Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Poteri del giudice e controlli nella messa alla prova degli adulti (di Nicola Triggiani)


La messa alla prova dell’imputato adulto ruota intorno all’ufficio di esecuzione penale esterna; al giudice restano tuttavia ampi margini di discrezionalità, sia nella fase di ammissione che in ordine alla valutazione dell’esito della prova, con possibilità di disporre – anche d’ufficio – la revoca dell’ordinanza di sospensione. Sullo spettro dei poteri attribuiti al giudice non mancano, peraltro, i dubbi interpretativi; altrettanto dicasi per l’articolato meccanismo dei controlli sui differenti provvedimenti emessi nel corso del procedimento, essendo la disciplina dettata dal legislatore poco chiara e lacunosa.

Powers granted to judges and appeals in probation for adults

Probation for adult defendants pivots on the Ufficio per l’esecuzione penale esterna (External Criminal Execution Office), nevertheless judges still keep a certain degree of discretion, both during the admission phase, and at the moment of the evaluation of the probation period. They have the possibility to order – even ex officio – the revocation of the Order for suspension. On the other hand, the discussion about the powers granted to judges is not entirely devoid of interpretative doubts; the same applies to the complex verification mechanism over different measures issued during the proceedings, in consideration of the fact that the regulations dictated by the law are currently unclear and in some way incomplete.

PREMESSA Nella disciplina della messa alla prova degli adulti, la l. 28 aprile 2014, n. 67 ha dedicato particolare cura ai profili di diritto sostanziale, con specifico riguardo ai presupposti e ai contenuti della prova; minore attenzione, invece, ha orientato le scelte strettamente processuali [1]. Ciò ha generato molteplici dubbi interpretativi, non tutti affrontati dalla giurisprudenza nell’ancora breve esperienza applicativa dell’i­stituto. I dubbi investono anche lo spettro dei poteri attribuiti al giudice nelle varie fasi del procedimento e il regime delle impugnazioni esperibili contro i differenti provvedimenti. Sul piano concreto, indubbiamente l’istituto ruota attorno all’ufficio di esecuzione penale esterna, cui spetta il compito di predisporre, elaborare e attuare il programma di trattamento, informare il giudice sul corso della prova e redigere la dettagliata relazione conclusiva. Nondimeno, al giudice competente restano ampi margini di discrezionalità – allo scopo di bilanciare le esigenze rieducative dell’autore del reato e quelle di sicurezza delle persone – sia nella fase di ammissione, sia in relazione all’esito della prova, con possibilità di disporre, anche motu proprio, la revoca dell’ordinanza di sospensione del processo. Non c’è, dunque, alcun automatismo nell’applicazione dell’istituto, come pure nella valutazione finale; non si può nascondere, però, il rischio che, nella prassi, l’eccessivo carico giudiziario possa determinare un appiattimento applicativo in senso burocratico. Peraltro, molte delle valutazioni richieste comportano un impegno della magistratura giudicante in un campo normalmente solcato dalla magistratura di sorveglianza [2], e dunque un approccio decisamente innovativo da parte del giudice di cognizione, con la conseguente necessità di acquisire una nuova attrezzatura culturale [3]. L’AMMISSIONE DELLA PROVA Per quanto concerne la fase di ammissione, a norma dell’art. 464-quater, commi 1 e 3, primo periodo, c.p.p., il giudice – ove non ricorrano gli estremi per pronunciare una sentenza d’immediato proscioglimento ex art. 129 c.p.p. e previa verifica delle condizioni formali e sostanziali di ammissibilità della richiesta – deve valutare, sentite le parti e la persona offesa, la sussistenza di due presupposti concorrenti: a) l’idoneità del programma di trattamento ad assicurare il reinserimento sociale dell’imputato; b) la prognosi di non recidiva. Il tutto alla luce dei parametri di cui all’art. 133 c.p. e, quindi, considerando, da un lato, la gravità del reato, dall’altro la capacità a delinquere dell’imputato. Come ha avuto occasione di sottolineare la giurisprudenza di legittimità, è «indubbio che lo spirito della disciplina [continua..]

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Fascicolo 1 - 2016