Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Contrasto di giudicati e confisca di prevenzione nella ermeneutica della “nuova” revocazione antimafia (di Mario Griffo, Ricercatore di Diritto processuale penale Università del Sannio)


Il giudice della prevenzione non può prescindere dagli esiti del giudizio di cognizione, soprattutto laddove i due accertamenti abbiano ad oggetto i medesimi “fatti”. Da tanto la imprescindibilità della indagine in ordine ai rapporti intercorrenti tra confisca di prevenzione e confisca “ordinaria”, avuto specifico riguardo per la possibile revocazione della prima per sopravvenuto contrasto di giudicati.

Contrast of judged and confiscation of prevention in the hermeneutics of the

The prevention judge cannot disregard the results of the cognitive judgment, and this above all where the two assessments concern the same "facts". This has given rise to the indispensability of the investigation in relation to the relationships between preventive confiscation and “ordinary” confiscation, especially as regards the possible revocation of the first due to a conflict of judgments.

SOMMARIO:

1. Le connotazioni para-sociologiche delle tipologie preventive - 2. Lo spunto di indagine - 3. Il provvedimento di prevenzione: tra “procedimento” e “pre-procedimento” - 4. Misure rebus sic stantibus, costantemente rivedibili - 5. Una ermeneutica innovativa in tema di “contrasto di giudicati” - 6. Le condizioni di procedibilità della azione di prevenzione - 7. Il rapporto di osmosi inversa tra procedimento di prevenzione ed accertamento penalistico - 8. Categorie del passato alle quali ancorare la soluzione di problematiche attuali - NOTE


1. Le connotazioni para-sociologiche delle tipologie preventive

Le misure di prevenzione, nate come misure di polizia, costituiscono istituti che, sotto l’etichetta della sicurezza, si connotano per procedure accertative distanti dalle metodologie probatorie proprie del dibattimento [1]. Così, quando si è tentato di distinguere la tipologia di condotte riconducibili nell’alveo delle misure di prevenzione si è fatto riferimento a stili di vita e metodiche comportamentali «che si collocano al di fuori degli ordinari schemi della civile convivenza e del sistema democratico». In tale direzione, sono state valorizzate «scelte esistenziali e sistematici comportamenti, antitetici alle regole del consorzio civile, ma pur essi orientati a logiche di profitto e di facile arricchimento» [2]. Ergo, si è ritenuto che il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione «è una condizione personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito» [3], laddove, invece, il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale. Sul fronte patrimoniale, poi, se la confisca ordinaria e quella allargata, nonché i corrispondenti “sequestri” esperibili nella fase “preliminare”, rinvengono il loro presupposto di legittimazione nella perpetrazione di un fatto-reato, nel caso delle misure di prevenzione esso è costituito dagli indizi, esplicativi della pericolosità del proposto. In tali evenienze prevale l’esigenza di aggredire i patrimoni di sospetta formazione illecita riconducibili a coloro i quali siano indiziati della già intervenuta commissione di un reato. Insomma, non si tratta tanto di prevenire futuri comportamenti antigiuridici da parte di classi di autori notoriamente poco sensibili ad interventi ‘correzionali’, quanto piuttosto di aggredire i proventi di una pregressa condotta illecita sulla scia di ben riconoscibili direttrici politico-criminali (‘il crimine non paga’) di ispirazione anche sovranazionale [4].


2. Lo spunto di indagine

Con recente decisione della Suprema corte, è stato enunciato il principio secondo il quale il giudice della prevenzione, in sede di verifica della pericolosità generica del soggetto proposto per l’applicazio­ne di misura ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b), d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, non può ritenere rilevanti “fatti” per i quali sia intervenuta sentenza definitiva di assoluzione, in quanto la negazione irrevocabile in sede penale di un determinato “fatto” impedisce di assumere quest’ultimo come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità [5]. Il principio è espressione di un orientamento affermato da diverse decisioni [6]. Le pronunce che hanno approfondito la tematica premettono, in via generale, che il più generale principio dell’autonomia del procedimento di prevenzione rispetto al procedimento penale, per quanto concerne il profilo della individuazione dei fatti costituenti presupposto per la prognosi di pericolosità, ha trovato specifica rilevanza in relazione alla contiguità mafiosa. Rappresentano, poi, che, mentre nel settore della contiguità mafiosa la descrizione della categoria criminologica (il soggetto indiziato di appartenenza all’organismo mafioso) tollera, per la sua diversità ontologica dalla prova della condotta partecipativa in senso pieno (art. 416-bis), la diversità di apprezzamento, nel settore della pericolosità “semplice” molto minore, per non dire assente, è la possibilità di porre in essere, sul piano interpretativo ed in rapporto alla mediata osservanza del principio di tassatività una simile operazione. Se la realizzazione del delitto, infatti, è esclusa in sede penale – e ciò sia in rapporto all’elemento materiale che a quello psicologico, non potendosi certo sostenere una sopravvivenza del disvalore di un delitto in assenza di dolo – manca uno dei presupposti su cui lo stesso legislatore articola la costruzione della fattispecie. Si è osservato, quindi, con particolare riferimento alla fattispecie di pericolosità di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lg. n. 159 del 2011 (riguardante «coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività [continua ..]


3. Il provvedimento di prevenzione: tra “procedimento” e “pre-procedimento”

La pronuncia di prevenzione, prendendo a prestito categorie dogmatiche di valore generale, costituisce atto a formazione progressiva [9]. Il problema fondamentale, però, attiene alla individuazione del momento in cui inizia la progressione causale che si conclude con la pronuncia giurisdizionale. Il fenomeno procedimentale, si sa, si radica non appena la patologia dell’ordinamento giuridico si realizza e termina non appena siano forniti i mezzi per la ricostituzione dell’ordine. L’inosservanza del precetto penale non determina il sorgere di posizioni soggettive di diritto sostanziale ma è semplicemente valutata dall’ordinamento come sua situazione negativa, come disordine, donde l’attivarsi dello stesso per ripristinare lo status giuridico violato [10] mettendo in moto un meccanismo rigenerativo che inizia immediatamente dopo la violazione. Nel caso del procedimento di prevenzione, tuttavia, l’ancoraggio è a dati sfuggenti in termini definitori ovvero di diritto penale “del fatto”, quali gli indizi di appartenenza ovvero la pericolosità sociale. Da ciò il risalto di istanze di politica criminale quale momento giustificativo di spinte accertative svincolate da condotte sussumibili entro una fattispecie delittuosa determinata. Il sistema penale moderno, in tal modo, si caratterizza per l’allontanamento dal suo punto di riferimento naturale, il soggetto responsabile dell’illecito penale, e per il crescente interesse per il patrimonio accumulato dal medesimo in maniera illecita. Da questa immagine emerge l’anima profonda del sistema penale contemporaneo: culmine di un processo evolutivo, originato dalla crisi di efficienza della giustizia penale, che pone al centro il ricorso a strumenti ablativi, in un’ottica essenzialmente punitiva e rivolta al fatto ed al passato. L’epilogo di questo percorso si rinviene in una giustizia penale concretamente efficiente che privilegia essenzialmente, oltre ed accanto a meccanismi lato sensu ristorativi o deflattivi del sistema, strumenti slegati da rigorosi parametri probatori e fondati sulla logica del sospetto, oltre che flessibili nella loro applicazione in quanto ancorati alle contingenze del momento. Così, la “giustizia preventiva” si connota per peculiarità strutturali non catalogabili entro gli ordinari binari della penalità “classica”; a [continua ..]


4. Misure rebus sic stantibus, costantemente rivedibili

Le misure di prevenzione sono geneticamente temporanee ed, in quanto tali, sempre revocabili o modificabili in funzione di elementi, preesistenti o sopravvenuti, incidenti sui presupposti della loro applicazione [11]. Il principio si estrinseca nel canone della modificabilità anche in fase successiva alla loro applicazione, in tal senso rivelandosi misure rebus sic stantibus. I pericula su cui fondano le misure di prevenzione sono soggetti ad evoluzione nel tempo: elementi che sono stati oggetto di un giudizio di pericolosità sociale possono essere rivalutati alla luce di nuovi dati, di fatto o di diritto, i quali possono condurre ad una modifica del giudizio di pericolosità sociale e ad un conseguente adattamento della misura in termini di attualità preventiva. Tale caratteristica distingue le misure di prevenzione dal campo prettamente sanzionatorio, nel quale si collocano le pene, le quali, invece, offrono una risposta punitiva a condotte illecite compiute da un soggetto nel passato, rappresentando la reazione dell’ordinamento alla violazione di un precetto per il quale è prevista una sanzione afflittivo/punitiva di tipo, per l’appunto, penalistico. Sicché, è (soltanto) nel campo delle sanzioni stricto sensu che si determina il fenomeno giuridico che va sotto il nome di res iudicata, incorporante in sé il profilo processuale della (tendenziale) stabilità della decisione e della irrevocabilità dell’accertamento che conduce all’applicazione di una pena. Sul fronte delle misure di prevenzione non si registra l’analogo fenomeno [12]. Ciò conduce, necessariamente, a dover considerare nel settore delle misure di prevenzione il novum (sia di fatto che di diritto) anche dopo la definitività del procedimento applicativo, quale elemento di valutazione o rivalutazione (ex nunc o ex tunc) della pericolosità sociale e dei suoi effetti limitativi dei diritti del soggetto inciso. Portando il ragionamento ad estreme conseguenze, una misura di prevenzione può essere revocata, ex tunc, anche dopo la sua espiazione: “è ammissibile l’istanza di revoca "ex tunc" della misura di prevenzione personale, nonostante la cessazione della esecuzione della stessa, sussistendo l’interesse del richiedente ad elidere tutti gli altri effetti negativi conseguenti alla pregressa applicazione della misura di prevenzione, [continua ..]


5. Una ermeneutica innovativa in tema di “contrasto di giudicati”

Il Giudice di legittimità, con pronunciamento del 2019, ha affermato che il sopravvenuto giudicato penale di assoluzione integra, automaticamente, la causa di revocazione di cui all’art. 28, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011 allorquando: “a) gli elementi di fatto esclusi dal giudicato costituiscono solo frazione minusvalente degli episodi storici valutati dal giudice della prevenzione” [14]. A tale decisione ha fatto seguito ulteriore arresto [15] a mente del quale “la revocazione ex art. 28, lett. b) d.lg. 6 settembre 2011, n. 159 consegue automaticamente alla intervenuta assoluzione quando il fatto escluso in sede penale sia esattamente lo stesso posto a fondamento del giudizio di pericolosità, non sussistendo altrimenti inconciliabilità di giudicati”. Infine, sempre nell’anno 2019 [16], si è puntualizzato come il Giudice della prevenzione non possa recuperare uno spazio di autonoma valutazione rispetto al giudicato penale in ragione della distinzione che può farsi tra i due diversi tipi di accertamento. In questa prospettiva, non viene contraddetto il principio per il quale, ai fini del giudizio di pericolosità, il giudice della prevenzione può prendere in esame circostanze di fatto che emergono da pronunce liberatorie, condizione che risulta fisiologicamente connessa alla mancanza di correlazione tra le misure di prevenzione e la consumazione di reati. Nella tracciata direzione si è posta anche la giurisprudenza di merito. Di peculiare risalto un pronunciamento di revoca della confisca di prevenzione disposta in primo grado, a seguito della intervenuta rivisitazione, in favor, della “confisca allargata” disposta ai sensi del­l’art. 12-sexies l. 3 luglio 1991, n. 306 [17]. A parere della Corte di Appello di Napoli, il rapporto tra misura cautelare reale e confisca adottata in sede di prevenzione si pone in termini di preclusione ogni qualvolta si ravvisi l’identità del decisum tra le stesse parti in ordine alla medesima questione di diritto o di fatto. E siffatta preclusione “si informa al principio del ne bis in idem il quale è, innanzi tutto, l’espressione della intrinseca razionalità che connota ogni ordinamento giuridico-processuale. Il processo, quale sequela di atti preordinati alla decisione, postula invero che, una volta che sia intervenuta [continua ..]


6. Le condizioni di procedibilità della azione di prevenzione

È merito di una decisione del 2018 della Corte di cassazione – che sul punto ha ripreso un decisivo passaggio di una nota sentenza delle Sezioni Unite [22] – avere qualificato il problema delle interferenze tra giudizio penale e giudizio di prevenzione nei termini di questione ineludibile. Si è acutamente osservato, infatti, che la determinatezza imposta alle categorie della pericolosità riduce lo spazio di manovra del giudice della prevenzione rispetto al giudicato penale e che – anche in forza di quanto disposto in tema di revocazione della confisca in caso di conflitto tra giudicati dall’art. 28 del codice antimafia, nonché del principio di non contraddizione – si deve attribuire preferenza a quest’ultimo giudicato (che si avvale di strumenti di accertamento dei fatti ben più penetranti) rispetto a quello di prevenzione [23]. Non pare a questo punto dubitabile, allora, che le posizioni espresse dalla giurisprudenza, di legittimità e di merito, posseggono indubbie ricadute pratiche rispetto ai problemi che affliggono il sistema della prevenzione. Una simile disamina speculativa muove dalla trasferibilità al settore della prevenzione delle regole che fanno di un fatto qualsiasi un fatto proprio del prevenuto: non si capirebbe il senso di una prevenzione, ma prima ancora di un giudizio di pericolosità, fondati su di un fatto di reato che non risulti proprio dell’agente in quanto da lui non dominabile. Appare possibile, allora, fissare i parametri di procedibilità della azione di prevenzione. Seguendo lo schema degli artt. 408, comma 1, c.p.p. e 125, disp. att., c.p.p., andrebbe valutata la sostenibilità dell’accusa in giudizio, usando come metro di valutazione il tasso di gravità degli elementi probatori disponibili. Così opinando, si dovrebbe assegnare preferenza alla sede del giudizio penale, con conseguente preclusione della diversa sede della prevenzione, nel caso in cui si fosse indotti a ritenere come possibile la condanna. La soluzione diverrebbe opposta nel caso in cui emergesse la possibilità di una assoluzione. Si rispetterebbe così la diversa grammatica probatoria che caratterizza i due alternativi processi, dal momento che si introdurrebbe un sistema di scelte affidate all’Ufficio della Procura distrettuale basato sulla prognosi di condanna e quindi sulla gravità degli [continua ..]


7. Il rapporto di osmosi inversa tra procedimento di prevenzione ed accertamento penalistico

Di recente la Corte di Cassazione ha puntualizzato – richiamando la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte EDU – che le misure di prevenzione non solo non “implicano un giudizio di colpevolezza”, ma che “la loro imposizione non dipende dalla preventiva pronuncia di una condanna per infrazione penale” [26]. Sicché, il giudice della prevenzione “ben può [...] utilizzare le emergenze di un procedimento penale pendente o concluso, ma non facendo riferimento acritico ad esse, bensì considerando i fatti in esso emersi e rivalutandoli nell’ottica propria del procedimento di prevenzione, prescindendo dalle eventuali conclusioni cui il giudice penale è pervenuto” [27]. Invero, “l’unico limite (insieme, ovviamente, con quello di non avvalersi di prove vietate [...]) posto all’autonomia valutativa del giudice della prevenzione” è il seguente: “i fatti storici ritenuti sintomatici della pericolosità del proposto non devono essere stati smentiti in sede di cognizione penale” [28]. Va da sé, tuttavia, che le statuizioni del giudice penale possono comunque avere refluenza nel procedimento di prevenzione che si fonda sui medesimi fatti [29]. Invero, i fatti di reato accertati in sede penale con pronuncia di condanna potranno, anzi dovranno, essere fondamento del giudizio sulla pericolosità sociale. Di converso, nel caso di pronuncia assolutoria – ossia di una statuizione liberatoria nel merito – piena (e irrevocabile), segnatamente perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso, se la proposta di misura di prevenzione si basa sullo stesso materiale probatorio, pur non sussistendo un rapporto di pregiudizialità tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, “il giudice della prevenzione deve tenerne conto, per l’effetto del giudicato penale in tutti gli altri giudizi, sempre che il fatto sia identico e che non sussistano altri elementi, diversi da quelli valutati dal giudice penale, sui quali fondare un autonomo giudizio di pericolosità sociale” [30]. In tale direzione, il richiamato art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 annovera, tra i casi di revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione, l’ipotesi in cui i fatti accertati con sentenze penali [continua ..]


8. Categorie del passato alle quali ancorare la soluzione di problematiche attuali

I previgenti commi 3 e 4 dell’art. 23-bis l. 13 settembre 1982, n. 646, regolavano le relazioni tra il procedimento di prevenzione ed il processo penale celebrato per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p. [36] Per vero, prima che fossero abrogate ad opera dell’art. 23 d.l. n. 152 del 1991, le due disposizioni prevedevano che il procedimento di prevenzione dovesse essere sospeso quando il giudice avesse avuto notizia dell’avvio o della pendenza di un procedimento penale per il delitto ex art. 416-bis c.p. (oltre che per l’ul­teriore delitto associativo previsto dall’art. 75 l. 22 dicembre 1975, n. 685), tutte le volte in cui la cognizione del reato potesse influire sulla sua decisione (comma 3) [37]. Ma soprattutto prescrivevano che la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento avesse autorità di cosa giudicata nel procedimento di prevenzione in merito all’accertamento dei fatti oggetto del giudizio penale (co. 3) e che, all’opposto, l’eventuale condanna definitiva intervenuta in sede penale vincolasse il giudice della prevenzione ad adottare le misure patrimoniali ed interdettive previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 (co. 4). L’abrogazione di tale disciplina ha creato le premesse per un vero e proprio automatismo tra l’avvio del giudizio penale per il delitto previsto dall’art. 416-bis c.p. e l’avvio del procedimento di prevenzione antimafia. Dovendo trovare applicazione in questo caso il (tuttora vigente) comma 1 dell’art. 23-bis l. 13 settembre 1982, n. 646, il quale vincola il pubblico ministero che procede ex art. 416-bis c.p. a darne avviso senza ritardo al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove dimora la persona, «per il promuovimento, qualora non sia già in corso, del procedimento di prevenzione». Ciò ha senz’altro contribuito a rendere il procedimento di prevenzione sempre più ‘servente’ rispetto al giudizio penale. Di converso, è inevitabile che l’esito del giudizio penale condizioni quello del procedimento di prevenzione celebrato in relazione ai medesimi fatti e nei confronti degli stessi protagonisti, sia pure limitatamente al caso in cui il primo si concluda con la condanna. Se, infatti, è assai improbabile che il procedimento di prevenzione termini in senso favorevole al proposto che sia stato nel frattempo [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2021