Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Corte costituzionale (di Chiara Rosa Blefari)


Legittimità costituzionale dell’applicazione dell’art. 41 bis, commi 2 e 2 quater, l. n. 354/1975 agli internati nelle case-lavoro.

(C. cost., sent. 21 settembre 2021, n. 197)

Con la pronuncia in questione la Corte costituzionale ha affrontato il tema della presunta incostituzionalità dell’art. 41 bis, commi 2 e 2 quater, l. 26 luglio 1975, n. 354, (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), in riferimento agli artt. 3, 25, 27, 111 e 117, comma 1, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui consente la sospensione delle normali regole di trattamento per gli internati nelle case lavoro, con applicazione obbligatoria, nei loro confronti, delle misure di restrizione e controllo.

continua

Più esattamente, la vicenda originava da taluni dubbi di costituzionalità sollevati dalla Corte di cassazione, in qualità di giudice rimettente, con riferimento alla possibilità di applicare le speciali restrizioni in discussione anche agli internati in una casa-lavoro: tali restrizioni escludendo o fortemente limitando il perseguimento degli obiettivi trattamentali tipici della misura di sicurezza detentiva, avrebbero dato luogo ad un trattamento sostanzialmente punitivo; vi sarebbe stata, cioè, l’applicazione di una sanzione in assenza di un corrispondente titolo di condanna, con modalità esecutive prive di valenza rieducativa e con durata indeterminata. Secondo il giudice rimettente sarebbero state, altresì, snaturate le sostanziali differenze tra pene e misure di sicurezza, assistendosi ad una vera e propria omologazione di due istituti aventi, in realtà, funzioni e scopi differenti: le misure di sicurezza, infatti, sono caratterizzate da una prevalente finalizzazione rieducativa a differenza della pena, connotata da una indiscussa finalità retributiva. Nei casi di applicazione dell’art. 41 bis ord. penit., invece, il trattamento dei destinatari di misura di sicurezza verrebbe ad essere identico a quello riservato ai condannati, sia riguardo al regime della vita intramuraria, sia con riferimento alla fruizione di benefici e trattamenti risocializzanti. Proprio una siffatta equiparazione avrebbe costituito, ad avviso del giudice di legittimità, ragione di illegittimità costituzionale della disciplina censurata. Il limite della “costituzionalità” sarebbe stato, quindi, superato dalla contemporanea applicazione dei due istituti nei confronti della stessa persona, posto che la misura di sicurezza esplicata in regime differenziale avrebbe vanificato ogni possibilità di recupero sociale dell’interessato (escludendolo ad esempio dall’accesso alla semilibertà, normalmente possibile per gli internati) e si sarebbe trasformata, di conseguenza, in una pena priva di termine finale (salvo il limite generale di durata massima). Vi sarebbe stato, poi un ulteriore profilo di incostituzionalità: il trattamento regolato dall’art. 41 bis ord. penit. avrebbe inciso sulla qualità del regime esecutivo concernente il detenuto ristretto in esecuzione della pena, ma non sulla relativa durata, che è quella stabilita dal giudice della cognizione in proporzione alla gravità del fatto, e salve le diminuzioni connesse al beneficio della liberazione anticipata; lo stesso non si sarebbe potuto dire per l’internato che, nel periodico riesame della propria pericolosità, ex art. 208 c.p., non avrebbe potuto valersi delle valutazioni (eventualmente) positive connesse agli specifici istituti trattamentali, e vedendo così cristallizzarsi le premesse per un prolungamento a tempo [continua..]

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Fascicolo 2 - 2022