come comprovato «dall’ampia giurisprudenza formatasi in materia di vizio di motivazione relativo alle statuizioni concernenti il trattamento sanzionatorio» [83]. Il richiamo è agli orientamenti pretori – acriticamente accostati – secondo cui sarebbe sufficiente un generico richiamo ai criteri ex art. 133 c.p., o all’adeguatezza della pena, ove questa sia irrogata in misura prossima al minimo [84] o inferiore alla media edittale [85]. L’assunto, trasposto nel settore della continuazione, conduce le Sezioni unite ad una sostanziale adesione al terzo fra gli orientamenti contrastanti in materia di motivazione sugli aumenti. Si richiama sul punto un’argomentata pronuncia a sezioni semplici secondo cui, ove l’aumento sia irrogato in misura notevolmente inferiore al minimo edittale del satellite, «l’obbligo motivazionale si riduce», facendosi invece più stringente «qualora la pena coincida con il minimo edittale della fattispecie o addirittura lo superi» [86]. In quest’ottica, l’associazione di una pena base nel minimo edittale e di un aumento esiguo escluderebbe abusi del potere di commisurazione, dimostrando implicitamente la valutazione della gravità oggettiva e soggettiva del reato. Per converso, sarebbe affetta da «sospetta irragionevolezza», con conseguente onere di motivazione rafforzata, la decisione che affianchi ad una pena base minima un aumento significativo, venendo meno il «criterio di proporzionalità reciproca» tra reati [87]. Pur non potendosi individuare in una «soglia precisa» il dovere motivazionale del giudice di merito [88], si afferma in sintesi che non necessita di «una motivazione particolarmente specifica» la determinazione della pena base tra il minimo e la media edittale [89]. Dal canto suo, la motivazione sull’aumento deve garantire «che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen.; che non sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene; che sia stato rispettato, ove ravvisabile, il rapporto di proporzione tra le pene, riflesso anche della relazione interna tra gli illeciti [continua ..]


8. Mancata specificazione degli aumenti per la continuazione e interesse al ricorso

Così risolte le questioni devolute, le Sezioni unite ritengono di doversi confrontare anche con il «rivo giurisprudenziale» secondo cui il ricorso per cassazione avverso l’omessa determinazione separata degli aumenti è ammissibile purché sia dedotto un interesse concreto e attuale [102]. Sul punto, si afferma la condivisibilità dell’orientamento allorché «la censura si concreti nella sola doglianza della mancata indicazione dei singoli aumenti di pena», a fronte di una «implicita o esplicita acquiescenza alla pena come determinata nel suo complesso» [103]. Viceversa, ove il rilievo sia «strumentale alla contestazione dell’assenza della motivazione … a sostegno del giudizio di congruità della pena, o della sua contraddittorietà o manifesta illogicità», è superflua l’esplicitazione dell’interesse al ricorso, teso alla determinazione di un trattamento sanzionatorio più favorevole [104]. Il sintetico richiamo a un possibile fenomeno di acquiescenza non trova luce nel precedente richiamato in via esemplificativa [105], ove in realtà l’imputato si doleva (anche) della mancata irrogazione della pena nel minimo. Ad ogni modo – sulla scorta della riconduzione della tematica al vizio di motivazione – la sentenza in commento sembra suggerire la necessità di dedurre in ricorso l’incidenza dell’omessa indicazione separata degli aumenti sulla congruità della pena complessivamente irrogata. Diversamente, sarebbe veicolato l’interesse a una decisione «teoricamente corretta», ma non anche «praticamente favorevole» [106]. L’assunto – allorché il ricorrente non possa apprezzare il peso ponderale di ciascun satellite [107] – segna peraltro un ritorno ad una considerazione sostanzialmente unitaria della pena per il reato continuato e della relativa motivazione, in contrasto con le premesse della pronuncia. È appena il caso di osservare che la ricostruzione delle Sezioni unite non sarebbe sostenibile ove la determinazione puramente forfettaria della pena per la continuazione fosse ricondotta alla nullità ex art. 125, comma 3, c.p.p. In questa prospettiva, infatti, non sarebbe configurabile né l’onere per il ricorrente di confrontarsi con un apparato [continua ..]


9. Continuazione fra reati sub iudice e reati definitivamente giudicati: individuazione della fattispecie più grave

In chiusura, le Sezioni unite si confrontano con l’applicazione della continuazione tra reati definitivamente giudicati e reati ancora sub iudice, oggetto del caso di specie. Al riguardo, si evidenzia un contrasto nella giurisprudenza di legittimità quanto al criterio di individuazione del reato più grave, prodromica alla determinazione della pena base. Secondo un primo orientamento, occorre pur sempre aver riguardo alla maggior gravità astratta [110], in applicazione di un canone ritenuto generale dalle sezioni unite [111]. Sicché – ferma la maggior gravità dei delitti rispetto alle contravvenzioni – l’attenzione deve appuntarsi sulla cornice edittale dei reati in continuazione, tenuto conto del corredo circostanziale e del relativo giudizio di valenza, applicandosi nel minimo la riduzione per le attenuanti e nel massimo l’aumento per le aggravanti [112]. A supporto, si valorizza il richiamo dell’art. 81, comma 1, c.p. alla «violazione più grave», in chiave di salvaguardia delle valutazioni del legislatore, nonché la ritenuta eccezionalità dell’art. 187 norme att. c.p.p., che limita alla fase esecutiva l’assunzione a base della pena concretamente più grave. Per un secondo filone giurisprudenziale, l’esistenza di un giudicato sulla pena impone invece una deroga al criterio della maggior gravità astratta, con conseguente comparazione tra la pena definitivamente inflitta e la pena ipoteticamente da irrogare per il reato sub iudice, in applicazione analogica della regola dettata dagli artt. 671 c.p.p. e 187 norme att. c.p.p. Tanto al fine di «rapportare grandezze omogenee» e «rispettare le valutazioni in punto di determinazione della pena» espresse nella sentenza definitiva [113]. L’alternativa non è sciolta dalle Sezioni unite, che si limitano a sancire l’obbligo per il giudice della cognizione, «quale che sia l’interpretazione preferibile», di «indicare esplicitamente le grandezze in considerazione, onde assicurare il controllo sull’osservanza della regola adottata» [114]. Viceversa, la sentenza impugnata non aveva dato atto del criterio prescelto, né aveva determinato le porzioni di aumento riferibili a ciascun satellite: di qui, l’annullamento con rinvio limitatamente al trattamento [continua ..]


10. Conclusioni

L’analisi della pronuncia restituisce un quadro chiaroscurale. Ad una netta presa di posizione in favore della determinazione separata degli aumenti si accompagna un approccio conservativo in tema di motivazione sulla pena, verosimilmente anche ai fini di un contenimento dei ricorsi di legittimità [119]. Né – dopo aver enfatizzato la portata sistematica dell’art. 533, comma 2, c.p.p. – se ne traggono le debite conseguenze anche in punto di tecniche di aumento e individuazione del reato più grave. La sentenza in commento non va però inquadrata isolatamente, costituendo l’ultima tappa di un apprezzabile trend di specificazione dei doveri del giudice nell’applicazione dell’art. 81 c.p. Oltre ai profili già menzionati, basti ricordare i recenti sviluppi in tema di medesimezza del disegno criminoso [120], diminuzione della pena per il rito abbreviato [121], divieto di reformatio in peius [122], aumento minimo per i recidivi reiterati [123], limiti alla misura degli aumenti in executivis [124]. Ne emerge uno statuto pretorio della continuazione, di impronta garantistica [125], che incrementa i doveri motivazionali del giudice, oltre a garantire (auspicabilmente) certezza nell’applicazione del diritto [126]. Il che restituisce un ruolo centrale alle Sezioni unite nella materia in esame, a superamento di un’inerzia autorevolmente stigmatizzata in passato [127].


NOTE