Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Impugnativa erroneamente proposta e limiti alla “conversione” (di Annalisa Mangiaracina, Professore Associato di Diritto processuale penale, Dipartimento di Giurisprudenza – Università degli Studi di Palermo)


La conversione, qui declinata sub specie di corretta qualificazione dell’atto di impugnazione, vive una stagione giurisprudenziale ondivaga. A fronte di alcuni punti fermi – l’inapplicabilità dell’istituto ai gravami eterogenei – si collocano profonde incertezze, destinate a incrinare il principio del favor impugnationis. Inevitabili le ricadute sull’effettività del sistema dei controlli.

Parole chiave: impugnazioni – conversione – riqualificazione - limiti.

Erroneous Incorrect appellate eal remedies and limits of the “convertion” process

Conversion, here considered sub specie of the correct qualification of the appeal, is going through a period of uncertain case law. Beside some standpoints – its napplicability to heterogeneous appeals – there still remain deep uncertainties, which can undermine the principle of favor impugnationis, with an inevitable negative impact on the effectiveness of the system of criminal remedies.

SOMMARIO:

1. La conversione: un istituto polimorfo - 2. Riqualificazione dell’atto e voluntas impugnationis - 3. Impugnazioni cautelari e “conversione”: ancora incertezze - 4. I limiti alla riqualificazione: la natura impugnatoria - NOTE


1. La conversione: un istituto polimorfo

Esplorare la conversione nelle sue molteplici cromie, declinarne i limiti in rapporto alle vicende correlate alle dinamiche dei controlli, non sono compiti agevoli, soprattutto a fronte di un quadro normativo articolato [1]. Da qui la necessità, anzitutto, di tracciare delle coordinate sul piano semantico. Nel­l’ampia fenomenologia della conversione – termine invalso nel linguaggio civilistico per indicare «la trasformazione o l’evoluzione di una fattispecie particolare in una fattispecie diversa o ulteriore, in vista del conseguimento di un effetto speciale non consentito dalla fattispecie originaria» [2] – è possibile rinvenire previsioni normative del tutto eterogenee. Tali sono gli artt. 568, comma 5, 569, commi 2 e 3, e 580 c.p.p., accomunati dalla collocazione tra le disposizioni generali sulle impugnazioni, seppure il termine “conversione” compaia soltanto nella rubrica dell’art. 580 c.p.p. In questo quadro si innesta un recente intervento della giurisprudenza di legittimità [3] che, in linea con precedenti pronunce, ha sottolineato come di conversione «in senso tecnico» si possa parlare soltanto nelle seguenti ipotesi. Anzitutto, qualora avverso uno stesso provvedimento concorrano distinti rimedi di natura impugnatoria, come avviene nell’ambito dell’art. 580 c.p.p., con la conseguente conversione ope legis dell’impugnazione di legittimità in quella di merito. Inoltre, nel caso prefigurato dal­l’art. 569, comma 2, c.p.p., che segna la conversione dell’appello in ricorso – stavolta su impulso della parte – a fronte della rinuncia al primo, effettuata entro quindici giorni dalla notifica del ricorso in cassazione delle altre parti che hanno proposto tale impugnazione, con possibilità di integrare i motivi di legittimità. Infine, quando si converta in appello il ricorso immediato per cassazione con il quale siano state dedotte censure non rientranti tra i motivi che lo legittimano, perché attinenti alla mancata assunzione di una prova decisiva o all’assenza o manifesta illogicità della motivazione, ex art. 569, comma 3, c.p.p. [4]. A ben vedere, quest’ultimo caso, ancorché sia stata collocato nel genus della conversione c.d. tecnica, presenta elementi che lo distinguono dagli altri. Sul piano strutturale, infatti, questo presuppone [continua ..]


2. Riqualificazione dell’atto e voluntas impugnationis

Rispetto al primo tra i profili evidenziati, che attiene ai limiti del potere giurisdizionale – rifuggendo dalle disquisizioni “introspettive” portate avanti dalla giurisprudenza di legittimità pur dopo la formulazione dell’art. 568, comma 5, c.p.p. [19] – le Sezioni Unite [20] avevano tracciato alcune linee di fondo. In particolare, avevano sottolineato l’ininfluenza delle ragioni che abbiano determinato l’in­di­cazione di un mezzo diverso da quello (ed unico) consentito dall’ordinamento e della sufficienza di una dichiarazione di volontà, proveniente dalla parte legittimata, volta ad impedire che un determinato provvedimento giurisdizionale diventi irrevocabile. Nello specifico, secondo la Corte – anche alla luce delle indicazioni offerte dalla Relazione preliminare al codice [21] – a fronte di un’impugnazione erroneamente qualificata il giudice deve limitarsi «a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l’esistenza di una voluntas impugnationis, consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale». Sicché, «di fronte al chiaro dato letterale della norma in vigore (…), non v’è più spazio per soluzioni ermeneutiche impostate in termini di “interno volere” dell’impugnante (la cui prova, peraltro, sarebbe diabolica se non impossibile)» [22]. Pertanto, si deve avere riguardo esclusivamente alla «volontà del soggetto di sottoporre a sindacato la decisione impugnata, ritenuta ingiusta (c.d. volontà oggettiva), senza attribuire alcun rilievo all’errore che potrebbe verificarsi nel momento della manifestazione di volontà o anche alla deliberata scelta – in verità assai poco realistica – di proporre un mezzo di gravame diverso da quello prescritto». Conseguentemente, la «constatazione di una impugnazione comunque proposta impone espressamente come doverosa per l’adito giudice incompetente la trasmissione tout court degli atti a quello competente». Quest’ultimo, infatti, è il solo ad essere investito del potere di valutare preliminarmente l’ammis­si­bilità del gravame e quindi la fondatezza o meno dello stesso» [23]. Una chiave di lettura, come è stato [continua ..]


3. Impugnazioni cautelari e “conversione”: ancora incertezze

Se ci spostiamo sul versante dei rapporti tra impugnazioni cautelari – ambito nel quale, salvo diversa previsione, si applicano le regole generali sulle impugnazioni – e conversione atecnica, i dubbi aumentano. Come è noto, contro le ordinanze impositive della misura coercitiva, il solo imputato [31], per espressa previsione normativa, in alternativa al riesame potrà proporre ricorso per saltum dal quale consegue l’inammissibilità della richiesta di riesame, sebbene già presentata, indipendentemente dalle sorti connesse al ricorso [32]. Disciplina congegnata in ossequio al principio per cui electa una via, non datur recursus ad alteram. In questo assetto è stata colta un’opzione di favore, soprattutto nella «prospettiva della funzione deterrente che una simile procedura per saltum potrà esercitare rispetto ad atteggiamenti troppo lassisti, o disinvolti, del giudice in sede di motivazione dei provvedimenti coercitivi» [33], in ragione del conseguente annullamento della misura in caso di accoglimento del ricorso. Occorre infatti evidenziare che con il ricorso per saltum l’imputato può denunciare direttamente il vizio della “violazione di legge” (art. 311, comma 2, c.p.p.). Terminologia che non ha mancato di ingenerare dubbi sul piano esegetico in ordine all’ampiezza dei motivi che posso essere dedotti in questa sede [34]. A tale riguardo si è osservato [35] come il difetto dell’apparato argomentativo o la motivazione meramente apparente sono vizi riconducibili all’inosservanza di norme processuali ex art. 606, comma 1, lett. c, c.p.p. Pertanto, attraverso il ricorso per saltum si possono dedurre, oltre agli errores in iudicando e in procedendo, anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice [36]. Qualora il ricorso diretto sia stato invece proposto per denunciare vizi della motivazione diversi dalla “apparenza” – come quello della illogicità che, se accolto, imporrebbe l’annullamento con rinvio del­l’ordinanza impugnata – al fine di salvarlo dalla sanzione dell’inammissibilità, si [continua ..]


4. I limiti alla riqualificazione: la natura impugnatoria

Negli snodi dei rapporti tra impugnazione erroneamente proposta e conversione, è opportuno indagare un’ulteriore questione: se la regola dettata all’art. 568, comma 5, c.p.p. esaurisca il suo raggio d’azione nell’ambito delle impugnazioni o, piuttosto, possa estendersi agli scambi tra gravami non omogenei. L’occasione per approfondire questo profilo è offerta dalla già richiamata pronuncia delle Sezioni Unite [41] che, nell’escludere la possibilità di qualificare l’incidente d’esecuzione ex art. 670 c.p.p. come rescissione del giudicato, ai sensi dell’art. 629 bis c.p.p., ha circoscritto l’applicabilità della regola di cui all’art. 568, comma 5, c.p.p. alle sole impugnazioni. Ad analoghe conclusioni era già pervenuta parte della giurisprudenza in ordine alla impossibilità di qualificare l’istanza di restituzione in termini, ai sensi dell’art. 175 c.p.p., come richiesta di rescissione del giudicato. Due le “premesse” [42] del ragionamento: quella “maggiore”, secondo cui il principio di conservazione è riservato alle impugnazioni e la disciplina va intesa come tassativa; quella “minore”, fondata sul­l’esclusione di natura d’impugnativa all’incidente d’esecuzione, pur condividendo con queste la contestazione della decisione giudiziale. La diversità ontologica dei rimedi considerati era stata già segnalata anche rispetto alla mancata conversione della restituzione in termini che, «pur declinandosi quale rimedio contro il provvedimento conclusivo al fine della proposizione della impugnazione, non è solo a ciò funzionale e non costituisce un rimedio impugnatorio, essendo pacifica la sua natura di rimedio eccezionale in rapporto a situazioni in cui un impedimento abbia determinato l’estinzione di un potere». È da domandarsi se questo filone interpretativo, anche dopo la presa di posizione del massimo organo nomofilattico, non disveli dei chiaroscuri [43]. Non mancavano, infatti, decisioni di segno opposto con le quali, previa riqualificazione del ricorso per cassazione in rescissione del giudicato, si era poi proceduto alla “conversione” in incidente d’esecuzione [44]. Nella costruzione giurisprudenziale venivano invocati il principio generale di conservazione degli atti [continua ..]


NOTE